Di Beatrice Superbi
Sta per terminare “l’anno di Dante” che ha voluto celebrare il settecentesimo anno dalla sua morte, il 14 settembre 1321. Il poeta non solo è stato fondamentale nella storia della letteratura ma ha influenzato tutte le arti e la cultura globale, ininterrottamente nel corso dei secoli. In ogni epoca, infatti, troviamo artisti che ne fecero il ritratto, connotato in modo diverso a seconda della sensibilità. Quali sono quindi le opere più significative?
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Fig.1: Bottega di Giotto, Giudizio universale, Paradiso, 1330-1337 circa, affresco, Palazzo del Bargello, Firenze |
Il ritratto più antico dell’Alighieri si trova nella cappella del Podestà al primo piano del Palazzo del Bargello a Firenze ed è attribuita a Giotto di Bordone, l’allievo di Cimabue (fig. 1). I due si conobbero a Firenze e si ritiene addirittura esserci stata amicizia. Questa, quindi, non solo è la più antica, ma probabilmente anche la più fedele rappresentazione del volto di Dante. Il poeta sarebbe stato ritratto nelle sue fattezze antecedenti all’esilio (l’opera è datata tra il 1300 e il 1302): un Dante giovane e non usurato dalla triste esperienza lontana da Firenze.
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Le caratteristiche tradizionali del volto di Dante Alighieri sono altre e assai differenti: perché i primi due ritratti, di poco posteriori alla morte del poeta, non le riportano? Una risposta plausibile si potrebbe trovare nella descrizione che ne fa Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante:
Appare chiaro che dal XV secolo in avanti il Trattatello boccaccesco abbia causato una cristallizzazione dell’aspetto del Sommo Poeta, nonostante i due scrittori toscani non si siano mai incontrati di persona.
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Fig.3: Sandro Botticelli, Ritratto di Dante, 1495 circa, tempera su tela, 54,7×47,5 cm, collezione privata, Ginevra |
Nel 1495 Sandro Botticelli realizzò il ritratto dantesco più celebre per i contemporanei, quello che più di ogni altro ha influenzato la concezione dei futuri artisti (fig.3). Rispetto ai suoi predecessori, regala al “suo” Dante una personalità unica. Contornato da una linea morbida e netta al tempo stesso, il profilo emerge dallo sfondo chiaro e sembra esprimere una sorta di pacata autorevolezza. Il lauro poetico, simbolo di gloria, da ora in poi sarà sempre presente. Il Dante di Botticelli ha l’aspetto di un insegnante giusto ma severo. Un Maestro d’arte e di vita. Il Ritratto di Dante è un caloroso tributo in segno di ammirazione, l’omaggio sentito di un allievo al suo maestro.
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Fig. 4: Domenico da Michielino, Dante con la Divina Commedia, 1465, tempera su tela, 232×292 cm, Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze |
La Divina Commedia illumina Firenze di Domenico da Michelino (fig. 4), realizzato in occasione dei duecento anni dalla morte del poeta, è l’opera che ha più influenzato la sua iconografia. Il primato è dato dalla collocazione facilmente accessibile (Santa Maria del Fiore), ma anche dal fatto che l’affresco di Giotto verrà riscoperto solo nel 1840. Il protagonista è severo, colto in età adulta: lo sguardo è triste, il capo chino verso il basso, il volto segnato dallo scorrere degli anni. Dante, mentre sembra spiegare a chi osserva la Commedia che tiene in mano, divide il dipinto in due spazi. Si trova infatti in equilibrio tra i tre regni (l’inferno, il purgatorio e il paradiso, a sinistra) e la sua città (a destra). Questo ci ricorda la doppia anima del poeta, divisa tra la celebrazione della gloria di Dio e l’impegno nella vita fiorentina.
Fig. 5: Raffaello, Disputa del Sacramento, 1509, affresco, 500×770 cm, Musei Vaticani, Città del Vaticano |
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Fig. 7: Agnolo Bronzino, Ritratto allegorico di Dante, 1530 circa, olio su tela, 130x136 cm, National Gallery of Art, Washington D.C. |
La versione di Agnolo Bronzino, Dante rivolto verso il Purgatorio (Fig. 7) ci offre l’immagine del poeta erede della cultura umanistica dell’età di Lorenzo il Magnifico. Il pittore anticipa temi come la superiorità della lingua toscana e il rapporto tra arte e poesia, cari a quei letterati che poco dopo avrebbero fondato l’Accademia. Immediatamente riconoscibile dal naso adunco e dal mento sporgente, troviamo il poeta che si riposa durante il viaggio della Commedia. Si è lasciato alle spalle il fuoco dell’Inferno (in basso a sinistra) e rivolge lo sguardo al Purgatorio, mentre il volume che tiene rivolto verso di noi è aperto al canto XXV del Paradiso. Rifacendosi all’opera di Domenico da Michelino, anche il Bronzino inserisce Firenze: Dante protegge la città, dipinta sotto la sua mano destra.
