Di Anna Rizzo
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È un sabato pomeriggio come tanti, sei con i tuoi amici in giro per le strade della città. Passate davanti alle vetrine dei negozi, alcune attirano la vostra attenzione, allora vi fermate. Entrate. Una profumazione dolciastra intensa avvolge i vestiti, l’ultima hit risuona ad alto volume, altri gruppi come il tuo ridono e scherzano. Quei colori accesi, quelle luci da selfie, quel modello di crop-top che hai visto pochi attimi prima in una scintillante foto di Instagram. Tutto ti esorta: ‹‹compra!››.
Prima di cedere al canto delle sirene, però, prova a leggere ciò che segue.
Questo articolo vuole permetterti di aprire un varco invisibile mentre sei incerto davanti al capo che vorresti acquistare. Prova ad affacciarti, guarda cosa cela il varco. Hai mai sentito parlare di Moda Etica?
Il dizionario italiano Treccani definisce così l’etica: «In senso ampio, quel ramo della filosofia che si occupa di qualsiasi forma di comportamento umano, politico, giuridico o morale; in senso stretto, invece, si distingue sia dalla politica che dal diritto, si occupa più specificamente della sfera delle azioni buone o cattive e non già di quelle giuridicamente permesse o proibite o di quelle politicamente più adeguate».
RISPETTO DEL LAVORO
Articolo 23 della Dichiarazione Universale dei diritti umani:
«1.Ogni Individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione.
3.Ogni individuo che lavora ha diritto a una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana e integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale».
Nel primo decennio del 2000, la mano d’opera della moda occidentale è stata trasferita nei paesi sottosviluppati, già stremati da secoli di colonizzazione. I costi della suddetta mano d’opera furono ridotti drasticamente. Ciò condusse a un aumento massiccio della produzione. Grandi aziende fameliche continuarono a scalare la piramide guidate dalla bramosia insaziabile di denaro. Hanno sottoposto uomini, donne e bambini, a deplorevoli condizioni di lavoro. In fabbricati fatiscenti, dotati di macchinari non esposti a manutenzione, in assenza totale di assicurazioni e di protezioni anti-infortunistiche, a orari di lavoro sregolati e sfiancanti. Nei piccoli e grandi punti vendita di tutto l’Occidente è esplosa l’opulenza. Milioni i clienti desiderosi di possedere ingenti quantità di capi di tendenza a poco prezzo, non consapevoli del gravoso scotto che incombeva, dall’altra parte del mondo, per quelle stesse merci.
Il 24 aprile del 2013 a Savar, nella periferia di Dacca, capitale del Bangladesh, migliaia di operai vengono travolti dal crollo dell’edificio di otto piani in cui lavorano. All’interno ci sono diversi stabilimenti tessili deputati alla produzione da prestigiosi marchi occidentali di abbigliamento. Il bilancio risulta catastrofico: 1.129 morti e 2.515 feriti, molti dei quali tuttora disabili. Il 13 maggio del 2013, 31 multinazionali tessili che si servono di più di mille fabbriche in Bangladesh, insieme alla federazione internazionale IndustriALL Global Union (alla quale prendono parte 900 sindacati di 140 paesi, con circa 20 milioni di iscritti), oltre a diverse ONG, firmano l’Accord on Fire and Building Safety. Si tratta di un protocollo quinquennale finalizzato alla prevenzione degli incendi e alla sicurezza negli edifici. Si stabilisce, così, di non fornire commissioni alle fabbriche non rispettose delle norme di sicurezza. Tra le macerie vengono trovate etichette di celebri griffe italiane e non, tra cui: Mango, H&M, Benetton, Primark, Tesco, Abercrombie&Fitch e del gruppo spagnolo Inditex (Zara, Pull and Bear, Bershka, Oysho, Stradivarius).
Sono trascorsi sette anni dall’accordo del 2013, tuttavia rimane invariato siffatto sistema: ignobile e spregevole più di quanto non fosse all’inizio del millennio. Fortunatamente dal 2010, anche per merito dell’introduzione della slow fashion, è sorto un barlume di sensibilità rispetto tali argomenti da parte dei singoli clienti e cittadini occidentali. Essi, col tempo, hanno acquisito una consapevolezza progressivamente sempre maggiore. Non ci si è limitati nel rivolgere l’attenzione unicamente al rispetto del lavoro dell’uomo, ma anche al rispetto degli animali e dell’ambiente.
Di recente, il sistema moda si è attivato in tal senso proponendo collezioni ecosostenibili, equosolidali e originando una nuova ripartizione: la moda etica.
