Fino all'estremo. Le ultime tracce di Andrea Pazienza

Di Laura Astarita


Per informazioni relative alla mostra, visitare: www.palazzoalbergati.com

Corteo a Bologna, Andrea Pazienza.



Mi è stato fatto notare che il 100% di ciò che conosco della storia del postmodernismo, lo devo alla Bibbia degli anni '80: Un weekend postmoderno di Pier Vittorio Tondelli. Da matricola, frequentando il DAMS, è dalle sue pagine che vengo a conoscenza di "Paz". Le parole di Tondelli sono lusinghiere, definendolo Pazienza: «Il James Joyce del fumetto». (1) In seguito, trovo un commento di Tondelli scritto nel 1988, nel quale cerca di scendere a patti con la notizia della morte del fumettista. Commento, quello di Pier Vittorio, che mi sento di trascrivere fedelmente a seguito: 

«Andrea Pazienza è riuscito a rappresentare, in vita, e ora anche in morte, il destino, le astrazioni, la follia, la genialità, la miseria, la disperazione di una generazione che solo sbrigativamente, solo sommariamente, chiameremo quella del '77 bolognese». (2) 

In questo periodo, a Bologna, al Palazzo Albergati, resterà in allestimento fino al 26 settembre la mostra Fino all'estremo di Andrea Pazienza. Qui ci vengono introdotti i principali delle sue opere: Pentothal, Zanardi e Pompeo.

«La Bologna che fa da sfondo alle Straordinarie avventure di Pentothal non è una Bologna fantastica, ma una Bologna storica fantasticamente immaginata da Andrea Pazienza prima che la storia accadesse, mentre la storia si avviava ad essere». Oreste Del Buono descrive così l'atmosfera restituita da Paz nei suoi fumetti, redigendo la prefazione della prima edizione de Le straordinarie avventure di Pentothal (1977).

Specialmente in Pentothal, Pazienza immerge il lettore-spettatore in quello che è uno spaccato di vita di uno studente, fuorisede, trapiantato in questa Bologna esistenziale, contestualizzata e senza tempo. Le "avventure" di Pentothal sono infatti per lo più "seghe mentali" dell'artista, una messa a fumetti del suo subconscio (un flusso di coscienza, appunto, se volessimo riprendere il paragone con Joyce). Da questo subconscio, però, non emerge solo il disagio di un individuo, ma tutte le ansie della sua generazione per il cambio epocale che sta vivendo. 

La composizione delle tavole e l'uso di diversi stili di disegno sono un elemento senz'altro rivoluzionario. L'eterna sperimentazione di Pazienza lo conduce anche a tentativi di integrazione con la Pop Art di Andy Warhol o l'iperrealismo pornografico di Milo Manara. Ciò che identifica però i fumetti di Pazienza, soprattutto agli esordi della sua carriera, è la claustrofobia. I disegni sono, infatti, pieni zeppi di dettagli, talvolta piccolissimi, microscopici, interamente fatti a mano. La minuzia di particolari, di elementi, tesi a riempire gli spazi vuoti, sembrano il tentativo di sopperire ad un horror vacui generazionale; lo stesso su cui, impunemente, specula il consumismo moderno. 

Ad Albergati, riesco a vedere la versione originale di alcune tavola delle Straordinarie avventure di Pentothal, e mi rendo conto però di altre cose che con la stampa sono andate inevitabilmente a perdersi. 

Prima di tutto: la grandezza delle tavole, ben superiori al formato in cui viene stampata di solito per gli editori (almeno, rispetto ai volumi che ho visto io). Tavole piuttosto grosse, piene zeppe, trabordanti di dettagli: non c'è un solo angolo vuoto. 

Le straordinarie avventure di Pentothal, Andrea Pazienza, dettaglio.

Secondo: gli «scazzi». Così Tondelli definiva gli "errori" di Andrea Pazienza nei suoi disegni, che risolveva spartanamente ridisegnando su un cartoncino la parte "scazzata" della tavola per poi ritagliarla e riappiccicarla con la colla sopra il disegno. Un'operazione di collage che ha significato un "aggiustamento" in corner, necessario a limitare i danni e non buttare via una tavola quasi perfetta. Un vero e proprio colpo da antimaestro.

