La Bohème di Graham Vick e la sua regia immortale

 Di Laura Astarita

La Bohème verrà replicata al Teatro Comunale di Bologna dal 4 al 12 agosto. 
Nel caso abbiate intenzione di acquistare i biglietti, vi sconsigliamo la lettura di questo articolo per la presenza di spoiler. Per altre informazioni, consultare la pagina web dedicata allo spettacolo sul sito del Teatro Comunale.

PH. Rocco Casaluci

Nel mese di luglio, la città di Bologna viene tappezzata dalle locandine della Bohème, lo spettacolo d'inaugurazione della stagione lirica del Teatro Comunale. Nel frattempo, a Londra, il grande regista d'Opera, Graham Vick, si ammala di COVID e, dopo due settimane trascorse in terapia intensiva, muore.

A firmare la regia della Bohème in scena al Teatro Comunale è proprio Graham Vick. Si tratta di una regia del 2018 vincitrice del premio Abbiati 2019. Prevista in cartellone al Comunale per la stagione 2019-2020, riusciamo finalmente a vederla nel 2021. 

Il Teatro Comunale omaggia il regista dedicandogli la replica de La Bohème del 20 luglio, tre giorni dopo la data della sua morte. La rappresentazione dell'Opera di Giacomo Puccini si apre con la lettura della motivazione per la quale la regia di Vick abbia vinto il premio Abbiati 2019. 
Definita "eternizzante", la regia di Vick darebbe infatti immortalità e presente a quello che è "il teatro della gioventù" di Puccini. 

La Bohème di Vick è ambientata nella Parigi dei nostri giorni, dove un gruppo di giovani artisti condivide un appartamento di periferia per pagare l'affitto. La regia di Vick rispetta la struttura in quattro quadri.

Nel primo quadro: "la soffitta" diventa appunto un appartamento condiviso. Indubbiamente l'impianto intero di questo quadro strizza l'occhio al musical Rent. La scenografia fa il suo ingresso sulla scena nel momento stesso in cui i musicisti iniziano a suonare, immergendo d'impatto lo spettatore nella vicenda. L'ambiente ricorda uno degli appartamenti di studenti universitari. Quattro artisti che vivono "alla bohème", ai giorni nostri, ci sembra ancora plausibile. Tuttavia, ad emergere non è lo stile di vita libero e libertino, ma la povertà di queste persone: filosofo, poeta, musicista, pittore, sono infatti mestieri che oggi faticano a trovare una retribuzione.


PH. Rocco Casaluci

Durante la vigilia di Natale, i quattro si apprestano a consumare un pollo da rosticceria quando arriva Monsieur Benoit (Bruno Lazzretti), il padrone di casa, a chiedere l'affitto. I quattro inquilini riescono a non pagare costringendo il vecchio a confessare il suo adulterio nei confronti della bellissima moglie Musetta. Intimidito dal ricatto morale, il vecchio lascia l'appartamento, e gli inquilini decidono di andare a bere qualcosa in centro. L'unico che resta a casa, a scrivere, è Rodolfo, il poeta (interpretato dal tenore Alessandro Scotto di Luzio), costretto però ad interrompersi quando viene staccata la corrente elettrica alla casa. In quel momento, si sente bussare alla porta: è Mimì, interpretata dal soprano Karen Gardeazabal, una cucitrice molto cagionevole che, in cerca di calore, chiede ospitalità al poeta. Perderà, in seguito, la chiave del suo appartamento e, aiutando Mimì a cercarla, carponi nel buio, Rodolfo arriva a sfiorarle la mano. Nel momento in cui si toccheranno, i due s'innamoreranno perdutamente. L'aria di Rodolfo prima, accompagnata da un orchestrazione prevalentemente composta da ottoni, e quella di Mimì dopo, accompagnata invece dagli archi, s'intrecceranno infine in un duetto che unirà la potenza delle voci a quella di un'orchestra potente, ma non trionfale, celebrando la tenerezza dell'incontro piuttosto che la forza dell'amore. Il risultato è commovente.

