Di Luca Martinelli
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Scena dal film Touki Bouki (1973)
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Negli anni ’70 inizia a svilupparsi il cinema africano: è in particolare il Senegal la terra dove vengono prodotti più lungometraggi. I due registi che si distinguono maggiormente sono Ousmané Sembene e Djibril Diop Maherty. Touki Bouki (tradotto in italiano come Lo sguardo della Iena) è il capolavoro di Diop Maherty, nonché uno dei più grandi film della storia del continente nero ed il primo film africano d’avanguardia.
TRAMA
Parlare di trama in Touki Bouki non è scontato: la struttura del film non è affatto lineare. Ne consegue che l’intreccio si componga di diversi flashback e divagazioni rispetto alla sequenzialità delle vicende.
In ogni caso, si parla di Mory (interpretato da Magaye Nyang) e Anta (interpretata da Myriam Nyang). Il primo è un adolescente che vaga per le strade di Dakar senza meta a bordo della sua moto addobbata con due corna sul manubrio. La seconda invece è una studentessa universitaria anticonformista che sarà amante, complice ed allo stesso influenzatrice delle azioni di Mory.
I due puntano ad andare a Parigi per potere fuggire dalle tradizioni opprimenti e dalla povertà estrema: per trovare i soldi del biglietto non esiteranno a compiere azioni criminose.
Ma una volta saliti sulla nave verso la Francia, Mory scenderà dalla nave lasciando solo Anta.
ANALISI
Touki Bouki è un film fondamentale nella storia del cinema perché segna una rottura netta con le convenzioni del cinema africano precedente.
Ad una sostanziale linearità ed ad una netta distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male, che erano tipici elementi del cinema di Sembene, un altro grandissimo cineasta senegalese, Diop predilige un modo di narrare totalmente anarchico. Sicuramente ciò è dettato dall’influenza di Godard sul suo cinema: troviamo infatti molte affinità tra Pierrot le Fou, capolavoro godardiano del 1965, con il film del senegalese.
L’uso particolare di tutti gli elementi non strettamente filmici contribuisce alla sensazione di anarchia: la colonna sonora ad esempio alterna pezzi etnici, jazz sfrenato e canzoni popolari francesi, oltre all’ossessivo refrain “Paris, Paris”.
Diop rompe anche con il pensiero dominante del suo tempo: si alternano infatti le critiche acidissime al colonialismo francese, come testimoniano le battute affidate alla coppia dei due insegnanti francesi, ma anche al sistema di emigrazione senza regole dei giovani del Senegal; un Senegal visto come terra desolata e povera, già mostrato nelle prime sequenze quasi shoccanti immerse in uno spazio poverissimo e quasi degradante.
Allo stesso tempo il paese è terra ancestrale foriera di leggende, come dimostrato dai numerosissimi simbolismi presenti nell’opera. Prendiamo come esempi la scena mostrata a ripetizione del macello della mandria o l’inquadratura sulle onde durante l’amplesso tra Mory e Anta.
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Scena dal film Touki Bouki (1973) |
A differenza dei film africani precedenti, i personaggi sono inoltre ambigui: Mory ed Anta non sono personaggi definibili in maniera assoluta, a differenza della cameriera sfruttata Diouiana de La noire de… di Sembene, vittima innocente del sistema. Essi per appagare il loro desiderio di fuga non esitano a derubare un mendicante che fa il gioco delle tre carte o a truffare un ricco e lascivo omosessuale. Pur tuttavia, rimangono vittime del sistema, come si evince dalla scena del pestaggio di Mory, carica di un incredibile pathos ed allo stesso tempo quasi grottesca.
Le influenze di Godard, Glauber Rocha e di Easy Rider sono evidenti: tuttavia Diop non subisce l’angoscia di quest’influenza, ma la sublima unendola con una forte appartenenza alla propria cultura. Touki Bouki infatti è uno dei pochissimi film africani non girati in francese, bensì nella lingua d’origine del regista e degli attori, ovverosia il wolof (parlata in Senegal, Gambia e Mauritania).
Touki Bouki è la testimonianza di come, nonostante la scarsità di mezzi produttivi, l’inventiva di un autore può rendere un film una grande opera cinematografica, unica per appartenenza culturale e per stile.
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