"Tu critichi le sbavature perché sei pignola, e hai sempre da lamentarti", mi hanno detto. In realtà ne parlo perché, nelle sbavature di Pazienza, io mi ci ritrovo sorprendentemente. C'è qualcosa di troppo umano in queste tavole, qualcosa di talmente umano che è in grado di legare due generazioni diverse. La genialità di risoluzione degli "scazzi" di Pazienza, infatti, è così coerente con il suo stile di vita da eterno fuorisede, che ogni studente di oggi, che abbia raggiunto l'apogeo nell'arte di arrangiarsi, può davvero ritrovarcisi, nonostante siano passati 50 anni. Oggi con il digitale è impossibile comprendere questo aspetto del genio di un artista. Più che nella minuzia del dettaglio, nello scazzo si avverte ancor più il passaggio delle mani dell'artista. La sua ultima traccia sul foglio di carta, prima di abbandonarla al suo destino: alla stampa e infine al lettore. 

Se Bologna è senza tempo in Pentothal, al Palazzo Albergati viene invece messa in mostra una serie di tavole di Zanardi medievale: un fumetto "storico" ambientato nel Medioevo e rimasto, sfortunatamente, incompiuto. Oltre alla composizione delle tavole e la mescolanza di stili, qui salta all'occhio anche l'eterogeneità delle tecniche e l'uso di colori vivaci (resi coi pennarelli della Carioca, si direbbe), con una cura dei dettagli ancor più meticolosa rispetto al Pentothal. 

Zanardi medievale, Andrea Pazienza, dettaglio.


Quello che sorprende non è solo la rudimentalità dei materiali da disegno (è difficile ai giorni nostri che un illustratore possa colorare a pennarelli una tavola), ma è anche, a livello di scrittura, il mash-up del linguaggio di Piazza Verdi con quello dell'Università, trasformando la lingua di Zanardi in uno stilnovismo maccheroinomane che fa sorridere. Ciò che ho apprezzato di più, tuttavia, della mostra, è stata la sezione dedicata a Pompeo: meno tavole sono presenti, questo è vero, ma sono a parer mio sufficienti.
Pompeo viene disegnato e scritto sui fogli a quadretti e righe. Inizialmente, pensavo per occupare "naturalmente" lo spazio vuoto. Ma Gli ultimi giorni di Pompeo sono anche gli ultimi giorni di Pazienza, ed è ora evidente come lo spazio vuoto per Paz si stia accomodando nella sua arte con più familiarità. Le pagine a quadretti, preferite ai comuni fogli A4, sono pagine di diario. La raffigurazione del personaggio di Pompeo è quasi un autoritratto dell'artista, e viene ricorrentemente raffigurata frontalmente, come se fosse un santino. Il tema dominante del fumetto è il rapporto di dipendenza all'eroina, confermando Pompeo come l'alter ego protagonista del suo autore. Ironia della sorte, infatti, Pazienza morirà, in seguito ad un'overdose, appena un anno dopo la pubblicazione del Pompeo.

L'intimità e la veggenza con cui l'artista si mette a nudo e si sviscera, sono le stesse che permisero a Tondelli di chiedersi: a chi appartiene la vita di un artista? Quanto della vita di Paz appartiene a noi, pubblico di lettori, e quanto di lui era talmente intimo e personale da morire insieme a lui? 


Pompeo, Andrea Pazienza



Il confine tra artista e uomo, in Pazienza, è talmente sottile che alcune persone ancora non sono riuscite a perdonarlo per la sua morte. Io non ce l'ho così tanto con lui, però ad esempio ho trovato molto ingiusto che Paz sia dovuto morire prima di aver terminato il suo ultimo fumetto, nonché il mio preferito: Astarte. Astarte sarebbe potuto essere, a parer mio, la magnus opus di Andrea Pazienza. Quella più accessibile, forse, ma anche quella più dura, il buco della serratura per spiare oltre il '77, senza però riuscire a dimenticarlo.

