Di Silvia Strambi e Alessandra Vita
L'anno passato ha segnato
un duro colpo per l'intero settore dello spettacolo. I film usciti
nelle sale sono stati pochi e il pubblico si è dovuto abituare a un
altro tipo di fruizione dei prodotti: lo streaming. Questa
cerimonia degli Oscar sicuramente segnerà una tappa davvero atipica
della storia del cinema: tra i partecipanti in gara sono presenti
film distribuiti solo sulle piattaforme di streaming e film usciti in
anni diversi. Inoltre la premiazione stessa è stata spostata di due mesi.
L'evento ha avuto luogo principalmente alla LA Union Station, con pubblico in presenza (ovviamente ridotto). Uno spazio decisamente sobrio che si adatta al tono "minore" di tutta la cerimonia. Oltre a ciò si sono svolti altri collegamenti in diverse parti del mondo, tra cui uno al Dolby Theatre di Los Angeles, sede dove solitamente si svolge la premiazione.
Da un paio di anni la cerimonia non è presenziata da uno o due presentatori, ma da più figure del mondo dello spettacolo che presentano le diverse categorie, in una sorta di autogestione. Anche quest'anno è stato così.
La cerimonia ufficiale è cominciata alle 2 (ora italiana) del giorno 26, dopo un red carpet iniziato a mezzanotte e un quarto. Durante il red carpet quest'anno ci sono state anche le esibizioni canore, tra cui quella della nostrana Laura Pausini.
La cerimonia si è aperta con l'entrata di Regina King. L'attrice ha vinto nel 2019 l'Oscar alla migliore attrice non protagonista. Quest'anno partecipa in qualità di regista del film "Quella notte a Miami...". La donna ha fatto un breve dialogo sulla situazione COVID, per poi presentare la sezione sceneggiatura originale e i suoi candidati.
Statuetta vinta da Emerald Fennell per "Una donna promettente". La sceneggiatrice e regista, visibilmente emozionata (commenta, rivolgendosi all'Oscar: "Com'è pesante! E com'è freddo!") ha ripercorso la storia del film, ripreso in 23 giorni mentre era incinta.
Si è passati immediatamente alla sezione sceneggiatura non originale. L'Oscar è andato a Florian Zeller e Christopher Hampton per "The Father-Nulla è come sembra", tratto da una piece teatrale dello stesso Zeller. Una sorpresa gradita: la favorita per questa sezione era Chloé Zhao per "Nomadland". Zeller, in collegamento online, nel suo discorso ha ringraziato l'attore protagonista, Anthony Hopkins, dicendo di aver scritto la sceneggiatura per lui e definendolo "il più grande". L'ultimo ringraziamento è andato alla moglie, che è apparsa vicino a lui in quel momento per baciarlo su una spalla.
È toccato poi alla sezione "miglior film internazionale". A presentare Laura Dern, che ha vinto l'anno scorso l'Oscar come miglior attrice non protagonista per "Storia di un matrimonio". Durante il suo discorso la Dern ha citato, come interpretazione che l'ha ispirata da piccola, quella di Giulietta Masina nel film "La strada". Il primo film, tra l'altro, a vincere questo premio nel 1957.
Ad aggiudicarsi la statuetta "Un altro giro" ("Druk"), dalla Danimarca. Nessuna sorpresa, in questo caso: il film era il favorito e si parlava di candidatura anche dell'attore protagonista, Mads Mikkelsen. Il regista Thomas Vinterberg è salito sul palco saltellando di gioia, ma ricordando che durante le riprese ha perso la figlia. Un momento di grande emozione per il pubblico ma soprattutto per il premiato, che ha terminato il suo discorso dedicando il proprio premio a lei.
La Dern ha presentato poi il premio "miglior attore non protagonista", andato a Daniel Kaluuya per "Judas and the Black Messiah". Nel film l'attore ha interpretato Fred Hampton, il presidente del Black Panther Party nell'Illinois. Un premio "telefonato", visto che Kaluuya aveva già vinto tutti i premi dedicati alla categoria.
L'attore, molto emozionato, ha ringraziato in primo luogo Dio. Ha ringraziato infine lo stesso Fred Hampton, ricordando il lavoro che è ancora necessario fare per portare alla parità di diritti ("e che io stesso farò... A partire da martedì, perché stasera voglio festeggiare").
