Marilyn Monroe: da diva a fenomeno culturale

Di Noemi Ferretti, Eleonora Groppelli, Fhe Pacifico, Silvia Strambi, Alessandra Vita

Marilyn fotografata da Milton Greene nel 1953

Basta dire il suo nome e tutti penseranno a una sola persona. Oggi, 95 anni fa, nasceva Marilyn Monroe, un'icona, una star, una diva ma soprattutto un'attrice fenomenale.

Marilyn è riuscita a conquistare intere generazioni. Ma qual era il suo segreto? Perché quella donna era tanto magnetica? Che cos'è che di lei ci affascina ancora oggi? In questo articolo cercheremo di scoprirlo.


I PERSONAGGI DI MARILYN: DONNE CARISMATICHE

Di Alessandra Vita

Quando si parla della diva non si può fare a meno di pensare ai ruoli da lei ricoperti. Molti critici ritengono che i personaggi interpretati da Marilyn facciano tutti parte di uno stesso topos: questo è in parte vero. Eppure l'attrice ha saputo giocare nello stereotipo, piegandolo a sé stessa, dando sempre nuove sfumature ai suoi personaggi.

Le donne di Marilyn hanno tutte una caratteristica: sono determinate e capaci di cavarsela da sole in un mondo dominato da uomini. Ciò non significa che quindi rifiutino l'amore, anzi. Essere forti non significa non avere una sensibilità, ma i personaggi di Marilyn giocano sempre seguendo le loro regole.


Sugar (Marilyn) e Josephine (Tony Curtis) in una scena di A qualcuno piace caldo

Sugar (in italiano Zucchero) da A qualcuno piace caldo (1959) di Billy Wilder è una donna scappata dalla sua famiglia e con alle spalle una serie di relazioni "tossiche". È una ragazza dolce, con le sue fragilità, ma che ha anche il sogno di trovarsi un bel milionario con gli occhiali (perché "gli uomini più dolci hanno gli occhiali") per smettere di avere preoccupazioni economiche. Eppure Sugar non è un'arrivista. La donna viene semplicemente da una situazione affettiva disastrosa e, sebbene dica di voler trovarsi un uomo ricco, in realtà ciò che cerca è solo un po' di stabilità. 

Sugar non è mai "a caccia di uomini": è il "milionario" ad attaccare bottone con lei e solo allora lei inizia a interessarsi a quest'ultimo, per poi effettivamente innamorarsene.

Quando la donna poi scoprirà che il "milionario" è solo un personaggio e che in realtà sotto a quei panni si nasconde la sua amica Josephine, la quale è un'altra maschera sotto cui vi è uno spiantato sassofonista, a lei non importerà. Sugar ormai si è innamorata, non è più importante chi sia quella persona, se un sassofonista, un milionario o una donna. Il messaggio del film è prettamente lo slogan "love is love", non importa di chi ti innamori, ciò che conta è l'amore, il che fa di Sugar un personaggio incredibilmente avanti per l'epoca.


Elsie Marina (Marilyn Monroe) in una scena de Il principe e la ballerina

Ne Il principe e la ballerina (1957) di Laurence Olivier, Marilyn è incantevole. Questa volta l'attrice veste i panni di Elsie Marina, una showgirl splendida, intelligente e vivace. Quando un principe di un paese baltico si invaghisce di lei, la ballerina intuisce subito la situazione e riesce a fuggire le avances dell'uomo ribaltando sempre le circostanze a suo vantaggio. Sebbene il principe creda inizialmente di poter usare Elsie, quest'ultima con grande intelligenza finisce per giocare con lui, sfinendolo ma anche facendogli capire che  egli con i suoi atteggiamenti non faceva altro che allontanare tutte le persone che gli volevano bene. Alla fine tra i due nasce un sentimento sincero: l'uomo capisce di essere stato uno sciocco e lei riesce a vedere oltre le apparenze di quel bisbetico. Tra i due non c'è dubbio che la parte dominante della coppia sia effettivamente Elsie.


Kay (Marilyn) in una scena da La magnifica preda


In La magnifica preda (1954), film western di Otto Preminger, Marilyn è Kay, una donna che canta e suona nei saloon ma che vorrebbe cambiare vita. La Monroe dona a Kay un carattere forte, indipendente e coraggioso: non è affatto una sprovveduta. Il personaggio diventa poi quello di una vera e propria avventuriera che però non trascura il suo lato sensibile. Marilyn infatti, nelle scene recitate con l'attore bambino Tommy Rettig, mostra tutto il suo istinto materno, regalandoci alcuni dei momenti più dolci del film. Il personaggio di Kay rende evidente il fatto che determinazione e dolcezza possano coesistere.


