Di Alessandra Vita
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Gli Azzurri di Mancini, 2021 |
Nelle ultime settimane in tutta l'Europa si è respirato un intenso profumo di calcio.
Ebbene, proprio quest'atmosfera mi ha spinto a scrivere l'articolo che state leggendo e a sostenere fermamente che il calcio sia una forma d'arte. A questa mia affermazione probabilmente molti staranno inorridendo mentre i tifosi più accaniti si troveranno d'accordo con me.
Lasciate dunque che mi spieghi meglio.
Pensiamo all'esperienza del teatro o del cinema: ci si ritrova tutti insieme in una sala buia (condizione che nella vita è piuttosto inusuale). Per circa due ore sei seduto tra persone che probabilmente non rivedrai più e condividi con loro un'esperienza voyeuristica ma anche sentimentale. Insieme a quegli sconosciuti ridi, piangi, ti emozioni per ciò che vedi sullo schermo o sul palco. E durante l'intervallo, quando le luci si accendono, puoi finire a parlare con i tuoi vicini di posto di ciò che avete appena visto, senza che ci sia bisogno di presentazioni.
Il calcio offre un'esperienza simile ma per certi versi più intensa. Se si guarda una partita allo stadio si è in un ambiente luminoso. I tifosi sono in piedi, cantano tutti insieme, esultano, incitano i giocatori, imprecano contro gli arbitri e, infine, si abbracciano quando la squadra fa gol. Ma questa magia in qualche modo si mantiene anche per chi guarda le partite da casa: ci sarà sempre qualcuno nel tuo palazzo che tiferà la tua stessa squadra e che sentirai gridare quando qualcuno si sarà "mangiato" un'occasione per segnare.
E quando gioca la nazionale tutto ciò è amplificato.
Tutta l'Italia alla stessa ora si attacca alla tv o al pc e condivide un'esperienza comune. Per quei 90 minuti non esistono più laziali o interisti, si tifa tutti per gli Azzurri e la gioia o la tensione diventa ancora di più un'esperienza corale. E quando si vince allora si esulta alla finestra insieme a tutti gli sconosciuti che vivono nei palazzi accanto e che l'indomani incontrerai per strada e continuerai a ignorare, ma che in quel momento fanno parte della tua squadra. La nazionale elimina le differenze, per quelle poche ore ci si dimentica di tutti i problemi dell'Italia e si sente di far parte di un gruppo. L'uomo è un animale sociale, a livello psicologico ha bisogno di sentire una connessione con altri esseri umani. E secondo me, dopo quasi 2 anni di pandemia, avevamo tutti bisogno di questi Europei.
Proprio questo sentimento che ho cercato di rievocare viene descritto molto bene dal poeta Umberto Saba nella poesia Squadra paesana. Saba andò per la prima volta allo stadio grazie alla figlia, la quale voleva assistere a una partita della Triestina. Il poeta era del tutto estraneo a questo sport e non capiva perché la gente si esaltasse a vedere degli uomini calciare un pallone. Ma una volta lì Saba si lasciò abbracciare dall'allegria contagiosa dei tifosi e dal talento dei calciatori, si sentì parte di quella collettività che tanto da poeta anelava e ne divenne appassionato.
Anch'io tra i molti vi saluto, rosso-
alabardati,
sputati
dalla terra natia, da tutto un popolo
amati.
Trepido seguo il vostro gioco.
Ignari
esprimete con quello antiche cose
meravigliose
sopra il verde tappeto, all'aria, ai chiari
soli d'inverno.
Le angoscie
che imbiancano i capelli all'improvviso,
sono da voi così lontane! La gloria
vi dà un sorriso
fugace: il meglio onde disponga. Abbracci
corrono tra di voi, gesti giulivi.
Giovani siete, per la madre vivi;
vi porta il vento a sua difesa. V'ama
anche per questo il poeta, dagli altri
diversamente - ugualmente commosso.
Molti artisti erano appassionati di calcio e vi hanno discusso: colui che per me ne ha forse parlato meglio è Pierpaolo Pasolini.
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Pasolini gioca a calcio |
Pasolini riteneva che il calcio fosse «l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro». Affermazione interessante se si pensa che anche il teatro è nato in forma rituale. E per i tifosi guardare la partita, che sia alla televisione o allo stadio, è un appuntamento fisso, quasi un rituale. Come ogni rito poi ci sono le proprie credenze e superstizioni, come il "non gufare".
Un'interessante e ironica rappresentazione del calcio come rito che ha la precedenza su tutto, ce la offre Dino Risi ne I mostri (1963) nell'episodio Che vitaccia!. Qui Vittorio Gassman interpreta un baraccato, pieno di figli (di cui uno malato), povero e incline alla lamentela. Ma, nonostante la sua vita stia andando a rotoli, spinto dalla moglie, abbandona comunque tutti i suoi doveri per andare allo stadio a vedere la Roma.
Episodio Che vitaccia! da I mostri di Dino Risi
Sempre Pasolini poi reputava il calcio un vero e proprio linguaggio.