RISPETTO DEGLI ANIMALI
L’esasperazione della produttività ha provocato la prolusione di allevamenti intensivi sfruttati unicamente per soddisfare le richieste esorbitanti da parte del sistema moda. Il cinismo ha impregnato i ritmi industriali rendendoli sempre più scattanti e glaciali, provocando la diffusione spropositata di crudeltà nei confronti degli animali. Tale ferocia ha sollecitato gli animi di numerosi acquirenti che, per contrastarla, hanno innescato la corrente dell’abbigliamento vegano. Esso prevede l’abolizione dagli indumenti di lana, pelle, seta, piume d’oca, inserti di pelo e pelliccia. Ovviamente si tratta di un prolungamento del veganismo (alimentazione priva di carne, latticini e derivati animali) già esistente dal 1944.
L’abbigliamento femminile, maschile e per bambini, ma anche accessori come borse, scarpe, cinture sono vegani (cruelty free) quando dispongono di almeno una delle seguenti certificazioni tessili :
- People for the Ethical Treatment of Animals (PETA)
È un’associazione animalista no-profit internazionale, fondata nel 1980, che si batte per i diritti animali attraverso: indagini di settore, divulgazione di informazioni e campagne mirate. Si concentra su quattro settori specifici:
- Allevamenti intensivi
- Industria del divertimento
- Allevamenti da pelliccia
- Sperimentazione/vivisezione
In aggiunta si occupa anche della sponsorizzazione di materiali alternativi a quelli di origine animale. Il primo successo ottenuto dall’associazione ha riguardato il settore della cosmetica.
- VeganOk
E’ una certificazione che garantisce da vent’anni una produzione etica per i prodotti definibili vegani. E’ molto diffusa in Italia soprattutto nei prodotti alimentari, ma il marchio si sta rapidamente diffondendo anche nel settore tessile. Sensibilizza mediante una fitta rete di siti tematici, riviste di settore, internet, tv e altro.
- Lega Anti Vivisezione (LAV)
E’ un’associazione animalista italiana che nasce nel 1977 determinata ad arrestare i test sugli animali effettuati dalle aziende per la casa e cosmesi. LAV ha concepito il progetto Animal Free Fashion finalizzato alla sensibilizzazione dei marchi di moda, al rispetto dei diritti animali e alla sostenibilità ambientale. Ha anche ideato il programma Fur Free. Si tratta di una campagna, lanciata da LAV e altre quaranta organizzazioni internazionali, atta a eliminare definitivamente l’utilizzo di pellicce animali nel settore tessile.
- Animal Free Fashion
E’ un progetto creato da LAV per certificare i brand del settore moda che ne fanno richiesta. Essi sono chiamati a rispettare una serie di requisiti imposti dalla stessa certificazione Animal Free Fashion. Si serve di un semplice sistema di rating per valutare le griffe. Qualsiasi azienda può richiedere una certificazione Animal Free Fashion rinunciando esclusivamente alle pellicce animali e ottenendo un rating. Successivamente deve organizzare la produzione rinunciando ad altri materiali e così ottenendo un rating superiore. Animal Free Fashion valuta anche l’aspetto ambientale assicurandosi che i materiali sintetici adoperati non siano inquinanti.
COME SOSTITUIRE I TESSUTI DERIVATI DA ANIMALI?
- Pelle:
Per ottenere la pelle degli animali esistono allevamenti appositi. Gli allevatori crescono gli animali con l’unico scopo di scuoiarli. Lo scuoiamento in molti luoghi corrisponde a una vera e propria barbarie. L’industria conciaria, inoltre, è una delle più inquinanti.
La pelle può essere sostituita da:
- Similpelle = più economica rispetto alla pelle. Da non confondere con l’eco-pelle che
è in realtà pelle animale conciata con metodi a ridotto impatto ambientale (il codice a essa relativo è UNI11427).
- Pelle a base vegetale = per scarpe e borse
- Materiale simile al sughero = usato in Germania per produrre giacche da motociclista
- Tessuto simile alla pelle a base di scarti degli ananas
- Lavorazione di foglie di albero
- Lana:
La tosatura viene applicata poche settimane dopo la nascita, alle pecore viene tagliata la coda senza anestesia; gli agnelli vengono castrati. Avviene con mezzi meccanici dolorosi che procurano ferite. Tale pratica si effettua in pieno inverno e spesso, per questo, gli animali muoiono di freddo.
Esistono materiali più economici e più resistenti da poter sostituire alla lana:
- Pile
- Caldo cotone
- Flanella
- Velluto
- Ciniglia
- Acrilico
- Modal
- Piumini:
Lo spiumaggio inizia quando il pulcino ha otto settimane e si ripete ogni due mesi sulle oche. Gli animali vengono sfruttati per lo spiumaggio e quando ormai sono troppo provati e inutili vengono macellati.
I piumini possono essere sostituiti con:
- Plumtech
- Imbottitura sintetica
- Seta:
La seta viene ottenuta dalla bollitura dei bachi ancora vivi.
