Plague Mass: l'album che raccontò l'AIDS

Di Luca Martinelli

Cover dell'album Plague Mass di Diamanda Galás

In tempi di Covid, è molto facile dimenticarci di altre malattie o sindromi. Sembra di essere cristallizzati in una dimensione spazio-temporale di un presente grigio: un limbo senza memoria. Tuttavia solo 30 anni fa un’altra pandemia metteva in crisi le certezze della società umana: trattasi della pandemia, ancora oggi in corso, di AIDS. 
La pandemia di AIDS è stata anche motivo di grandissima ricerca per artisti di ogni ambito. Pensiamo alle splendide fotografie di Robert Mapplethorpe o al coraggiosissimo film Blue di Derek Jarman. In questo caso andremo ad analizzare una delle opere capitali sulla pandemia di Hiv: la Plague Mass di Diamanda Galás. Questa esecuzione, incisa su disco, a metà tra il teatrale ed il musicale, è una delle opere fondamentali per il riconoscimento dei diritti LGBTQ+.

LA STORIA

Diamanda Galás nasce a San Diego nel 1955 da una famiglia di origini mediterranee. Il padre la introduce alla musica e le fa scoprire il pianoforte, ma allo stesso tempo è una figura castrante: impedisce infatti a Diamanda di cantare. Tutta la famiglia è fortemente influenzata da un retaggio cristiano-conservatore. La Galás troverà nel rapporto col fratello e nella lettura di scrittori quali Sade e Poe e Nietzche una possibilità di redenzione. 
Nel 1975 la Galás interrompe i rapporti con la famiglia, tranne che con il fratello. Inizia a studiare composizione e recitazione. La sua carriera sarà sempre legata alla composizione di musica sperimentale ed ad un forte approccio teatrale, non dimenticando mai problemi sociali. Quella della Galás non è mai art pour l’art, bensì un unione tra un approccio avanguardistico ed una chiara apertura verso il mondo esterno.

Le sue prime esibizioni risalgono al 1979 nell’ambito di un progetto dedicato ai malati psichiatrici. 

Negli anni successivi la Galás si concentra nella produzione di diversi dischi. Il denominatore comune tra questi sono un uso particolarissimo della voce, gli strumenti spesso ridotti fino all’uso estremo della sola voce accompagnata da un sintetizzatore e i testi pregni di citazioni colte. I diretti riferimenti della Galás sono gli studi vocali di Demetrio Stratos, il teatro surrealista, Rimbaud e Baudelaire. 

La Plague Mass nasce dagli ultimi tre dischi dell’artista prima degli anni ‘90. Questi sono The divine punishment, Saint of the pit e You must be certain of the devil, uniti dal filo conduttore del progetto di una trilogia chiamata “La maschera della morte rossa”(citazione esplicita ad Edgar Allan Poe). 
La “morte rossa” non è altro che l’HIV: la Galás ha particolarmente a cuore questo tema in quanto il fratello omosessuale è morto tragicamente a causa di questo virus. Nel 1989 la Galás viene arrestata durante una pacifica protesta contro il cardinale O’Connor. Questi avversava fortemente ogni campagna per il sesso sicuro e l’accettazione dell’omosessualità, e la conseguente normalizzazione di essa, all’interno della società.

IL DISCO

Plague Mass è un disco registrato dal vivo nella cattedrale di St. John The Divine a New York. Ella si presenta cantando nuda, mascherata di sangue ed illuminata da una lieve luce. Viene accompagnata unicamente da un synth.

La Galás vuole levarsi diversi sassolini dalle scarpe: i bersagli delle sue canzoni sono la religione cattolica, i suoi rappresentanti, il bigottismo e l’ignoranza. La voce della cantante si alterna tra ululati provenienti dagli inferni dell’anima, diplofonie, triplofonie e momenti di canto angelico. 
I testi vengono ripresi da opere letterarie o dalla Bibbia. This is the law of the Plague non è altro che una rivisitazione del Levitico, il terzo libro dell’opera sacra; Cris d’Aveugle è una poesia di Tristan Corbiere. Non mancano testi originali scritti dalla stessa cantante.

This Is The Law of the Plague, Diamanda Galás, da Plague Mass

L’artista ha un’intenzione puramente comunicativa all’interno di questo live: ella non cerca la perfezione della voce, nonostante in certi momenti l’estensione vocale raggiunga ampiamente e superi le cinque ottave. Il suo obbiettivo è colpire lo spettatore attraverso uno spettacolo pulsionale, dove tutto viene ricondotto alla qualità emozionale di una voce che si alterna tra  rabbia e disperazione. La Galás vuole esporre al pubblico, oltre alla denuncia sociale contro i pregiudizi sui malati di HIV, un suo privato dolore. 

Un dolore che in certi momenti raggiunge livelli estremi. Pensiamo all’apparente dichiarazione satanica de “Io sono l’Anticristo”, cantata ed urlata con una voce che si alterna tra lo strozzarsi e l’urlo primordiale, o all’amarezza sarcastica di Confessional; give me sodomy or give me death. Nonostante gli evidenti riferimenti a Nietzsche in tutta l’esibizione, per apprezzare al meglio il disco occorre conoscere la storia privata dell’artista.

Il disco non verrà mai compreso del tutto: non è un caso che ad ogni esibizione della Galás in Italia si trovano numerosi oppositori. Nel 1990 fu il clero a ritenere inopportuna la presenza della Galás sul suolo italiano, negli anni 2000 furono i partiti di destra. 
Ma la Plague Mass appare come un manifesto contro l’ignoranza ed i pregiudizi, una rivendicazione di dolore e soprattutto una riflessione sul concetto di libertà, sia che si tratti di libertà di espressione e di libertà sessuale.

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