Di Alessandra Vita
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Monoscopio Rai, con primo logo di Erberto Carboni |
Ultimamente si è discusso molto sulla Rai e sulla censura.
Che la nostra cara e vecchia Rai sia un'habituée del censurare non è certo una novità: si può dire anzi che vi sia stata tra le due una vera e propria storia d'amore.
Ciò che era più pericoloso della censura è che non fosse regolata da vere e proprie leggi ma fosse a libera interpretazione. L'unica pseudo norma in vigore era il "Codice di autodisciplina" approvato dall'allora amministratore delegato della Rai, l'ingegner Filiberto Guala.
Nel codice vi si poteva leggere «Non è consentita la rappresentazione di scene e vicende che possano turbare la pace sociale o l’ordine pubblico. [...] Sabotaggi, attentati alla pubblica incolumità, conflitti con le forze di polizia, disordini pubblici possono essere rappresentati con somma cautela e sempre in modo che ne risalti ben chiara la condanna. Dovranno essere escluse le opere di qualsiasi genere che portino discredito o insidia all’istituto della famiglia, risultino truci o ripugnanti, irridano alla legge, siano contrarie al sentimento nazionale. [...] Il divorzio può essere rappresentato solo quando la trama lo renda indispensabile.»
Si trattava quindi di una sorta di codice Hays nostrano. In televisione non si potevano nemmeno dire parole innocenti, quali “membro del parlamento” o “in seno alla commissione”: oggi tutto ciò ci pare ridicolo e anzi, ci fa pensare a quanta malizia ed eccesso di bigottismo ci fosse a quei tempi. Ai giorni nostri la censura sopravvive ma in modo diverso, e solo quando ha a che fare con idee politiche.
In questo articolo si ripercorreranno alcuni dei più importanti episodi di censura da parte della televisione italiana, dai più assurdi ai più amari.
RAIMONDO VIANELLO E UGO
TOGNAZZI
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Vianello e Tognazzi durante uno sketch a Un, due, tre |
È il 23 giugno del 1959. Il presidente francese De Gaulle, in visita in Italia, si trova al Teatro alla Scala di Milano insieme al presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. I due uomini seguono sull'attenti le esecuzioni degli inni nazionali. Poi, quando si devono sedere, a causa di un collaboratore che non gli ha avvicinato la sedia, Gronchi cade a terra. La scena era stata trasmessa in diretta ma i media avevano evitato di parlarne. Eppure, per due comici irriverenti quali Vianello e Tognazzi questa era musica per le loro orecchie. Il giorno dopo, durante la loro trasmissione comica Un, due, tre, i due rimettono in scena l'accaduto: Tognazzi, nel tentativo di sedersi, cade e Vianello esclama “Ma chi ti credi di essere?”. A fine programma, una volta rientrati nei camerini, i due comici trovano delle lettere di licenziamento e la trasmissione viene immediatamente cancellata dal palinsesto televisivo. I due vengono quindi allontanati per un po' di tempo dalla Rai. Per Vianello non sarà l'ultima volta: alla nascita di Rai 2, un dirigente gli chiede se ha già un numero pronto, Vianello gli risponde che ha "Una cosa sul papa" e viene nuovamente messo alla porta.
Qui potete vedere il video della caduta di Gronchi con il commento di Vianello.
ALIGHIERO NOSCHESE
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Noschese imita Mike Bongiorno a Doppia coppia |
Alighiero Noschese, imitatore la cui fama è tutt'oggi rimasta immutata, non risparmiava nessuno.
Da un articolo su La Stampa del 23 aprile 1970, apprendiamo che per la trasmissione Doppia coppia venne impedito all'uomo di imitare personaggi politici. Il motivo? Le voci che giravano all'epoca dicevano che, data la coincidenza con le elezioni regionali, le imitazioni di Noschese avrebbero potuto interferire con la campagna elettorale (in senso negativo). Ma la versione ufficiale della Rai è che invece queste avrebbero giovato agli uomini politici imitati e questa pubblicità gratuita avrebbe contraddetto l'imparzialità della televisione.
Nell'articolo Noschese dichiara: «Se non si chiamasse Doppia coppia, e se non mi sentissi impegnato con i telespettatori, a quest'ora avrei piantato tutto. Ma ci sono 22 milioni di italiani da accontentare e poi ci sono i colleghi che hanno lavorato tanto e non me la sento di abbandonare la nave quando ha una falla. Sto comunque passando dei giorni brutti. In queste condizioni saltano i nervi, uno si disamora. È stata proprio una sorpresa per me la "censura", perché c'erano degli accordi ben precisi con la tv, era già uscito l'ordine di servizio con i programmi, il parruccaio aveva avuto già le commissioni. Non riesco proprio a spiegarmi cosa sia successo. È possibile che la richiesta di escludere gli uomini politici dalle mie imitazioni sia venuta da qualche politico che non era nella rosa dei nomi scelti da me e che sia stato invidioso della pubblicità fatta ad altri suoi colleghi. Non credo che qualcuno possa avere realmente protestato perché temeva di perdere voti degli elettori. Ma vi pare mai che un partito debba avere paura di Alighiero Noschese? Mi sembra di esser tornato al Medioevo».