Grande trepidazione per i premi "miglior trucchi e acconciature" e "migliori costumi", presentati da Don Cheadle. Ricordiamo che in questa categoria erano candidati anche Mark Coulier, Dalia Colli e Francesco Pegoretti (miglior trucco e parrucco) e Massimo Cantini Parini (migliori costumi) per il film nostrano "Pinocchio".
Entrambi i premi sono andati al team dietro a "Ma Rainey's Black Bottom", a Sergio Lopez-Rivera, Mia Neal e Jamika Wilson per i trucchi e le acconciature e a Ann Roth (non presente alla cerimonia) per i migliori costumi.
Mia Neal ha ricordato e ringraziato, commuovendosi, gli antenati suoi e di tutte le persone di colore, che hanno combattuto per i propri diritti, e si è augurata che un giorno essere nell'industria dello spettacolo ed essere parte di una minoranza sia una normalità.
Entrambi i premi erano abbastanza prevedibili, e nonostante la mancata vittoria del nostro paese in questa categoria non possiamo non segnalare che c'era stata poca pubblicità relativamente al lavoro fatto in "Pinocchio".
La scena si è poi spostata ad un collegamento al Dolby Theatre, che per anni è stato la sede naturale dei premi Oscar. Al suo interno l'attore Bryan Cranston ha premiato l'MPFT, il Motion Picture & Television Fund, che compie quest'anno cento anni. Per la prima volta ad un ente, questo ente, è andato il Premio Umanitario Jean Hersholt. Una vittoria decisamente significativa vista la situazione sanitaria vissuta nell'anno corrente.
Un ulteriore spostamento, poi, al Dolby Cinema di Seul, dove il regista che ha fatto incetta di Oscar l'anno scorso, Bong Joon-ho, ha presentato il premio alla miglior regia. A vincere è stata la favorita per questa categoria, Chloé Zhao per "Nomadland", in uscita da noi il 30 aprile su Disney+. La regista ha citato un concetto che a detta sua ancora la ispira, ovvero che in ognuno ci sia bontà e ringraziando tutti coloro che ancora tengono fede a questa loro bontà interiore.
Una vittoria telefonata anche quella del premio per "miglior sonoro", presentato da Riz Ahmed: l'attore, protagonista del film "Sound of metal", ne ha annunciato senza nascondere la gioia la vittoria. D'altronde il team alle spalle del film (Nicolas Becker, Jaime Baksht, Michelle Couttolenc, Carlos Cortés e Philip Bladh) ha compiuto un'operazione interessantissima, ricostruendo il mondo sonoro dal punto di vista di una persona non udente. Becker nel suo discorso di ringraziamento ha citato Fellini.
È seguito l'annuncio del vincitore per il "miglior cortometraggio", andato a "Two distant stranger", corto distribuito da Netflix di Travon Free e Martin Desmond Roe. Travon Free ha usato il suo spazio per ricordare le stragi della polizia, in particolar modo a danno delle persone di colore, chiedendo di non essere indifferenti davanti alle ingiustizie.
Ha presentato il premio per "miglior corto d'animazione" Reese Witherspoon, vincitrice del premio Oscar come migliore attrice per il film "Quando l'amore brucia l'anima - Walk the Line". A vincere il premio "If anything happens I love you", altro corto distribuito da Netflix di Will McCormack e Michael Govier. Quest'ultimo ha aperto ironicamente il suo discorso con "Non credevo che l'avrei mai detto: ringrazio l'Academy" e ha chiuso ricordando tutte le vittime delle armi da fuoco.
Vittoria molto prevedibile anche quella di "miglior film d'animazione": "Soul" di Pete Docter e Dana Murray, prodotto dalla Pixar, si è portato a casa l'ambita statuetta. Prima della premiazione la Whiterspoon ha ricordato un grande classico del genere, "Brisby e il segreto di NIMH" di Don Bluth.
Ha presentato la sezione "miglior cortometraggio documentario" Marlee Matlin, la prima e unica attrice sorda a vincere un Oscar come miglior attrice protagonista per il film del 1987 "Figli di un dio minore" (oltre che la più giovane interprete a vincere il premio). La statuetta è andata a "Colette", di Anthony Giacchino e Alice Dayard. Il corto testimonia il ritorno di un membro della Resistenza francese, Colette Marin-Catherine, nel campo di concentramento dove suo fratello è stato ucciso.
