Diaz: quel sangue non va pulito

Di Luca Martinelli

Scena tratta da Diaz-Don't clean up this blood (2012), © Fandango

Esistono film che vanno per forza visti: Diaz è uno di questi. 

I fatti del G8 di Genova sono stati quasi rimossi dalla memoria collettiva: sembra quasi che occorra parlarne sottovoce, senza farsi sentire, tanta è la vergogna che si prova nel descrivere la barbarie avvenuta all’interno della scuola Diaz nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 e ciò che successe nella caserma di Bolzaneto. Il film di Daniele Vicari in questo è come un farmaco contro la tendenza all’oblio di questo paese: il regista laziale vuole mostrare la verità ricostruita dai processi senza alcun pudore. Perché i responsabili dello scempio agirono senza pudore.

La trama del film è puramente fiction: Luca (giornalista), Anselmo (appartenente al Sindacato Pensionati della CGIL), Bea e Ralf (una coppia in viaggio), Etienne e Cecile (due anarchici protagonisti degli scontri precedenti all’irruzione della polizia alla Diaz) e Max (vicequestore aggiunto al primo reparto mobile) si ritrovano tutti per un caso del destino all’interno della scuola Diaz quella notte. Ognuno subirà le conseguenze e gli strascichi del dramma. 

Tecnicamente il film è girato benissimo: oculatissima la scelta dei rallenty e degli slow motion, perfette le riprese in interni, la fotografia è nitida e pulita senza il bisogno di particolari virtuosismi.
L’abilità di Vicari è un’altra: quella di mostrare tutto il mostrabile (perché molte cose non sono purtroppo mostrabili in un film) senza mai dichiarare un’appartenenza politica e senza mai scadere nella banale pornografia della violenza. L’occhio del regista è lucido: sa cosa far vedere e cosa no. Ma non indugia quando si tratta di mostrare le ferite sui corpi o un manganello scagliato con violenza contro un manifestante inerme: è proprio questa fermezza, data da una necessità documentaristica e da un enorme senso civile, a colpire lo spettatore. Lo scopo di Diaz è quindi pienamente raggiunto. 

Scena da Diaz-Don't clean up this blood (2012), © Fandango

C’è tuttavia un ma, un enorme ma.

Le vittime dei fatti della scuola Diaz e delle torture alla caserma di Bolzaneto non sono mai citate esplicitamente all’interno del film, nonostante l’intenzione dell’autore di mettere un elenco puntato delle vittime all’inizio della pellicola. 

I finanziamenti per il film sono arrivati da Francia e Romania, perché in Italia nessuno ha avuto il coraggio di finanziare una pellicola vera (nel senso letterario del termine). Associazioni e Sindacati di Polizia si sono vergognosamente scagliati contro il film, denigrando il regista e rigettando ogni genere di accusa presente all’interno dell’opera. 
Vanno quindi fatte delle considerazioni: in questo paese i fatti vengono spesso dimenticati, manipolati, distorti. In giorni come questi dove le notizie provenienti da Santa Maria Capua Vetere vengono messe in trafiletti di giornale, quando invece la gravità dei fatti necessiterebbe uno spazio molto più amplio, è necessaria una presa di coscienza da parte del paese. Le forze dell’ordine italiane, in più occasioni, non hanno svolto correttamente il loro compito: da protettori della legge si sono trasformate (al G8 di Genova come a Capua Vetere) in perpetratori di abusi nel nome di una mania di prevaricazione.

È in giorni come questi che occorre che il sangue rimanga sulle pareti e sui muri, affinché coloro che hanno patito la sofferenza e la vergogna della tortura non vengano dimenticati. È in giorni come questi che occorre non dimenticare e ricordarsi di come la peggior violazione dei diritti umani dal dopoguerra è avvenuta a pochi chilometri da noi. Altrimenti saremo semplicemente complici del peggiore dei sistemi: il sistema della rimozione.

Claudio Santamaria in Diaz-Don't clean up this blood (2012), © Fandango

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