DARIO FO E FRANCA RAME
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Dario Fo e Franca Rame a Canzonissima |
L'edizione di Canzonissima del 1962 è sicuramente entrata nella storia. Leggere con il senno di poi certi titoli che riportava la stampa dell'epoca prima dell'inizio del programma fa sorridere: un articolo su La Stampa del 2 ottobre 1962 si intitola “Canzonissima prende il via sotto il segno di vivaci polemiche”.
E ancora non avevano visto niente.
Ma per raccontare bene quello che accadde durante Canzonissima 1962, dobbiamo proprio affidarci ai giornali usciti in quel periodo.
Dopo la prima puntata, sulla parte dedicata alla cronaca televisiva de La Stampa del 13 ottobre 1962, si racconta la battuta di Franca Rame contro le trasmissioni televisive: “Guardate un po' mio marito, un intellettuale, un anticonformista, ridotto a fare il Mike Bongiorno...”.
Si dice poi che «la satira ha saputo diventar feroce, quando s'è rivolta al militarismo e al bellicismo distruttore dei tedeschi (e ha fatto pure un accenno alla Spagna franchista)» e ci si chiede alla fine «Continueranno? Dureranno? Li lasceranno agire con un minimo di libertà? Speriamo e auguriamocelo».
Sul giornale della settimana successiva, La Stampa del 19 ottobre 1962, si denuncia l'assenza di satira politica rispetto alla puntata precedente. «L'unico accenno significativo è stato quando Fo ha raccontato che in Francia persino De Gaulle ha accettato di buon grado le frecciate e le parodie rivolte alla sua persona, che persino in Polonia è stato possibile prendere in giro Gomulka. E in Italia? “Abbiamo chiesto di far della satira degli uomini politici e ci hanno subito dato il permesso... Sì, ci hanno dato il permesso di prendere in giro Gomulka”».
Il 24 ottobre 1962 su Stampa sera, per la rubrica Sulle scene e sugli schermi, Guido Boursier intervista Dario Fo che, alla domanda se avesse avuto grane con la censura, risponde «Per forza. Si sono messi in stato d'allarme, anche perché li hanno accusati di essere troppo teneri con me. La prima trasmissione è andata. La seconda meno. Adesso, nella terza, niente politica, niente satira se non leggera, che non tocchi nessuno. Ci sarà solo qualcosa sulla suscettibilità, quella di cui si parlava prima».
L'edizione prosegue tra minacce della mafia e accuse da parti di preti nei confronti di Fo, colpevole di aver suggerito una bestemmia durante uno sketch, dicendo, dopo essersi schiacciato le dita "Pensando al vecchio zio gridiamo un porco... cane " esitando prima di pronunciare quest'ultima parola.
Ma la situazione degenera poco dopo.
In Sulle scene e sugli schermi del 29 novembre 1962, la giornalista Adele Gallotti racconta l'ultima scenetta, «quella sull'edilizia. Fo nelle vesti di un ingegnere costruttore ha una crisi di coscienza quando viene a sapere che un suo operaio è precipitato da una impalcatura e si è spaccato la testa. Vorrebbe adottare misure protettive, magari le reti di sicurezza come nei circhi. Appena però sa che l'operaio non si è fatto molto male, l'industriale cambia idea, ci ripensa e preferisce andare a riposarsi in campagna». Dopo questo sketch avvenuto mentre era in corso una vertenza sindacale, ai due viene tolta la conduzione del programma. La Rai li giudica “inadempienti”.
Dario Fo su La Stampa del 1 dicembre 1962 dichiara: «La tv ha detto che io e Franca ci siamo ritirati dalla trasmissione. Non è vero. Mi sono ritirato io come autore, perché quando si sopprime all'ultimo giorno uno sketch di un quarto d'ora non si può pretendere il miracolo. Volevano trasmettere, nientemeno uno sketch di "Chi l'ha visto " che è di sei mesi fa. Via, non siamo mica bambini! Alla fine, tanto per aggiustare le cose, abbiamo chiesto di "saltare" questa puntata e riprendere la settimana prossima. Ci hanno risposto di no. E allora abbiamo detto: va bene, restiamo qui come attori, dateci un copione. E il copione non c'era. Tutto qui per il momento.»
L'allontanamento dalla Rai durerà fino al '77.
FANTASTICO 7
Quella dell' '86 fu senza dubbio l'edizione di Fantastico con più polemiche.