Successivamente si è assegnato il premio al "miglior documentario": un'altra vittoria per un film distribuito da Netflix, "Il mio amico in fondo al mare" di Pippa Ehrlich, James Reed e Craig Foster, che ha trascorso un anno a "fare amicizia" con un polipo.
È seguito il premio ai "migliori effetti speciali", presentato da Steven Yeun, il primo attore asiatico-americano candidato agli Oscar per il suo ruolo in "Minari". L'attore ha ricordato in maniera divertita la visione nel '91 di "Terminator 2 - Il giorno del giudizio" assieme alla madre che probabilmente immaginava un film più family friendly. Vittoria abbastanza prevedibile anche questa, vista la mancanza di grandi blockbuster quest'anno: "Tenet" di Christopher Nolan si è guadagnato la sua unica statuetta, grazie al lavoro svolto da Andrew Lockley, Andrew Jackson e Scott R. Fisher.
A presentare il premio per la "migliore attrice non protagonista" Brad Pitt, che l'anno scorso ha vinto la statuetta come "miglior attore non protagonista" nel film di Tarantino "C'era una volta a... Hollywood". Una categoria combattuta, che ha visto come vincitrice Youn Yuh-Jung, attrice sudcoreana del film "Minari", che ha accettato il premio facendo un discordo molto ironico iniziato con la frase "finalmente la conosco, signor Pitt!". Certamente uno degli highlight degli Oscar di quest'anno.
Le successive categorie, "miglior scenografia" e "miglior fotografia" sono state presentate da Halle Berry, vincitrice del Premio Oscar alla migliore attrice nel 2002 con "Monster's ball-L'ombra della vita".
Entrambe le statuette sono state conquistate da "Mank" di David Fincher: per la prima categoria a Donald Graham Burt e Jan Pascale, e per la seconda a Erik Messerschmidt, che visibilmente emozionato ha detto "vorrei poterla dividere (la statuetta) in cinque".
È quindi salito sul palco Harrison Ford, candidato al premio Oscar per "Witness - Il testimone" (1985). L'attore, con la sua burbera bonarietà, ha riportato alcuni commenti negativi mossi al film "Blade Runner", ora considerato un cult, in fase di montaggio. Ovviamente il premio presentato è "miglior montaggio". Si è guadagnato la statuetta Mikkel E. G. Nielsen per il lavoro svolto in "Sound of metal". Il montatore ha reso omaggio alla sua nazione, la Danimarca, e ne ha lodato l'investimento nel campo del cinema.
Il premio successivo è stato presentato da Viola Davis. La donna, vincitrice del premio Oscar alla migliore attrice protagonista nel 2017 per "Barriere" e candidata anche quest'anno, ha consegnato il Premio Umanitario Jean Hersholt a Tyler Perry. Il regista nello scorso anno si è impegnato in una serie di cause a seguito dello scoppio della pandemia. Nel video dedicato a lui l'uomo ha parlato della madre e di come sia stata una fonte di ispirazione, con la sua narrazione intercalata dagli interventi dell'attrice Whoopi Goldberg. Durante il proprio discorso Tyler Perry ha invitato il pubblico a casa a non odiare nessuno e a "incontrarsi a metà strada" per iniziare un dialogo costruttivo tra persone privilegiate e minoranze.
È arrivato a questo punto il momento aspettato da molti italiani, dopo la sconfitta di "Pinocchio", ovvero quello dedicato alla musica. A presenziare a queste premiazioni Zendaya, attrice recentemente apparsa nel film "Malcolm e Marie". Per primi sono stati premiati, per la "migliore colonna sonora", Trent Reznor, Atticus Ross e Jon Batiste per il film "Soul", i favoriti per questa categoria. Jon Baptiste ha parlato nel discorso di premiazione del potere della musica e ha citato diversi artisti che l'hanno ispirato, tra cui Duke Ellington.
Si è arrivati quindi alla consegna del premio per la "miglior canzone originale": a vincere "Fight for you" da "Judas and the Black Messiah", con musiche di H.E.R. e Dernst Emile II, testo di H.E.R. e Tiara Thomas. Sul palco H.E.R. ha ricordato l'importanza per gli artisti di dire la verità e di lottare per ciò che è giusto.
L'ultima speranza per l'Italia di vincere una statuetta, ma nondimeno un grande onore per il nostro paese essere stato candidato in addirittura tre categorie.
