Il Cinema Ritrovato 2021: la redazione consiglia

Di Silvia Strambi


Locandina del festival Il Cinema Ritrovato, 35esima edizione, dal sito festival.ilcinemaritrovato.it


Si è concluso recentemente a Bologna il Festival del Cinema Ritrovato, organizzato dalla Cineteca di Bologna. L'evento quest'anno ha coinvolto cinque cinema della città, due teatri e diversi spazi all'aperto (in particolar modo la spettacolare Piazza Maggiore e la LunettArena, nei Giardini Lunetta Gamberini).

Non sarebbe scorretto definire la settimana del Cinema Ritrovato un paradiso per tutti i cinefili. Non a caso, d'altronde, il Festival attira ogni anno migliaia di spettatori da ogni parte non solo dell'Italia, ma anche del mondo. Il Festival consiste, infatti, nella trasmissione negli spazi deputati di film (corto, medio e lungometraggi), molti dei quali introvabili altrove e spesso frutto del restauro della Cineteca stessa o dei suoi associati. A questi eventi si accompagnano poi anche una serie di interventi come presentazioni di libri, approfondimenti sul restauro di alcune pellicole ecc. 

Il Festival si struttura in diverse sezioni, in base alle quali viene stilato il programma. 
Le sezioni possono essere monografie dedicate a un singolo attore, a un regista o ad un particolare personaggio del mondo dello spettacolo. Nel programma di quest'anno possiamo individuarne ben 5: una dedicata all'attrice Romy Schneider, una di film del nostrano Aldo Fabrizi, due dedicate ai registi George Stevens e Wolfgang Staudte e infine, un'ultima contenente cinque film sceneggiati da Herman J. Mankiewicz, co-autore di Quarto Potere.

Quest'anno la Cineteca ha presentato inoltre diversi documentari (una sezione a parte è stata riservata a quelli della regista Iwanami), di film usciti esattamente cento anni fa, nel 1921, di corti appena restaurati della collezione privata di Tomijiro Komiya... per non parlare poi delle proiezioni sull'enorme schermo di Piazza Maggiore (uno dei punti più alti del Festival è stato di certo la proiezione di Vampyr con accompagnamento dal vivo dell'orchestra del Teatro Comunale di Bologna e partecipazione speciale della Campana dell'Arengo), dei serial Belphégor e I figli di nessuno a puntate ogni mattina, del cinema indiano... il programma del Festival Ritrovato è tanto ampio che ci si perde facilmente, e tanto serrato che (purtroppo) è impossibile vedere ogni film proposto. 

Per questo motivo ho fatto una selezione molto ridotta che racchiude solo alcune delle pellicole che ho visto durante il Festival e che consiglio ai cinefili che ci seguono. 
Vi invito comunque a esplorare a vostro piacere il programma completo di quest'anno per individuare nuovi film da vedere che si allineino al vostro gusto personale, visto che la mia selezione è necessariamente parziale per una serie di fattori.

LE PROCÈS (Il processo), 1962, regia di Orson Welles

Anthony Perkins e Orson Welles nel film Il processo

Tratto dal romanzo omonimo di Franz Kafka, racconta la storia di un uomo, il signor K, che si ritrova accusato... di un crimine. Non ci è dato sapere quale esso sia, né lo scoprirà mai lo sfortunato K che, tuttavia, fino alla fine si proclamerà innocente.

Due parole possono descrivere bene quest'opera: claustrofobica e angosciante, sin dalla prima scena realizzata dal regista russo Aleksandr Alekseev. Il mondo di K si sgretola: il protagonista passa tra ambienti distorti, che ricordano l'espressionismo tedesco, e incontra personaggi altrettanto distorti e macchiettistici. Il montaggio accompagna questa discesa, diventando sempre più concitato e scegliendo angoli di ripresa vertiginosi che ci trasmettono bene il disagio di K. 

Nel cast spiccano le tre donne protagoniste, grandi attrici del secolo scorso: Jeanne Moreau, Elsa Martinelli e Romy Schneider. Ma più che la loro o quella di Welles (che come spesso accade nei suoi film interpreta anche qui una parte), la grande prova di attore è certamente quella di Anthony Perkins nella parte del protagonista. I suoi tic nervosi, la sua tensione costante e la voce spezzata riescono a costruire il ritratto prezioso e credibile di un uomo perseguitato e confuso tanto quanto noi, che ci ricorda che grande interprete abbiamo perso. 
Alla fine del film, una domanda sorge spontanea: è folle il mondo in cui siamo stati catapultati, o l'uomo che ha pensato di poter combattere contro la legge? 

MILLION DOLLAR LEGS (Gambe da un milione di dollari), 1932, regia di Eddie Cline

Lyda Roberti, Hugh Herbert e Samuel Adams in Gambe da un milione di dollari

Million Dollar Legs è uno degli innumerevoli film sceneggiati da Mankiewicz negli anni 30. Uscito in occasione delle Olimpiadi tenutesi nel 1932 a Los Angeles, racconta le vicende dell'americano Migg Tweeny (Jack Oakie), che si stabilisce nella nazione della Klopstokia per amore di Angela (Susan Fleming), figlia del presidente. Tweeny lo convince a partecipare alle Olimpiadi per racimolare i soldi che servono disperatamente al paese.