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Pippo Baudo e Beppe Grillo |
Il primo episodio ha come protagonista Beppe Grillo, quando ancora non era un politico ma prendeva in giro i politici. Durante uno sketch, con delle battute evidentemente non concordate, egli fa ironia sul Partito Socialista Italiano. Grillo parla del viaggio di Craxi in Cina e racconta una barzelletta: «Al pranzo di Pechino, Martelli e Craxi sono vicini di posto. Martelli dice a Craxi: “Ma qui sono davvero un miliardo gli abitanti?". Craxi risponde: "Certo. Perché?". E Martelli: "Sono tutti socialisti?”. “Sì, sono tutti socialisti' dice Craxi. Martelli conclude: “Ma allora a chi rubano?».
Baudo, il conduttore, non lo interrompe ma non riesce a camuffare la sua tensione. Poco dopo però, come leggiamo da un articolo su La Stampa del 16 novembre 1986, egli dice, dopo un collegamento telefonico con Adriano Celentano, «Adriano, allora aspettiamo che tu venga a "Fantastico" la prossima settimana. E non c'è pericolo che tu dica battutacce simili a quelle di Grillo. A proposito, noi ci dissociamo da quello che ha detto Grillo poco fa. I comici a volte smarronano. Ci dissociamo, stiamo già ricevendo telefonate indignate. Scusateci.»
Dopo ciò, Grillo viene allontanato dalla televisione per qualche anno.
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Il Trio e Pippo Baudo durante lo sketch incriminato |
Ma non finisce qui. Sempre a Fantastico 7, la settimana successiva alla battuta di Grillo, avviene un altro scandalo. Il Trio Lopez, Solenghi, Marchesini fa una scenetta che vede protagonisti Reagan, Khomeini e la mamma di Khomeini, in seguito all'Irangate. Lo sketch provoca reazioni internazionali, con una durissima presa di posizione del governo di Teheran nei confronti di quello italiano considerato diretto responsabile dei programmi trasmessi dalla tv di Stato. Poco dopo vengono chiusi tutti i collegamenti aerei dell’Iran-Air verso l’Italia, vengono espulsi tre diplomatici italiani e l’ambasciatore è richiamato a Roma. L'incidente diplomatico si risolve qualche mese dopo, con l’impegno della Rai a non ironizzare più sull’Iran.
SABINA GUZZANTI
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Sabina Guzzanti in un'imitazione di Massimo D'Alema |
Durante tutta la sua carriera Sabina Guzzanti è stata più volte vittima della censura.
In un'articolo su La Stampa del 16 novembre 1998 intitolato “Torna la censura, salta la parodia di Lady Fini” si racconta uno dei primi episodi di censura che coinvolgono la Guzzanti.
Per il programma La posta del cuore, Sabina Guzzanti prepara una parodia di Daniela Fini, moglie del leader di An, Gianfranco Fini, realizzata sulla base dei suoi giudizi contro gli omosessuali pronunciati in passato.
Della parodia esistono due versioni: la prima cita il nome della protagonista della satira, la seconda aggiunge un "beep" a coprire il nome di Daniela Fini. Si inizia quindi a parlare di censura e di pressioni del leader di An sulla Rai. La Rai nega, affermando che si tratta solo di legittima preoccupazione del rispetto delle persone che non hanno rilevanza pubblica.
Alla fine gli uffici legali decidono di sospenderne la messa in onda e la puntata viene rimontata senza parodia. Il "beep" infatti è solitamente usato per coprire gli insulti e utilizzarlo per coprire il nome di Daniela Fini sarebbe stato come associare il nome della signora a un insulto.
Anche il premio Nobel Dario Fo condanna la Rai dichiarando: «E' un brutto segno, dà l'impressione che si voglia accontentare un po' tutti e non si voglia dare fastidio alla donna del capo, anche se è un capo dell'opposizione».
In un'intervista su La Stampa del 16 novembre 1998 Sabina Guzzanti dichiara «E' molto grave quel che è accaduto. Del resto io penso che cose di questo genere esistano anche nei giornali. E ve ne sono anche di più gravi, ad esempio sull'informazione. Per fortuna la censura sul nostro sketch è avvenuta in modo goffo plateale. Almeno ci consentirà di parlare della censura e del fatto che esista. [..] Noi criticavamo il modo di pensare di Daniela Fini, non la persona. Criticavamo, soprattutto, il razzismo omossessuale che è tipico di una certa destra, e la nostra era una risposta civilmente impegnata.»
Qualche anno dopo, nel 2003 viene cancellata la messa in onda di un altro programma satirico a tema politico della Guzzanti, Raiot. La Rai comunica che è stato impossibile trovare un accordo sulla visione preventiva delle puntate, anche una sola per volta ma con una settimana di anticipo.