È seguito un momento di intrattenimento in cui al pubblico è stato chiesto di riconoscere se le canzoni riprodotte dal DJ sono state candidate agli Oscar o meno. Un momento di distensione che ha spezzato un po' il ritmo serrato della cerimonia e che ci ha regalato un momento iconico:
Glenn Close che balla "Da Butt" degli E.U.
Angela Bassett ha presentato il tributo "In memoriam" dei lavoratori del mondo dello spettacolo morti durante l'anno, affermando prima dell'inizio di volere rendere omaggio anche a tutte le persone che ci hanno lasciato nel corso del 2020 per la malattia ma anche per il razzismo.
Un momento, quello del tributo, che ci ha ricordato quante maestranze e quanti miti abbiamo perso in questi mesi: tra i nomi più noti appaiono Max Von Sydow, Olivia de Havilland, Cristopher Plummer, Helen McCrory, Alan Parker, Sean Connery, Chadwick Boseman... Dal lato italiano, il grande compositore Ennio Morricone, il produttore Alberto Grimaldi e il direttore della fotografia Giuseppe Rotunno.
Siamo quasi agli sgoccioli: quest'anno il vincitore della categoria "miglior film" è stato annunciato prima dei migliori attori protagonisti vincitori. A presentare Rita Moreno, attrice vincitrice dell'Oscar come miglior attrice non protagonista per "West Side Story". Anche qui, una vittoria ormai data per certa: quella di "Nomadland" di Chloé Zao, che a questo punto aspettiamo impazienti sui nostri schermi. Durante il discorso è intervenuta anche l'attrice protagonista e produttrice Frances McDormand che ha invitato il pubblico ad andare a vedere i film premiati, appena sarà possibile, al cinema. Un invito non banale, vista la situazione in cui l'industria versa e l'impatto che l'uscita di questi film premiati potrebbe avere sull'affluenza del pubblico nelle sale.
La categoria "migliore attrice protagonista" è stata presentata da Renée Zellweger, vincitrice l'anno scorso del premio per la sua interpretazione di Judy Garland nel biopic "Judy". Alla fine Frances McDormand si è portata a casa anche questa statuetta grazie alla sua interpretazione in "Nomadland". È la terza volta che l'attrice vince tale riconoscimento: aveva infatti vinto un Oscar alla migliore attrice protagonista nel 97 con "Fargo" e nel 2018 con "Tre manifesti a Ebbing, Missouri".
L'ultimo intervento della serata, per la categoria "migliore attore protagonista", è spettato a Joaquin Phoenix, vincitore del premio l'anno scorso per il film "Joker". A sorpresa la statuetta è andata a Anthony Hopkins (non presente in sala) per la sua interpretazione nel film "The Father-Nulla è come sembra", nonostante il favorito fosse Chadwick Boseman per il suo ruolo nel film "Ma Rainey's Black Bottom".
Gli Oscar di quest'anno si sono insomma mantenuti su una linea comune alle ultime premiazioni: tanta inclusività, poche sorprese e nessun film che "prevale" sugli altri.
Di certo il grande vincitore di questa edizione è, come lo è da diverso tempo, Netflix, che si porta a casa ben 10 statuette. Alle sue spalle troviamo la Disney, che con soli due film ("Soul" e "Nomadland") si è guadagnata 5 premi.
Resta il fatto che, nonostante non possiamo non apprezzare la nuova svolta più inclusiva che Hollywood sta prendendo in questi anni, difficilmente queste cerimonie degli Oscar hanno ottenuto i picchi di intrattenimento delle passate edizioni.
In questo caso, certo, le restrizioni dovute al COVID hanno giocato una buona parte nell'eliminare le interazioni del pubblico e le esibizioni musicali, che sono rimaste "confinate" al pre show. Tuttavia questa tendenza più austera al limitarsi ad annunciare i vincitori va avanti da alcuni anni. Personalmente iniziamo a sentire la mancanza dei grandi numeri e degli sketch offertici dalla crème della crème hollywoodiana, supportata da mattatori come Billy Crystal, Neil Patrick Harris o Jimmy Kimmel. Certo, la nuova struttura a presentatori multipli può funzionare, ma per mantenere il pubblico attaccato allo schermo per più di quattro ore (sei se includiamo il red carpet) forse è necessario offrire anche un po' più di intrattenimento, oltre che di qualità.
Un discorso, il nostro, che d'altronde è del tutto ipocrita: noi quelle quattro ore ce le siamo viste tutte.
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