Egli scrive infatti che il calcio ha tutte le caratteristiche fondamentali del linguaggio scritto-parlato. Le nostre parole si formano «attraverso le infinite combinazioni dei “fonemi”: che sono, in italiano, le 21 lettere dell’alfabeto. I “fonemi” sono dunque le “unità minime” della lingua scritto-parlata». L’unità minima della lingua del calcio è per lui “un uomo che usa i piedi per calciare un pallone” e lo definisce un “podema”. «Le infinite possibilità di combinazione dei “podemi” formano le “parole calcistiche”: e l’insieme delle “parole calcistiche” forma un discorso, regolato da vere e proprie norme sintattiche». Le parole calcistiche sono poi per lui infinite «perché infinite sono le possibilità di combinazione dei “podemi” (ossia, in pratica, dei passaggi del pallone tra giocatore e giocatore); la sintassi si esprime nella “partita”». I giocatori e i tifosi comprendono un codice comune.
«Chi non conosce il codice del calcio non capisce il “significato” delle sue parole (i passaggi) né il senso del suo discorso (un insieme di passaggi)».
Pasolini poi introduce una differenza: nel calcio esiste un linguaggio prosastico e linguaggio poetico. Questo cambia a seconda del calciatore. Momenti solo poetici sono invece i goal. «Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica».
Ed è proprio per questo che credo che il calcio sia una forma d'arte. Una partita è come un film scritto con una sceneggiatura a canovaccio: sai chi gioca, conosci (circa) la durata della partita, e i calciatori, dopo essersi allenati anche basando le proprie tecniche su come poter contrastare meglio la squadra avversaria, hanno un'idea generale di ciò che faranno in campo. Poi dal calcio di inizio è tutta improvvisazione. Ogni giocatore ha il suo stile, un po' come gli attori. E quei calci al pallone creano la partita come se stessero scrivendo su un foglio di carta, un po' come la camera stylo teorizzata da Delluc. Un allenatore poi deve essere un regista: deve preparare a dovere gli attori e sapere quando fare dei cambi.
Tutti i gol degli Azzurri ai mondiali del 2006
Come ho scritto, il calcio ha la capacità di annullare ogni tipo di differenza sociale ma è anche in grado di avere un importante valore politico di rivalsa.
Basti pensare alla famosa "partita della morte" tenutasi durante la seconda guerra mondiale a Kiev il 9 agosto 1942, tra alcuni calciatori delle società calcistiche ungheresi Dynamo e Lokomotiv e una squadra di ufficiali dell'aeronautica militare tedesca, la Luftwaffe. Da questo evento sono stati tratti i film Il terzo tempo da Evgenij Karelov, Due tempi all'inferno di Zoltán Fábri e Fuga per la vittoria di John Huston (nel quale sono presenti nomi celebri del calcio, come Pelé e Bobby Moore). Tutti i film, seppur con qualche variazione, presentano una partita tra detenuti in un campo di concentramento e nazisti.
E sono molti anche i film in cui è proprio una partita di calcio a segnare la svolta della trama: basti pensare al lungometraggio Disney Pomi d'ottone e manici di scopa, uno dei miei preferiti da bambina.
Nel film i protagonisti, per riuscire a rubare una collana con su scritta una formula magica, devono arbitrare una partita di calcio tra animali.
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Una scena di Pomi d'ottone e manici di scopa |
E come non citare poi la famosa scena della partita di pallone in Tre uomini e una gamba con Aldo, Giovanni e Giacomo? Anche qui la partita riveste un ruolo fondamentale per la storia: si stanno infatti letteralmente giocando una gamba (anche se di legno).
Aldo, Giovanni e Giacomo in Tre uomini e una gamba
Questa scena è dichiaratamente ispirata al film Marrakech Express:
Ci sono davvero molti film che possiedono scene legate al mondo del calcio (come la partita tra scapoli e ammogliati in Fantozzi) o che sono del tutto ispirati all'ambiente calcistico (come L'allenatore nel pallone con Lino Banfi). Non contiamo poi tutti i biopic sulle vite dei calciatori.
Il calcio è arte che genera altra arte.
Per concludere prendiamo in esame Carmelo Bene. Egli amava ciò che era extra-ordinario, ciò che andava oltre. Per l'attore, finché c’è coscienza si è nel mondo della rappresentazione, che Bene ha sempre evitato nel suo teatro. Bene amava tutto ciò che era altrove, i non luoghi, il non rappresentare inteso come non ri-presentare.
E questo lo trovò proprio nel calcio. «Del calcio, e dello sport in generale mi interessa solo quanto eccede lo sport medesimo, non la routine, non il gioco duro, non importa se a zona o a uomo, non mi interessa il gol in sé, né le tifoserie né il risultato: mi interessano solo gli atti, i gesti straordinari» affermava Bene. L'attore ammirava i giocatori non consci, quelli che invece di giocare venivano giocati, come in preda a un'esperienza estatica.
Il calcio dunque esce dalla rappresentazione e diventa teatro quando il giocatore dimentica schemi e tattiche e fugge le regole.
Se il calcio può far raggiungere non luoghi come fa il teatro, allora questa è un'ulteriore conferma del fatto che esso sia una forma d'arte. E con questa nuova consapevolezza, auguro a tutti i lettori una buona partita.
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