Di Federica Miranda
Il 21 giugno, oltre ad essere il solstizio d'estate, è da anni la Festa della Musica. Durante il giorno più lungo e luminoso dell'anno abbiamo deciso di celebrare Euterpe, "colei che rallegra", musa greca della musica, protettrice della tragedia, della danza e del flauto (sì, anche quello dolce, ma non come ce lo insegnano a scuola).
Quest'occasione mi ha portato a riflettere sulla questione dell'educazione scolastica riservata alla musica, partendo da uno spunto specifico: a cinquantaquattro anni mio padre ha guardato per la prima volta un balletto classico in televisione.
I suoi sono cinquantaquattro anni in cui la passione per la musica non è mai mancata ma, ovviamente, non avendo ricevuto particolari stimoli, non si è mai allontanato più di tanto da quella di consumo prevalente del periodo.
Perché sì, è tutta (o quasi) una questione di stimoli.
Come si può pretendere che una persona che non ha mai ricevuto il minimo stimolo si avvicini ad una musica così diversa da quella che sente in ogni dove e che addirittura porta la nomina di essere noiosa?
L'ignoto fa paura, anche e soprattutto in musica, dove ci sono cantanti che guaiscono per ore in un teatro pieno di gente inamidata, pronta a zittirti con il dito non appena fiati.
La musica infatti, soprattutto quella strumentale, sembra così evanescente, così intangibile da spaventarci ed indurci a fuggire via.
Ebbene, questa evanescenza di cui parliamo non è che la sua caratteristica più specifica e nobile, alla quale manca, per lo meno apparentemente, una concettualità chiara e definita.
È proprio questa mancanza di tangibilità a far sì che ancora non esistano (o quasi) delle istituzioni dedicate al suo apprendimento totale, sviluppandone solo una fra le tante caratteristiche: la teoria o la pratica. In sostanza, se vuoi suonare c’è il Conservatorio, altrimenti fai il DAMS, ammesso poi che non si tramuti in grande contenitore ibrido con tutti quegli ambiti a cui non è degno dedicare una specifica area di studi.
Eppure mio padre, a cinquantaquattro anni vissuti tra Sting e Jovanotti, sta aspettando con ansia il prossimo balletto di Rai 5, e ciò rende ancora più evidente il fatto che educare all’ascolto si può e si deve, e che non è mai troppo tardi.
Ciò a cui però purtroppo stiamo assistendo è una diseducazione alla musica.
Nel 1865 il ministro dell’Istruzione Francesco De Sanctis sostiene che la musica sia una materia superflua, in quanto non produce “valentuomini ma buffoni”.
Nel 1923 con la riforma Gentile si vede l’inserimento della pratica del canto nelle scuole elementari, ma è solo nel 1979 che diviene disciplina autonoma anche nella scuola media.
Nei licei invece la materia “Musica e Canto corale” è presente dal secondo dopoguerra fino al 2010 solo negli indirizzi magistrali (prima) e socio-psico-pedagogico (poi).
Dal 2010 la musica è ufficialmente e completamente scomparsa da qualsiasi istituzione liceale, ad esclusione dei neonati licei musicali, se non talvolta, con progetti occasionali che rischiano solo di ridicolizzare agli occhi di studenti e professori, una pratica che è stata già sufficientemente svalutata.
Ciò ha portato l’Italia, terra un tempo fra le più prolifiche in quanto a musica e musicisti, ad essere attualmente uno fra gli ultimi Stati europei a livello di fondi per essa stanziati.
Il problema dunque sorge attraverso un rapporto educativo (o diseducativo) all’interno della scuola, che ha sempre tentato di svalutarla mettendola al pari delle discipline tecniche, già a partire dalla riforma Gentile. Volendo dunque incasellare la musica, stravolgendola nella sua fuggevolezza (si tratta infatti di una disciplina uditiva che si dissolve nel momento stesso in cui viene fruita) non si ha che una banalizzazione del discorso.
E, per continuare sulla scia della svalutazione, nonostante nella scuola primaria l’insegnamento della musica sia previsto, non è richiesta la presenza di un docente specializzato, ma anzi, viene impartito da insegnanti non qualificati, a meno che questi non abbiano in possesso una formazione musicale personale.
Non è cercando di incasellare l’intangibilità della musica che si può ovviare a questa svalutazione, ma stracciando lo spartito di Titanic per flauto dolce e aprendosi all’infinito che si cela dietro di esso.
Servono dunque più qualifiche e meno “pianole" affinché non solo mio padre, ma anche i miei futuri figli possano un giorno sapere e riuscire godere della bellezza di un balletto.
Intanto nel club è entrato un nuovo membro: stasera mio padre è in prima fila per la riapertura dei teatri.
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