Lorelei (Marilyn) in Gli uomini preferiscono le bionde


Dulcis in fundo, arriviamo a Lorelei Lee da Gli uomini preferiscono le bionde (1953) di Howard Hawks. Questo film purtroppo ha relegato la figura di Marilyn a quella della "bionda stupida". Eppure Lorelei non è affatto una stupida. Forse è poco colta, si inventa le parole, ma sa perfettamente quello che vuole e sa come "fare fessi" gli uomini. Nel finale, quando la donna parla col suo futuro suocero, tutto ciò viene a galla. Il suocero ammette che credeva che lei fosse cretina eppure ora non gli sembra per niente una cretina. Lorelei con candore quindi afferma di diventare intelligente quando le serve, ma che ciò agli uomini non piace. Questo non significa che Lorelei sia la figura della "donna sottomessa all'uomo", tutt'altro. La ragazza è un'attrice e recita anche nella vita: per raggiungere i suoi obiettivi, si adatta a seconda di chi sia l'interlocutore.


MARILYN E IL METODO 

Di Fhe Pacifico

Marilyn Monroe firma il suo primo contratto cinematografico nel 1946: il capo esecutivo della 20th Century Fox non era abbastanza sicuro delle sue capacità attoriali ma non volle perdere una figura così famosa e apprezzata dal pubblico. Il contratto termina nell’agosto del 1947 e Marilyn torna a lavorare come modella, recitando comunque in piccole parti. Solo nel 1948 arriva il suo primo vero ruolo da protagonista in Ladies of the Chorus (1948). Questo film insieme ad altre tre pellicole del 1951, As Young as You Feel (Harmon Jones), Love Nest (Joseph M. Newman) e Let's Make It Legal (Richard Sale), dove interpreta ruoli secondari, sono il trampolino di lancio della fama di Marilyn Monroe, ormai diventata una star. La sua carriera e la sua vita privata sono la rappresentazione in carne e ossa del mito hollywoodiano: una giovane e bella donna venuta dal nulla e che arriva alla fama. L’attrice, però, vive un rapporto tormentato con la sua recitazione e il suo ruolo professionale. Voleva essere più consapevole della sua arte e la sua recitazione e poteva fare ciò, secondo lei, solo allontanandosi dai mediocri ruoli hollywoodiani, intraprendendone di più drammatici, che avrebbero messo in risalto la vera attrice che era. Riesce a raggiungere questo obiettivo, almeno in parte, avvicinandosi ad una recitazione di ascendenza stanislavskiana. 

Marilyn Monroe si avvicina all’ideologia di Stanislavskij già durante il suo primo contratto con la 20th Century Fox. Lo studio la iscrive all’Actors’ Laboratory Theatre, una scuola di recitazione che insegna le tecniche del Group Theatre, il primo gruppo americano che mise in scena una recitazione basata sul pensiero stanislavskiano, ma vi si avvicinerà completamente grazie ai suoi due mentori: Michail Cechov (Marilyn Monroe sarà sua allieva agli inizi degli anni Cinquanta), e Lee Strasberg, principale insegnante della ragazza. 

Marilyn Monroe si trasferisce a New York nel 1955 per seguire le lezioni dell’Actors Studio: qui incontra Lee Strasberg, che la porterà a un mutamento radicale della sua visione di recitazione, incentrandosi principalmente sul rapporto maestro-allieva (la Monroe, infatti, aveva sentito tale necessità già con Cechov). Tra Lee Strasberg e Marilyn Monroe si crea un rapporto personale più che lavorativo: Strasberg diventa per la Monroe l’unica persona a cui poter confidare le proprie insicurezze e da cui ricevere continue rassicurazioni. La complessa relazione tra Strasberg e la Monroe si ripercuote anche sulla fruizione del Metodo: se generalmente venivano separati il momento dello studio, dove l’attore o l’attrice lavoravano su se stess*, lontan* dal set, e il momento della messa in scena, dove, sul set, veniva riportato ciò che si era sviluppato nel primo stadio, per Marilyn Monroe queste due fasi sono un’unica cosa. L’attrice lavora su se stessa con Lee Strasberg, sia durante le lezioni dell’Actors Studio sia privatamente, e sul set verrà affiancata da Paula Strasberg, moglie di Lee Strasberg, la quale ricopriva un ruolo di acting coach, continuando a svolgere quella prima fase del lavoro sul Metodo ma rendendolo più pratico, in contemporanea alla lavorazione del film.