Nel secondo quadro: i quattro inquilini e Mimì vanno a mangiare qualcosa in un caffè all'aperto, il Cafè Momus. L'atmosfera ricorda molto quei film di Natale che trasmettono su Italia Uno sotto le feste. 
Un considerevole coro di voci bianche interviene nelle battute cantate nel ruolo di acquirenti del caffè suonando dei bicchieri (previsti nella stessa partitura di Puccini). Oltre a loro, un ensemble di figuranti nel ruolo di camerieri in smoking, interpretati da alcuni allievi dell'Accademia di Teatro Alessandra Galante Garrone. Tutti loro indossano una mascherina, attualizzando ancor di più, e in modo specifico, l'azione ai giorni nostri. In questo turbinio di colori e di vivande, arrivano Benoit e la bellissima Musetta, interpretata dal soprano Nina Solodovnikova. La particolarità della Musetta della Solodovnikova sta sicuramente nella sua sensualità estremamente contemporanea: mentre Mimì conserva una malizia, un pudore che richiama un po' la servetta della Commedia dell'Arte, Musetta è una capricciosa moglie trofeo dei giorni nostri. Sfacciata e oscena, estrae una lingerie da una busta regalo nel mezzo della Piazza e se la prova su di sé, pubblicamente. 

La donna attira l'attenzione e lo sdegno di Marcello, il pittore, interpretato dal baritono Vincenzo Nizzardo. Per evitare di guardare Musetta in faccia, si siede dandole le spalle. Quando però lei finge una doglia al piede per attirare la sua attenzione, Marcello cade nella trappola e deciderà di fuggire insieme a lei e i suoi coinquilini.

PH. Rocco Casaluci


Nel terzo quadro: le "barriere d'Enfer" dove, nel libretto originale, venivano spacciati  clandestinamente beni di prima necessità quali latte e formaggi, diventano ora "barriere di ferro". Ci troviamo in un vicolo, diviso a metà da una grata inferriata, al di là delle quali vi è uno spaccio di prostituzione, in particolar modo omosessuale. Vediamo Musetta coinvolta in queste attività, e Mimì in cerca di Marcello per confidarsi sulla sua relazione con Rodolfo. Quest'ultimo, infatti, pare voglia lasciarla per gelosia.
Quando però giunge Rodolfo, questi confiderà all'amico pittore la vera ragione per cui vuole lasciare Mimì: «Mimì di serra è fiore. /Povertà l'ha sfiorita; / per richiamarla in vita / non basta amore!». 
Mimì, già cagionevole, si è aggravata a causa dello stile di vita bohèmien a cui si è dovuta adeguare per amore di Rodolfo. Inizia in questo momento un doppio duetto simultaneo: da una parte la bizzarra coppia soprano/baritono, Musetta e Marcello, impegnati in un litigio di gelosia, dai toni offensivi e rancorosi, dall'altra la coppia soprano/tenore, Mimì e Rodolfo, che con tristezza, angoscia, disperazione, decidono che si lasceranno alla fine dell'inverno.

Nel quarto quadro: torniamo all'appartamento, che però ora è completamente spoglio e sprovvisto di ogni genere di mobilio. Qui ha sede la scena finale: quando Musetta entra in casa dei quattro e rivela di aver incontrato Mimì, moribonda, sulle scale. Mimì entra con un vestitino succinto, probabilmente reduce dalla vita di strada a cui è stata condannata. Muore tra le braccia di Rodolfo e, come da libretto, lui se ne accorgerà soltanto qualche tempo dopo che l'amata avrà spirato. Tuttavia, la scena non si conclude con un Rodolfo che abbraccia, disperato, il corpo esanime di Mimì. Rodolfo, sconvolto dalla notizia improvvisa, si discosterà invece repentinamente dal cadavere di Mimì, facendola cadere al suolo come fosse un oggetto. Uscirà, in seguito, dall'appartamento, sconvolto, insieme a Marcello e Musetta. Nessuno si curerà di rimettere il cadavere della ragazza sul suo capezzale. Colline e Schaunard si limiteranno a coprirla con un lenzuolo, per poi seguire i coinquilini fuori dalla porta. Toccante soprattutto quest'ultimo momento, dove dalla stessa buca dell'orchestra arriva un profondo sospiro di concitazione del direttore d'orchestra, Francesco Ivan Ciampa, che spinge i suoi musicisti in un ultimo, stremante, drammatico e pietoso sprint per questa Mimì contemporanea destinata a morire in solitudine.