La carica iniziata dopo la morte del poeta iniziò progressivamente a scomparire: nei secoli XVII e XVIII la fortuna figurativa di Dante rimase sopita e nessuno si cimentò in nuovi tentativi. Tuttavia, nel vicino XIX secolo la Divina Commedia e il suo autore risultarono estremamente affini ai gusti del Romanticismo nascente. Viene quindi accantonato il ritratto del singolo Dante, a vantaggio di opere ambientate nelle vicende del suo viaggio ultramondano. Si tratta di realizzazioni che suscitano viva impressione, come non si era mai visto fino a questo momento.
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È proprio un’opera di Eugène Delacroix del 1821 uno dei primi dipinti a olio su tela della Divina Commedia. La barca di Dante (Fig. 8) mostra una scena del Canto VIII dell’inferno: Dante e Virgilio attraversano lo Stige su un traghetto guidato da Flegiàs. Sullo sfondo a sinistra compare, tra nebbia, nuvole e fumo, la città infuocata di Dite verso la quale si stanno dirigendo. Nel fiume si vedono dannati nudi, che si contorcono e mordono vicendevolmente oppure tentano di salire inutilmente sull’imbarcazione: gli iracondi. Tra loro si può riconoscere Filippo Argenti, il dannato che tenta di rovesciare la navicella. Il nostro poeta, ritratto da giovane, non è più corrucciato e severo ma appare preoccupato, inorridito, tanto che Virgilio gli prende la mano come per rassicurarlo. La veste non è rossa, manca l’alloro: vengono mantenuti solo il copricapo e il naso, sufficienti per riconoscerlo.
Delacroix fornirà il primo esempio di una lunga schiera di opere impegnative, elaborate, espressive, personali.
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Nella seconda parte dell’Ottocento l’incontro del poeta con l’amata, tema passato pressoché inosservato nei secoli precedenti, divenne uno dei soggetti preferiti dagli artisti. Un esempio è dato dal preraffaellita Dante Gabriel Rossetti che compone la Salutatio Beatricis (Fig. 9). Qui il protagonista non è il nostro poeta, ma la sua donna, in posizione centrale e di bellezza angelicata sia in terra che in cielo. Sono rappresentati due differenti incontri, riguardanti momenti e opere dantesche diverse: a sinistra quello della Vita nova; a destra il ricongiungimento nel Purgatorio. Questo pannello, divenuto estremamente celebre, dimostra la stanchezza per l’iconografia classica e desiderio di tentare vie nuove, nonché il risorgere della proposta giottesca (riscoperta proprio in questo periodo) di un Dante Alighieri giovane e dunque ritratto antecedentemente al suo esilio.
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Fig. 10: Il'ja Efimovič Repin, Portrait of Dante, olio su tela, 71.5 × 57.5 cm |
A cavallo del Novecento abbiamo il ritorno al ritratto (Fig. 10), come nel russo Il'ja Efimovič Repin. Se non fosse per il colore della tunica e per il fatto che è certo e dichiarato si tratti di Dante Alighieri, il dipinto potrebbe riguardare chiunque; invece è proprio il nostro poeta visto in maniera completamente nuova. Oltre ad essere stato sostituito il copricapo con un cappuccio, il tratto più evidentemente distante dallo stereotipo classico è dato dai baffi e il pizzetto. Il volto è giovane ed estremamente realistico, ma che poco si addice al poeta per come ormai è consueto riconoscerlo. È chiaro che alle porte del XX secolo nessuno ha più intenzione di ricorrere se non in modo parziale a canoni totalmente usurati, ma si cerca all’opposto di dare ognuno la propria personale interpretazione del volto di Dante Alighieri.
Da qui in poi la regola sarà quindi la ricerca di originalità, di stranezza, di soluzione inimmaginabile che colga alla sprovvista l’osservatore a volte per la forse eccessiva realisticità del personaggio rappresentato, a volte all’opposto per la mancata aderenza al mondo reale e la svolta verso l’astrattezza o la stilizzazione.
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Silvio Benedetto, Dante e Virgilio, Massi policromi, 150 x 250 x 120 ca., Valle delle Pietre Dipinte, Campobello di Licata |
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