 

Marilyn e Strasberg

Nonostante Marilyn sperasse di trovare nel Metodo una strada che le permettesse di divenire una grande attrice e non solo una star, non riuscirà mai ad applicare perfettamente gli studi alla sua recitazione. Secondo il Metodo, infatti, non avrebbe dovuto creare un’emozione ma, bensì, ricercarla nel suo passato: ciò non solo annullava definitivamente la distanza tra personaggio e attrice, ma rendeva impossibile il raggiungimento delle sue vere capacità recitative che, secondo molti studiosi, erano più istintive che razionali. Possiamo quindi affermare che Marilyn Monroe non sarà mai la piena attrice che sperava di essere, sia durante il suo periodo ad Hollywood, dove riusciva a impostare una recitazione istintiva che però veniva limitata dai personaggi stereotipati e ripetitivi, sia durante il periodo da allieva del Metodo, dove sì, potrà intraprendere i ruoli drammatici da lei voluti, ma saranno comunque ostacolati da una recitazione razionale che pian piano distrugge la donna, sul piano lavorativo e privato, i quali ormai si erano fusi insieme.


MARILYN, UNA DIVA CON LA “D” MAIUSCOLA

Di Silvia Strambi

Ma Marilyn Monroe non è soltanto attrice: prima che interprete, la donna è diva

“Divo” è, all’interno dello studio system hollywoodiano, una figura che concentra in sé una serie di significati costruiti a tavolino. Tutto nella sua vita contribuisce a far passare questi significati: i ruoli che interpreta al cinema, ciò che la stampa dice sulla sua figura, la sua storia personale…

Nel suo libro Star, Richard Dyer nota come in origine la Monroe fosse stata lanciata come “pin up-starlet”. La sua figura sulle riviste veniva pubblicizzata puntando l’attenzione sul suo corpo, un corpo perfetto ma accompagnato a una bellezza standardizzata, “americana”, comune.


Marilyn come pin up nel 1952


Un corpo, una bellezza: questo deve essere la pin up, un mero spettacolo per gli occhi che attragga ma che non sia troppo provocante. Marilyn rientra perfettamente in questa descrizione: sfiora diverse volte il confine tra ciò che il pubblico vuole vedere e ciò che può vedere. Basti pensare al momento iconico in cui la sua gonna si alza in Quando la moglie in vacanza, o alla scena in cui nuota nuda in piscina, nel suo film rimasto incompiuto, Something’s Got To Give. Marilyn si mostra con disinvoltura davanti alla macchina da presa, e più volte va oltre ciò che una pin up dovrebbe mostrare. Ricordiamo ad esempio il servizio fotografico senza veli del 1949. Le foto causarono un certo scandalo, quando furono riscoperte. Uno scandalo decisamente ipocrita, per una società puritana che pure non rinunciava a vestire le sue attrici in abiti semi trasparenti con scollature ardite. 


Marilyn in Something's got to give


Tuttavia Marilyn non è una semplice pin up. Dyer nota infatti come la donna incarnasse perfettamente le contraddizioni degli anni Cinquanta. Marilyn unisce in sé la carica erotica con un’innata innocenza, i suoi personaggi più conosciuti (Lorelei, Sugar, Pola in Come sposare un milionario…) sono sexy ma infantili. 

Personaggi da cui Marilyn tenterà di staccarsi per tutta la vita. La sua immagine di attrice alimenta e allo stesso tempo viene alimentata da ciò che lascia percepire di sé stessa, da ciò che le riviste dicono, da ciò che il pubblico sa della sua vita privata. Ecco allora che la stampa preme sulla sua immagine di “oca giuliva”, i registi vogliono che interpreti la “bionda senza cervello” nonostante dimostri grande flessibilità nel recitare. 

L’immagine divistica che le è stata appioppata diventa per l’attrice un peso insostenibile, che l’accompagnerà fino alla triste, prematura morte. Ed è solo nel momento successivo alla sua morte che, nota Dyer, la parabola della Monroe assumerà tutt’altro significato. Da ragazza di campagna che è riuscita a diventare attrice, simbolo della possibilità per ogni giovane di raggiungere Hollywood, Marilyn Monroe, come Judy Garland prima di lei, ora rappresenta la natura distruttiva del sistema divistico e l’exploitation del corpo femminile.