Million Dollar Legs è una screwball comedy (letteralmente 'commedia svitata') senza capo né coda. E proprio qui sta la sua forza. David Denby lo ha descritto meglio di quanto potrei mai fare. A seguito di una proiezione del 2010 a Tribeca lo ha definito vicino allo spirito dadaista e ha affermato che « il film è così sciocco che sembra allo stesso tempo privo di meriti artistici e stranamente avant-guarde».  Più di ogni altra cosa, Million Dollar Legs fa ridere, e a crepapelle, vuoi per le sue premesse assurde, vuoi per la sua veste quasi amatoriale, vuoi per le battute sinceramente intelligenti.

Su tutti gli interpreti spicca Lyda Roberti, un'attrice polacca che interpreta Mata Machree, 'la donna a cui nessun'uomo può resistere'. E non è difficile crederlo: la Roberti è un'adorabile malandrina tanto bella quanto talentuosa, con tempi comici perfetti, una sorta di Marilyn prima di Marilyn.

Al momento il film è reperibile sul sito di Archive, in lingua originale.

LA VOLEUSE, 1966, regia di Jean Chapot

Romy Schneider e Michel Piccoli in La Voleuse

dalla pagina Facebook Homepopcorn.fr

Oggi questo film è ricordato principalmente per essere stato il primo con protagonista la coppia Romy Schneider-Michel Piccoli, che avrebbero poi collaborato in diversi altri titoli. I due interpretano una coppia sposata il cui rapporto viene messo a dura prova quando lei decide di voler riprendere con sé suo figlio, che ha dato in affido sei anni prima.

Tuttavia, come ci ha fatto notare chi ci ha introdotto l'evento, merita attenzione anche per altri aspetti. In primis la Schneider stava cercando di emanciparsi dal ruolo che le aveva dato la fama, quello della principessa Sissi. Julia, la protagonista del film, è una donna complessa, talvolta vittima talvolta carnefice, comprensibile nel suo desiderio di riunirsi con suo figlio ma successivamente implacabile con il padre adottivo. 
Oltre a questo, nonostante alle sue spalle ci sia un team perlopiù francese, La voleuse è ambientato in una zona della Germania in cui nessuno girava, ovvero la regione mineraria della Ruhr. Infine, la sceneggiatura è stata co-firmata dalla scrittrice Marguerite Duras, che ai tempi viveva col regista Jean Chapot.

Il film, pur essendo uscito quando la spinta della Nouvelle Vague si stava già esaurendo, ne presenta alcune caratteristiche (d'altronde la Duras aveva sceneggiato una delle prime pellicole del movimento, Hiroshima mon amour di Alain Resnais). La storia è ellittica, piena di momenti di vuoto e di silenzio. Tuttavia i momenti chiave sono di certo quelli di dialogo tra i protagonisti che costruiscono la tensione, interna ed esterna alla famiglia, in uno scontro col mondo e con loro stessi che culmina nel finale.

Al momento il film è reperibile su YouTube, in lingua originale.

EROTIKON (Verso la felicità), 1920, regia di Mauritz Stiller

Tora Teje in Erotikon

Erotikon è più unico che raro, incredibilmente moderno pur essendo uscito più di cento anni fa. Di che parla? Di divorzio.

Oggi le relazioni extra coniugali sono un tema decisamente sdoganato al cinema, ma raramente le ho viste descritte con tanta positività. Conoscendo il periodo in cui era stato creato e la vena misogina che attraversava tante pellicole del periodo ho aspettato fino al finale la tragedia inevitabile... che non è venuta. Erotikon è una commedia romantica, leggera, in cui gli amanti non vengono puniti per la loro trasgressione ma anzi, hanno un lieto fine. 

In una delle scene iniziali il film ci dimostra come in natura sia più che normale che gli animali abbiano più di un partner, attraverso la lezione di entomologia di uno dei protagonisti. L'opera applica in tutta la sua durata questa stessa teoria agli uomini. Particolarmente notevole anche il trattamento dei personaggi femminili, specialmente della protagonista: la sposa non è qui dipinta come 'traditrice' né viene messa in luce negativa. Anzi, con la sua eleganza e la sua determinazione fa più bella figura di tutti i personaggi maschili.

L'esperienza di questo film, proiettato in Piazza Maggiore, è stata immensamente migliorata dell'accompagnamento dal vivo del Matti Bye Ensemble, che ha partecipato a diverse proiezioni. L'Ensemble ha fornito non solo un accompagnamento musicale, ma ha anche ricreato dal vivo i rumori, proprio come si faceva ai tempi del cinema muto.

Al momento Erotikon si trova (miracolosamente) su Netflix. 

