Di Alessandra Vita
Massimiliano Gallo in una scena del film Il silenzio grande |
Valerio Primic (Massimiliano Gallo) è uno scrittore di successo che però da qualche anno non riesce più ad andare avanti con la creazione di nuovi romanzi. Questo suo stato di stasi porta la famiglia in una situazione economica disastrosa: sua moglie Rose (Margherita Buy) dunque decide che non c'è altra soluzione se non vendere la loro villa, simbolo del loro status e della loro famiglia. Ciò porterà a galla per ognuno degli irrisolti. Questa è la premessa di Il silenzio grande, il nuovo film di Alessandro Gassmann presentato in anteprima al Festival del cinema di Venezia e uscito ieri nelle sale.
Perché un film all'apparenza così semplice dovrebbe risultare interessante? I motivi in realtà sono molti.
Il silenzio grande è tratto dall'opera teatrale omonima di Maurizio de Giovanni: il film difatti ha una squisita impronta teatrale, l'azione si svolge solo nella villa, il che è perfettamente giustificato dal colpo di scena finale, di cui non parlerò per non rovinare la visione. Per ora basti sapere che ciò è possibile grazie al personaggio di Valerio: l'uomo è indissolubilmente legato alla sua casa e soprattutto ama il suo studio pieno di libri da cui non esce praticamente mai. Lo scrittore, che soffre di iperattività immaginativa, ha passato una vita intera a sfogliare quelle pagine, per lui il solo modo che uno scrittore ha per leggere è rileggere e i suoi libri sono ordinati per omogeneità emotiva: tutti i libri che lo commuovono sono messi in uno scaffale, quelli che lo fanno ridere in un altro e così via.
Ma come i libri, nonostante possano dire tanto, sono silenziosi, così Valerio ha trascorso tutta la vita troppo ritirato in sé stesso, tacendo e osservando la sua famiglia come attraverso a degli occhiali appannati.
Ed ecco che entra in gioco il grande antagonista di questa storia: il silenzio.
Il silenzio è il vero nemico della famiglia Primic. Troppi anni passati senza comunicare davvero portano Valerio a capire di non conoscere più la sua famiglia. Come dice Bettina (Marina Confalone), la governante e confidente dello scrittore «il silenzio è una brutta malattia, voi l'avete presa senza accorgervene. Comincia piano e poi cresce: le cose che non si dicono, che si zompano, il silenzio piccolo... Quando uno pensa "mo glielo devo dire" e poi chissà perché "meglio di no, va. Meglio che mi sto zitto" e lo pensa ogni volta. Alla fine tanti silenzi piccoli fanno un silenzio grande, enorme».
Emanuele Linfatti in una scena del film |
Questo silenzio inizia a voler essere rotto dai figli di Valerio proprio quando si è presa la decisione di voler vendere la villa: Massimiliano (Emanuele Linfatti) e Adele (Antonia Fotaras) ricercano un contatto col padre prima di dire addio a quella casa che ha sempre significato tanto per lui. E non è un caso se il confronto tra loro e Valerio avvenga proprio nel suo studio, il luogo che simbolicamente e non solo, incarna la sua essenza.
Massimiliano rivela al padre di aver sempre sentito il peso del suo cognome, di aver dovuto convivere con le aspettative che gli altri riponevano su di lui a causa sua e infine gli svela di essere un ragazzo omosessuale, ma di non aver mai avuto coraggio di dirglielo fino ad allora perché, a quel punto, il più grande fallimento della sua vita sarebbe quello di aver perso la casa e non l'avere un figlio gay.
Adele al contrario dice a Valerio quanto lei lo abbia mitizzato, come abbia sempre paragonato tutti i suoi spasimanti a lui ma nessuno abbia retto il confronto, e come quindi lo abbia sempre cercato in tutti gli uomini, andando con persone di minimo vent'anni più grandi di lei, finendo con l'aspettare un bambino da uno di questi.
Tutti parlano ma nessuno sente davvero Valerio, che ora vorrebbe finalmente far ascoltare la sua voce e rompere quel silenzio che ha inghiottito tutto. Ma quando si sta troppo in silenzio si finisce per non saper più parlare. È troppo tardi.
Ed ecco che qui c'è l'essenza di questa storia semplice ma amara, che Alessandro Gassmann ha saputo portare delicatamente in scena senza rovinarne la natura teatrale ma sapendola adattare al grande schermo. Probabilmente non sarà un film che farà la storia del cinema, ma sicuramente potrà insegnare. Vi invito quindi ad andare in sala a guardare Il silenzio grande.
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