MARILYN E LA MUSICA

Di Eleonora Groppelli

Marilyn Monroe non solo è globalmente conosciuta come una delle più grandi attrici della storia del cinema e come icona della cultura pop: è risaputo che nella sua carriera cinematografica la musica ebbe un ruolo fondamentale. Quello che magari la maggior parte del pubblico non sa è che l'attrice ha dedicato una buona porzione della sua breve vita allo studio del canto. Lei stessa riconosceva di non possedere delle doti naturali. Grazie alla dedizione e qualche aiuto nella fase di registrazione, queste mancanze vennero nascoste.

Il tempo trascorso in studio di registrazione tra il 1948 e il 1962 dà frutto a 32 brani, tra cui si possono citare Bye Bye Baby e Diamonds Are a Girl's Best Friend (da Gli uomini preferiscono le bionde) o I Wanna Be Loved by You (da A qualcuno piace caldo).

Una delle prime esibizioni canore dell'attrice è quella nel film Orchidea Bionda (1948), in cui recita il suo primo ruolo da protagonista, con Every Baby Needs a Da-Da-Daddy. Nel 1953 regala al pubblico una delle sue performance migliori sulle note di Diamonds Are a Girl's Best Friend, canzone scritta da Jule Styne e cantata nel film Gli uomini preferiscono le bionde (tratto dall'omonimo musical del 1949). Una curiosità riguardo a questa sua interpretazione è il fatto che Marilyn fosse stata “aiutata” in alcune parti del brano. È stata infatti doppiata dal soprano Marni Nixon negli acuti iniziali e nel verso “These rocks don't lose their shape, diamonds are a girl's best friend”. Ritroviamo il brano anche nel musical Moulin Rouge! cantato da Nicole Kidman.



Degna di nota è poi la sopraccitata I Wanna Be Loved by You, una delle canzoni di Marilyn più conosciute, probabilmente perché all'interno del memorabile film di Billy Wilder: A qualcuno piace caldo. La versione di Marylin è del 1959, ma la canzone viene composta da Bert Kalmar e lanciata da Helen Kane nel 1928, per il musical Good Boy.



Indimenticabile la sua ultima esibizione: Happy Birthday Mr. President, eseguita al Madison Square Garden il 19 maggio 1962 in onore del quarantacinquesimo compleanno dell'allora presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy. Guardare quell'esibizione, accompagnata al pianoforte da Hank Jones, ci può dare la sensazione di qualcosa di improvvisato. In realtà l'attrice e cantante impiegò diverse ore nella stesura del testo e nella costruzione di quel breve spettacolo: l'ultimo tassello della carriera della diva, che contribuì alla creazione del suo mito.

Quelle sopraelencate sono solo alcune delle canzoni intonate dall'attrice durante la sua carriera. In quanto icona, Marylin Monroe è stata d'ispirazione per molti brani della storia della musica. Un esempio è Candle in the Wind, musica di Elton John e testo di Bernie Taupin, scritta nel 1973 e ispirata alla morte prematura dell'attrice: “Goodbye Norma Jean, though I never knew you at all”, (Norma Jeane Mortenson Baker era il nome di battesimo della diva). Il brano viene riadattato in onore della morte di Lady Diana nel 1997. 
Marilyn è stata ricordata anche dai Def Leppard in uno dei loro più grandi successi, Photograph, e viene nominata (insieme ad altre star) nella canzone Vogue, di Madonna (1990).


MARILYN ICONA DI STILE

Di Alessandra Vita

Gli abiti indossati da Marilyn nei suoi film sono ormai entrati nell'immaginario comune. Ciò è merito del costumista William Travilla, il quale disegnò il guardaroba dell'attrice per otto film a partire dal thriller del 1952 La tua bocca brucia.


Marilyn in Gli uomini preferiscono le bionde

Opera del genio di Travilla è il vestito rosa shocking indossato dall'attrice durante la scena di Diamonds are a girl's best friend da Gli uomini preferiscono le bionde. Si tratta di un abito di raso, con una scollatura dritta che lascia le braccia scoperte, dotato di uno spacco e un grande fiocco sulla parte posteriore. Il costume era poi completato con dei lunghi guanti dello stesso colore. Il vestito è entrato a far parte della cultura di massa ed è stato più volte citato da altre star, come Madonna nel video di Material girl.

Madonna in Material girl
        
Porta sempre la firma di Travilla l'abito bianco di Marilyn indossato in Quando la moglie è in vacanza di Wilder. Il vestito è molto semplice, tant'è che Travilla non lo annoverava tra i suoi capolavori. Si tratta di un abitino da cocktail di color avorio, con un corpetto dalla profonda scollatura formato da due pezzi di tessuto che si uniscono dietro al collo. La fascia in vita è costituita da un tessuto liscio mentre la gonna è plissettata. Anche questo costume è diventato molto popolare, è stato indossato a scopo citazionistico in varie opere e perfino dalla bambola più famosa del mondo: Barbie.