PAOLO ROSSI
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Paolo Rossi |
Poco dopo la sospensione di Raiot, anche Paolo Rossi cade vittima della censura. Nel 2003 viene invitato come ospite a Domenica In da Bonolis. La Rai chiede di avere preventivamente il testo di quello che Paolo avrebbe detto. Il testo altro non è che una rielaborazione del discorso di Pericle tratto da La guerra del Peloponneso di Tucidide, scritto nel V secolo a.C., ma nonostante ciò la Rai comunica che non può essere mandato in onda.
Due anni dopo, nel 2005, Raidue blocca la messa in onda della seconda parte dello spettacolo teatrale di Paolo Rossi Questa sera si recita Molière. La prima parte infatti è andata in onda in seconda serata registrando ottimi ascolti, la seconda invece viene inspiegabilmente cancellata.
Paolo Guerra, manager di Rossi, grida alla censura politica. Il direttore di Raidue Massimo Ferrario invece dichiara che la sospensione sia dovuta a problemi di linguaggio scurrile.
Su un articolo de La Stampa del 15 gennaio 2005 Paolo Rossi commenta «Da una parte mi viene da piangere, dall'altra mi viene da ridere. Quando mi hanno comunicato che la prima parte era stata vista da un milione di persone ero entusiasta. Però subito dopo ho pensato che in quel milione poteva esserci anche "qualcuno" che me lo avrebbe bloccato. E così è stato. A questo punto penso che la prima parte è andata in onda per un disguido: avranno letto Molière e non se ne sono accorti che c'ero io che faccio satira. Poi l'hanno visto e hanno detto: "Mamma mia!". Ormai in tv la satira politica è proibita. E un paese dove la satira non è ammessa è governato da gente che ha paura della sua ombra anche quando è al buio... Ora inventeranno qualsiasi cosa per giustificare il blocco mi aspetto di tutto. Anche che diranno che è blasfemo.»
Lo spettacolo è una rivisitazione della farsa Il medico per forza di Molière, in cui un ciarlatano finge di essere un medico convincendo anche il popolo della sua affidabilità. Rossi usa quest'opera per fare satira contro Berlusconi, allora presidente del consiglio.
Ciò che è successo allo spettacolo di Rossi certo ora non ci stupisce: durante il governo Berlusconi infatti erano già capitati altri episodi di vera e propria censura.
Basti pensare all'editto bulgaro, quando il premier affermò che Santoro, Biagi e Luttazzi facevano un uso “criminoso” della tv pubblica, e invitava i nuovi dirigenti della Rai a prendere provvedimenti.
Biagi conduceva Il fatto un programma che andava in onda dopo il TG1, quindi aveva un buon indice di ascolti, Santoro era il presentatore del talk-show politico Sciuscià e Luttazzi invece conduceva Satyricon, un programma, per l'appunto, di satira.
Tutte e tre le trasmissioni vennero sospese. Avete fatto caso di come la parola “sospesa” sia ricorrente in questo articolo? Se tutti questi programmi sono solo stati "sospesi" allora dobbiamo ancora sperare che adesso, dopo più di 20 anni, riprendano.
Ho scelto di concentrare questo articolo più sulla censura alla satira politica, ma in realtà si potrebbero citare molti altri episodi, come l'allontanamento di Mina dagli schermi quando rimase incinta senza essere sposata, o la regia Rai che “per caso” non inquadrava mai la gamba di Luciano Tajoli, claudicante a causa della poliomielite, o ancora quando nel '62 Ornella Vanoni si presentò in una trasmissione senza reggiseno e la camera non si spostò mai dal suo volto. Ma ci sarebbe anche da scrivere di quando Umberto Bindi andò a Sanremo nel '61 con un anello al mignolo, facendo quindi intuire la sua omosessualità e di come, per questo, venne boicottato dalla televisione.
Ma perché non parlare anche della censura Rai durante la messa in onda di film e serie tv? Solo negli ultimi anni ci sono state la censura nel 2008 delle scene omosessuali nel film Brokeback Mountain, la censura nel 2011 di un matrimonio gay durante la serie Un ciclone in convento o nel 2016 la censura delle scene d'amore tra due uomini della serie Le regole del delitto perfetto.
In conclusione possiamo affermare che l'Italia abbia ancora dei grandi passi avanti da fare. La classifica del 2020 realizzata da Reporter Without Borders circa la libertà di stampa nel mondo vede l'Italia solo al quarantunesimo posto, dietro tutte le altre maggiori potenze europee. Questo a causa di anni di governi che hanno pensato a veicolare le informazioni a proprio vantaggio.
La censura però non è mai la soluzione: dimostra solo una fragilità interna, rende evidente un sistema costruito su fondamenta poco solide, per cui basta un soffio per farlo crollare.
La consapevolezza storica è un primo passo per far sì che la situazione cambi.
E io ci auguro che cambi.
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