La si può sostituire con :
- Viscosa
- rayon
- Biosteel
- Seta vegana (filo di seta ottenuto dai bachi rotti dopo la fuoriuscita della farfalla)
- Pellicce e inserti:
La produzione di pelliccia è una delle cause principali dell’uccisione atroce degli animali. Quella che si trova nei cappotti e nelle borse spesso è di cane o gatto.
Può essere sostituita con:
- Pelliccia sintetica
- Pelliccia ecologica
Queste sono meno lucide, meno morbide e meno lisce, ma più economiche.
- Cashmere
Sostituibile con :
- Fibra di soia= ricavata dagli scarti della lavorazione del legume
- Scarpe
Le scarpe vegane sono in tela o in lorica e si riconoscono a seconda dei tre simboli riportati sulle varie parti che le compongono. Se le scarpe sono di cuoio presentano un simbolo che ricorda un lembo di cuoio, altrimenti sono contrassegnate dal simbolo di una rete di trattini (tessuti naturali e sintetici o non tessute) o/e da un rombo (altre materie). E’ necessario porre attenzione al primo dei due simboli poiché potrebbe comprendere la lana. In ogni caso le informazioni devono riguardare per legge l’ 80% del materiale, quindi per il restante 20% non è necessario specificare il materiale adoperato. Potrebbe perciò essere presente pelle non visibile e non dichiarata.
RISPETTO DELL'AMBIENTE
Il sistema moda può essere anche molto inquinante e dannoso per l’ambiente. Causa il 20% dello spreco globale di acqua. Provoca il 10% di emissioni di anidride carbonica. Responsabile per il 24 % dell’uso di insetticidi. Colpevole per l’11% dell’uso di pesticidi. L’85% dei vestiti finisce nelle discariche. Basti pensare all’industria conciaria che attualmente si colloca tra le fonti principali di inquinamento a livello globale. Le varie fasi di lavorazione del pellame richiedono l’impiego di prodotti chimici organici e inorganici altamente inquinanti come sali di alluminio, acidi, coloranti, ecc…
Tutto il materiale di scarto della lavorazione compone i fanghi di risulta che impregnano il terreno, si riversano nelle acque modificandone la salinità e terminano in emissioni nell’atmosfera di polveri, solventi, ammoniaca e acido formico.
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Adoperare filati naturali è sicuramente una soluzione eco-sostenibile, tuttavia, è necessario informarsi sulla loro origine poiché molti derivano da coltivazioni intensive ree del disboscamento in vaste zone e di un utilizzo massiccio di pesticidi.
MODA ITALIANA SOSTENIBILE ED ETICA
In Italia, stanno sorgendo piccole e grandi imprese di moda etica interessate alla salvaguardia dell’ambiente, degli animali e rispettose dei lavoratori. Tra queste è fondamentale porre attenzione sulla Orange Fiber, un’azienda siciliana ideata e fondata da Adriana Santanocito e Enrica Arena nel 2004.
La prima, laureata in fashion design e specializzata in tecnologie per la moda, ha avuto l’idea di ricavare un tessuto elegante e sostenibile dagli agrumi. Enrica, da subito entusiasta della proposta ricevuta da Adriana, decide di sfruttare la sua laurea in Cooperazione Internazionale, comunicazione e project management occupandosi del marketing, della comunicazione e della ricerca fondi per il progetto. Il Politecnico di Milano ha sostenuto il progetto sviluppando il brevetto in Italia ed estendendolo a livello internazionale.
Oggi l’azienda produce tessuti di alta qualità. Parte dalle centinaia di migliaia di tonnellate di sottoprodotto che l’industria di trasformazione agrumicola produce ogni anno e che altrimenti andrebbero smaltite. Il settore della moda etica ha ancora molte miglia da percorrere.
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L’esperienza dell’Orange Fiber e delle imprese come questa, che progressivamente stanno emergendo nel sistema della moda, rappresentano un’importante fonte di speranza per il futuro.
‹‹I clienti sono parte del problema. È necessario, quindi, che siano clienti consapevoli››, così afferma Rick Ridgeway, ambientalista e attivista, in The true cost. Si tratta di un documentario che illustra il processo di produzione di capi occidentali nei paesi sottosviluppati. Il film è stato girato in diversi paesi del mondo. Dimostra l’impatto che l’acquisto da parte di un anonimo cliente qualsiasi può avere sulla popolazione mondiale. Il cliente è responsabile, può non accettarlo, ma è insieme burattino e burattinaio. Nel momento in cui è consapevole, può decidere di tagliare i fili che lo costringono, oppure proseguire nell’indifferenza.
Allora che fai? Quel vestito lo compri o lo posi?
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