THE GREAT FLAMARION (La fine della signora Wallace), 1945, regia di Anthony Mann

Erich Von Strohein e Mary Beth Hughes in La fine della signora Wallace,
dal sito cinema.ucla.edu

E dopo un film che loda il divorzio, ironicamente passiamo ad uno che parla in maniera molto classica (ovvero negativamente) di adulterio. La protagonista femminile (interpretata da Mary Beth Hughes) è una donna fredda e manipolatrice che distrugge la vita degli uomini che la circondano. In questo caso la signora Wallace del titolo italiano è una femme fatale che cerca di liberarsi del marito ubriacone seducendo il proprio capo, il 'Grande Flamarion', un cecchino che ha un suo spettacolo di vaudeville. 

Il film segue i classici binari del noir, con personaggi e sviluppi abbastanza prevedibili: uso del flashback, recitazione talora sopra le righe e un intreccio che mette i personaggi maschili in posizione di svantaggio rispetto alla donna astuta e manipolatrice. Nonostante ciò, mi sento di consigliarlo per l'interpretazione del protagonista, Erich Von Stroheim. 
Molti (me compresa) lo ricorderanno come regista "maledetto" della Hollywood del cinema muto, ma in realtà Stroheim ebbe anche una prolifica carriera da attore. Il suo ruolo più famoso è certamente quello del maggiordomo Max in Viale del tramonto. In questo film Stroheim dimostra un range attoriale invidiabile, passando dalla durezza coriacea nella prima parte all'atteggiamento impacciato e ingenuo di un innamorato nella seconda. In entrambe le vesti risulta assolutamente credibile, e con la sua interpretazione riesce a sostenere perfettamente la drammaturgia dell'intero film e a renderne credibile la storia, che si consuma inevitabilmente fino alla tragedia finale preannunciata.

Al momento il film si trova su YouTube, in lingua originale.

KÖRKARLEN (Il carretto fantasma), 1921, regia di Victor Sjöström

Tore Svennberg in Il carretto fantasma

Se dovessi descrivere in pochissime parole Korkarlen direi che è una versione più cupa di Canto di Natale. Chi conosce l'opera di Dickens e che sa che c'è in essa molta più oscurità di quanto emerga dalle sue trasposizioni per bambini mi prenderà per pazza. Tuttavia non credo di essere nel torto dicendo che questo film, nelle sue scene più tese, non ha nulla da invidiare a diversi horror moderni. Non per nulla Kubrick si ispirò ad esso per la scena più memorabile di Shining.

Fonte: Vanilla Magazine

La storia racconta la vicenda di David Holm (interpretato dallo stesso regista), ultima persona morta l'ultimo giorno dell'anno. Il suo decesso diventa un'occasione per rivalutare la propria vita assieme al vecchio amico di bevute, Georges, che ora guida il carretto della Morte. 

Il film sperimenta diverse soluzioni dal punto di vista tecnico, per riportare il mondo spettrale in cui Holm si vede costretto a muoversi. Tuttavia gran parte della pellicola è ambientata nel mondo reale, e affronta temi importanti e impegnati come l'alcolismo, la violenza domestica e il suicidio. La cosa più spaventosa in questo film non è né la Morte né gli spettri che popolano il suo mondo, ma piuttosto gli uomini che con i loro vizi distruggono la vita delle persone a loro care. La rappresentazione di questa umanità imperfetta è resa possibile anche grazie alle interpretazioni di tutti gli attori, più ricca di sfumature rispetto a molte produzioni degli anni del muto.

Anche in questo caso, la proiezione della Cineteca è stata accompagnata da Matti Bye e da uno dei membri del suo Ensemble, Leo Svensson. Le loro musiche hanno reso ancora più immersiva l'esperienza di visione, soprattutto grazie all'uso di una sega musicale che ha dato più pathos alle scene orrorifiche.

Al momento il film si trova su YouTube, con sottotitoli in inglese.

NIGHTMARE ALLEY (La fiera delle illusioni), 1947, regia di Edmund Goulding

Tyrone Power e Joan Blondell in La fiera delle illusioni

Tratto dall'omonimo romanzo di William Lindsay Gresham (che anche Guillermo del Toro sta adattando in un suo film), Nightmare Alley fu fortemente voluto dal suo interprete principale, Tyrone Power. L'attore cercava un personaggio che potesse essere più complesso di quelli che gli venivano proposti di solito, e lo trovò nel ciarlatano protagonista di questo film. 
Stan è un giovane ambizioso che lavora in un circo ed è pronto a tutto per raggiungere la fama. Arriverà a fingersi uno psichico, ma la sua arroganza lo porterà a conseguenze negative per sé stesso e per le persone attorno a lui.

Pur avendo fallito inizialmente al botteghino, questo film si è guadagnato col tempo la fama di piccolo cult noir. Curioso perché, come fatto notare da chi ha introdotto l'evento, Nightmare Alley non è propriamente un noir. Come il suo protagonista, raccoglie al suo interno diversi spunti, dando vita ad un'opera trasformista. Dal circo passiamo alla grande città, dalla città di nuovo al circo, in una classica storia di ascesa e discesa in cui i confini del reale e dell'immaginario sono sfumati. 

L'ottima interpretazione di Power viene perfettamente bilanciata dal cast di supporto, a maggioranza femminile e con attrici all'epoca poco conosciute a cui Goulding diede fiducia. 

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