Di Francesca Longoni
Tutti i venerdì a partire dal 7 maggio al 4 giugno con repliche 18 e 25 giugno e 16 luglio su prenotazione, al Mufant (Museo del Fantastico e della Fantascienza) di Torino va in scena Le venti giornate di Torino, spettacolo di teatro d’ombre ideato e realizzato interamente da Corallina De Maria, figlia di Giorgio De Maria, autore del romanzo omonimo dal quale è tratta la rappresentazione.
Le venti giornate di Torino, pubblicato nel 1977 e rimasto in sordina negli anni successivi alla pubblicazione, è stato riscoperto, purtroppo postumo, in un modo alquanto bizzarro. Racconta Corallina: «Negli anni Settanta il successo del romanzo era stato quasi nullo, ma quelli che l’avevano letto ne erano rimasti entusiasti; avevano fondato una sorta di fan club e uno di loro aveva persino comprato casa in una delle zone citate nel libro. Un australiano, Ramon Glazov, si trovava a casa di uno di questi lettori e si fece prestare un libro per il ritorno al suo Paese: Le venti giornate di Torino. Folgorato dalla storia decise di tradurlo ma ci mise un anno per trovarmi (per i diritti d’autore n.d.A.) e alla fine il libro venne pubblicato nel 2017 dalla Norton, negli Stati Uniti; fu un enorme successo soprattutto all’estero e ancora oggi, soprattutto su Twitter, moltissimi americani discutono sul valore del romanzo».
Il libro di Giorgio De Maria racconta di un investigatore che si lancia in un’indagine su avvenimenti inspiegabili accaduti dieci anni prima nel capoluogo piemontese, tra omicidi brutali, insonnia collettiva e un’oscura istituzione chiamata “Biblioteca”, luogo dove i cittadini sono liberi di pubblicare manoscritti contenenti i propri pensieri più nascosti e di leggere le scritture altrui senza alcun tipo di filtro.
Un libro “misterioso, distopico e profetico”: così lo descrive la figlia in tre aggettivi.
Le venti giornate di Torino ci appare come una chiara ed inquietante anticipazione dei social network.
Foto di Corallina De Maria |
Che effetto fa leggere, analizzare qualcosa che viene dall’intimità di un genitore?
«È una cosa abbastanza difficile, tanto che per anni mi sono rifiutata di leggere il libro di mio padre fino a quando sono stata in un certo senso costretta. È un po’ come vedere i propri genitori nudi… penso che tra genitori e figli ci sia bisogno di mantenere sempre un minimo di distanza. Il fatto che non ci sia più rende le cose un po’ più semplici ovviamente, crea un distacco tale per cui è possibile condurre questo tipo di lavoro».
Corallina prende il libro del padre e, attraverso tagli ben studiati, lo trasforma in uno spettacolo di cinquanta minuti da brividi, con protagoniste le sue meravigliose ombre: sagome scolpite nel cartone nero che prendono magicamente vita nel buio della piccola sala del museo. Pochi posti a sedere e un’atmosfera intima rendono immediata e profonda la connessione con chi si ha accanto, in una sincronia perfetta di battiti e sussulti per cui neanche il traffico, con il rombare delle moto che sfrecciano sulla strada sottostante, riesce a distrarre dalla magia che avviene nel piccolo teatrino.
Che cosa provi durante lo spettacolo?
«Sono sincera, mentre recito sono molto concentrata e ho talmente tante cose da fare lì dietro che non ho neanche il tempo per pensare… però posso dire che non ho paura, per niente, e questa è una cosa che mi ha molto sorpresa».
Penso che il teatro d’ombre sia il modo migliore per rappresentare un libro misterioso e magicamente sospeso e oscuro come Le venti giornate di Torino. Quando e come ti sei avvicinata a questa arte?
«Il teatro d’ombre mi ha salvato la vita; a trent’anni mi volevo suicidare per un amore finito molto male e un mio amico mi ha trascinata in un viaggio a Bali. La terza sera mentre passeggiavamo abbiamo sentito una musica provenire da una radura e ci siamo avvicinati, scoprendo un gruppo di balinesi che faceva questo incredibile spettacolo con le ombre, accompagnato dalla musica di un’orchestra. Lo spettacolo è durato quasi una notte intera e mi ha colpito come un fulmine; mi sono detta che quella sarebbe diventata la mia vita, il mio futuro. Tornata a Torino è subito nata la compagnia Controluce, teatro d’Ombre fondata insieme a Jenaro Meléndrez e Alberto Jona».
Ammaliante, travolgente, Corallina offre un’ottima performance attoriale e tiene l’attenzione fissa sul teatrino fino alla fine, incollando lo spettatore alla sedia. La tensione è palpabile, qualcuno trattiene il respiro e si lascia andare solo nei brevi momenti d’intermezzo musicale necessari per i cambi di scena.
Come hai affrontato questo lavoro attoriale?
«Io non sono attrice. Il momento peggiore per me è sempre stato quello degli applausi perché mi trovo molto più a mio agio dietro al palco piuttosto che sopra… però in lockdown mi è venuta l’ispirazione per questa rappresentazione e mi sono detta che dovevo farlo, per forza. Non è stato semplice imparare cinquanta minuti di testo a memoria e nel frattempo gestire tutti i vari elementi della scena, ma ce l’ho fatta!»
Foto di Corallina De Maria |
La voce di Corallina, bellissima, intensa e ipnotica, guida lo spettacolo insieme alle sue mani, che si muovono con la naturalezza e la maestria di chi lavora con le ombre da molti anni. Quello che colpisce è l’incredibile lavoro manuale, messo in risalto da alcune scelte scenografiche estremamente suggestive; splendida, ad esempio, la scena in cui compare la Biblioteca avvolta in un cielo punteggiato di lettere, oppure il movimento spaventoso delle vittime delle venti giornate che vagano nella notte in preda a strane allucinazioni, reso attraverso un effetto visivo psichedelico incredibilmente magnetico.
Il momento più potente ed emozionante arriva però poco prima della fine, quando l’ombrista stacca il telo frontale, che fino a quel momento aveva fatto da barriera tra lei e il pubblico, e recita le ultime pagine del romanzo guardando negli occhi ognuno dei presenti; avviene così uno scambio di energie talmente potente che fa sì che la commozione dell’artista, nel momento in cui pronuncia con voce rotta le parole «Le venti giornate di Torino, di Giorgio De Maria: mio padre», sia la stessa di chi guarda. Il pubblico applaude con gli occhi lucidi e la sensazione di aver vissuto qualcosa di veramente magico.
«Quando pronuncio quella frase finale mi commuovo sempre e provo un’enorme gratitudine; sono grata di poter fare questo spettacolo, di poterlo mostrare ad un pubblico e di ritrovare, in un certo senso, mio padre».
Le Venti Giornate di Torino, Frassinelli Editore |
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