Sulla parete opposta alle prime tre tavole di Astarte, viene esposta, a Palazzo Albergati, la vignetta che Pazienza creò in occasione dell'attentato alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980. La vignetta mi colpisce molto, perché è molto più trasparente e facile da interpretare, rispetto alle altre che ho visto: mostra alcuni personaggi in un quotidiano e farneticante incedere: parrebbe una delle solite "seghe mentali" del James Joyce del fumetto. Sembra quasi infatti che si stia svolgendo una discussione tra alcuni di loro, una rottura del quotidiano, però il lettore non saprà mai come proseguirà l'azione: una bomba esplode, senza preavviso, e il fumetto finisce. I personaggi di Pazienza muoiono, e le loro ultime parole vengono lasciate monche, incompiute, senza alcun senso. Non si saprà mai cosa avrebbero potuto dirci, il flusso di coscienza si disperde nel vuoto e quel che resta è il caos da cui nasce. 

Il modo in cui Pazienza rende l'imprevedibilità della morte, il suo arrivo improvviso come lo scoppio di una bomba, esposta vicino ad Astarte, la sua ultima storia lasciata incompiuta, danno l'idea della fragilità di un artista e di quanto la sua arte caotica fosse sottomessa ingiustamente alla sua umanità. 

Quanto della vita di un artista ci appartiene? Ogni traccia, ogni prova del suo genio, ogni dettaglio che può aiutarci a decifrare il caos dell'arte che ci ha lasciato. Questa sembra la risposta che vuole darci Fino all'estremo. 

Astarte, Andrea Pazienza


Dunque, perché visitare la mostra Fino all'estremo a Palazzo Albergati?

Perché si tratta di un'esposizione di pezzi da 200. L'analisi ravvicinata delle tavole aiuta, indubbiamente, a comprendere meglio e in modo più approfondito il lavoro di un artista che ha davvero lavorato fino all'estremo. Disposto a dare il tutto per tutto, senza tralasciare nulla del suo essere, Paz si è messo totalmente in gioco nella sua arte. Quello che si può dire dell'esposizione, è che purtroppo non aiuta molto chi si presenta a Palazzo Albergati senza sapere nulla di Andrea Pazienza. Di primo impatto, ho pensato che i curatori avrebbero dovuto aggiungere dei pannelli di spiegazione, di divulgazione sui diversi personaggi di Pazienza (le differenza tra Zanardi, Pentothal e Pompeo, ad esempio, o i fumetti nei quali appaiono), favorendo forse anche un po' di più l'interattività. 

Poi ho realizzato: Fino all'estremo è un santuario travestito da cimitero. Le tavole esposte sono delle lapidi, in memoria e in onore del martire-Pazienza. Le parole di Tondelli hanno consacrato Paz ai giorni nostri, forse anche perché nessuno è mai riuscito a superare Pazienza. La mostra non usa parole, lasciando che le ultime tracce di Andrea Pazienza parlino da sé, proprio perché le parole ci tradiscono: possono essere lasciate a metà, sia a causa di una bomba o di un'overdose. Fino all'estremo pone invece, di fronte allo spettatore, le viscere di Pazienza come su un tavolo chirurgico, lasciando che si possano ammirare. Non a caso, viene fatto riferimento, nel corso dell'esposizione, alla via crucis per dare l'idea del percorso autobiografico nell'opera dell'autore, dando l'idea di un uomo che fino alla fine ha spremuto ogni goccia di sé per ricavare la sua arte


Fino all'estremo celebra le opere di Pazienza: quelle compiute e quelle incompiute. Nel farlo, sceglie uno stile di esposizione sobrio e tradizionale, come Pazienza non lo è mai stato. Un percorso breve ma intenso, come la vita del Paz, e che in definitiva getta luce su quelli che sono i primi passi, come anche gli ultimi, di un artista geniale che ha saputo ergersi a rappresentante di uno dei periodi più oscuri e controversi della città di Bologna. 




Note:

(1) Tondelli, P.V., Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta, XI edizione, Bompiani, Milano, 2016, pp. 205-206.

(2) Ivi, pp. 209-212. 

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