PH. Rocco Casaluci


Questo finale spiazzante, in cui Mimì muore "da sola" ci lascia capire molte cose dei personaggi pucciniani. La prima, come fa notare lo stesso Graham Vick nella sua intervista a Rai News in occasione del debutto nel 2018, è l'immaturità dei personaggi maschili rispetto alla maturità dei personaggi femminili. Oltre a Mimì, la stessa Musetta, nella versione di Vick, non compie tradimento verso Marcello per suo piacere personale, ma perché deve trovare un modo per guadagnare da vivere: per sé e per lui. La testarda prosecuzione delle attività artistiche, nonostante l'insuccesso, il fallimento economico, dei quattro ragazzi, porterà alla morte di Mimì. Una morte che, irresponsabilmente, verrà "coperta" e lasciata sulla scena. Coprire Mimì vuol dire fingere di non vederla, voltarsi dall'altra parte. Ignorare il sacrificio della ragazza che lascia tutto per amore, mentre il ragazzo non rinuncia ai suoi sogni per salvare colei che ama. La regia fa riflettere sul disimpegno di una generazione: la stessa generazione che ignora la sofferenza, la politica, le disuguaglianze sociali per perseguire gli ideali assurdi del proprio orticello.

I giovani di Puccini proseguono la loro gioventù nel teatro di Vick, che non permette loro di maturare attraverso secoli di regia tradizionale. 

"Eternizzante", infatti,  è una parola molto più forte di "immortale": vuol dire attualizzabile, declinabile all'oggi del presente come all'oggi del domani. La stessa presenza in scena di camerieri ed ensemble provvisti di mascherine potrebbe portarci a portare all'ipotesi che Mimì sia morta di Coronavirus. 
Sono tentata, perciò, a leggere l'opera in una chiave ancor più politica, e parlare dell'irresponsabilità verso i fragili in questo periodo di pandemia. Sarebbe infatti romantico, perfino sentimentale, pensare che Mimì possa essere morta della stessa malattia che ha spento Graham Vick. Pensare che questa sua regia ci parla anche un po' della sua perdita, che la scelta sia stata dovuta ad un barlume di premonizione, perché in fondo "un uomo, lo sente". Potrei addirittura arrivare ad associare la morte per Coronavirus sulla scena alla grave crisi teatrale dovuta alla pandemia. 
Sono tentata, perché sarebbe proprio nello stile di Vick: fino alla fine, vorrei immaginarlo posseduto da quello stesso bisogno che lo ha spinto, negli anni Ottanta, a mettere in scena West Side Story in un mulino abbandonato con 300 disoccupati, o a coinvolgere 100 cittadini (e la famosa ruspa che tanto fece indignare la LEGA) nella produzione 2018 del Flauto Magico di Mozart. 

Ma ahimè, so bene che probabilmente non è così. La perdita di Vick è stata improvvisa, troppo rapida per poterla proiettare sulla scena. Per questo è stata tragica e traumatica, per il mondo dello spettacolo e dell'Opera.

Ci consola sapere, però, che le sue opere continueranno a parlarci di lui, nonostante Graham non sia più fra noi. Attraverso le sue "visioni", sentiamo il suo bisogno di stare dentro il suo tempo, di vivere l'Opera come un copione più che come un libretto. Sentiamo la ricerca di ogni dettaglio e di ogni gesto, il suo bisogno di parlare del mondo che ci circonda pur usando opere che sono state composte anni fa. In questo senso, forse, la regia di Vick può definirsi immortale: perché quando un regista muore, questi sopravvive grazie alla sua arte. Vick un po' ci credeva, nel teatro, e in questo suo potere "eternizzante". 
Per questo, per Graham, il teatro era (ed è) un atto politico, un atto che salverà il mondo. Non lasceremo che questa sua idea muoia insieme a lui.

Addio, Maestro. Grazie per l'arte che ci hai lasciato, ma soprattutto per quella che non sei riuscito a darci. 

Fonte: @regioparma (via Instagram)

Commenti