Marilyn in Quando la moglie è in vacanza

Non c'è dubbio che questi abiti abbiano contribuito a costruire l'immagine della diva, ma proprio per la loro semplicità viene spontaneo chiedersi: sono gli abiti ad aver creato Marilyn o è l'attrice che ha "dato vita" a questi vestiti?


MARILYN "UMANA"

Di Noemi Ferretti

Ma che c'era dietro quell’iconico volto perfetto e sorridente, coronato dai capelli sempre acconciati minuziosamente? La sex symbol che ci è stata presentata non è un manichino, come spesso siamo abituati a considerarla. Difatti ciò che salta meno all’attenzione del pubblico è che Marilyn avesse moltissimi problemi emotivi, personali e relazionali che l’hanno tormentata per tutta la sua breve esistenza

Figlia di Gladys Monroe, una donna affetta da gravi problemi di schizofrenia e per dei periodi internata in ospedali psichiatrici, e di un padre che non ha mai voluto riconoscere il proprio ruolo di genitore, Marilyn passa di famiglia in famiglia, fino ad arrivare a 12 famiglie diverse, senza riuscire a trovare un alloggio stabile e delle figure genitoriali amorevoli a cui affidarsi.
A 11 anni viene violentata: lo stupro tuttavia non viene mai riconosciuto. Anzi, la prozia la accusa e la frusta per punizione, per essere stata troppo provocante con l’uomo che l’ha violentata. 
A 16 anni si sposa per sfuggire alle famiglie a cui viene affidata di volta in volta, ma il matrimonio durerà molto poco, soltanto quattro anni, come del resto poi sarà prassi per tutte le sue relazioni. 
La sua vita è infatti una costante di relazioni che finiscono una dopo l’altra; il commediografo Arthur Miller rivela che Marilyn sembrava sempre avvolta da un alone di oscurità per il quale lui non conosceva rimedio. Marilyn stessa in un’intervista del 1960 afferma di essere generalmente triste, di sentirsi felice soltanto nel momento in cui riesce ad ottenere determinate cose nel proprio lavoro. Tuttavia in un’altra intervista, poco tempo prima della sua morte, ammette di sentirsi come “una sovrastruttura senza fondamento”, e nei suoi diari personali scrive spesso di desiderare di essere morta
I suoi diari e taccuini sono stati lasciati a Lee Strasberg; pubblicati soltanto dopo anni dalla morte della Monroe, sono proprio questi a rivelare i demoni che l’hanno accompagnata nella sua vita. 

Marilyn alle sue prime nozze

Dopo il terrore impostole dalla prozia a seguito dello stupro, la scena cruciale per Marilyn è quella iconica in cui le si solleva la gonna: come afferma nel suo diario, quello è il momento in cui la donna si libera dell’influenza di quell’avvenimento traumatico. Tuttavia l’indipendenza e il proprio lavoro non le impediscono di continuare a sentirsi profondamente sola: afferma sempre nei suoi diari di aver paura di sbagliare, di temere che gli altri ridano di lei, di voler scomparire da ogni posto, di “sentire la vita farsi più vicina quando vuole solo morire”, di sentirsi una bambola di pezza, di essersi sempre sentita sola e diversa dagli altri mentre cresceva. Afferma inoltre di sentirsi divisa tra la donna diventata attrice di fama mondiale e la bambina abbandonata, di confondere le due “persone” a volte, sentendo di non aver mai vissuto e di non essere mai stata amata durante la sua vita.

Viene ricoverata nell’ospedale psichiatrico Payne Whitney ma riesce ad uscire grazie all’intervento dell’ex marito, Joe di Maggio. Tra gli analisti che la seguono c’è anche Anna Freud, che la definisce “emotivamente instabile, fortemente impulsiva, bisognosa di continue approvazioni da parte del mondo esterno; non sopporta la solitudine, tende a deprimersi di fronte ai rifiuti, paranoide con tratti schizofrenici”. L’ipotesi di un disturbo borderline è estremamente gettonata poiché Marilyn affermava spesso di sentirsi vuota e senza identità, e nelle relazioni instabili che hanno caratterizzato la sua vita probabilmente cercava quel punto fermo che non è mai riuscita ad ottenere.

Quella di Marilyn è purtroppo la storia di una donna profondamente sofferente, che il mondo ha considerato soltanto per la sua intramontabile bellezza.

Marilyn



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