"Inside" di Bo Burnham: come si esiste oggi?

Di Alessandra Vita

Bo Burnham in una scena di Inside

"Come on, Jeffrey, you can do it
Pave the way, put your back into it
Tell us why
Show us how
Look at where you came from
Look at you now"

Se avete letto queste strofe cantando, inconsapevolmente o meno, conoscete Inside di Bo Burnham. Di recente ha vinto ben tre Emmys, ma che cos'è Inside?
Netflix lo descrive come "uno speciale comico musicale girato e interpretato interamente da Bo Burnham nel corso di un anno molto insolito": ciò può voler dire tutto e niente. Non ci vuole molto a intuire che "l'anno insolito" a cui si fa riferimento è quello vissuto in lockdown, in piena pandemia.

Se pensate però di trovarvi di fronte a uno show allegro e spensierato, state sbagliando prodotto: Inside è ciò che di più cupo sia uscito dalla mente di un comico. Si tratta di un tentativo fallimentare di escapismo, perché quando il mondo sembra andare a rotoli e il nostro io inizia a cedere è difficile scappare. Si può ancora far ridere in queste condizioni? Questo è uno dei quesiti che lo speciale cercherà di esplorare.

Vi è però una sorta di catarsi in questo show, una purificazione sia per noi che lo guardiamo adesso e che stiamo cercando di superare quel momento, sia per Bo mentre lo girava, ma a ciò arriveremo dopo.

Inside è stato filmato tutto all'interno di una singola stanza durante l'anno di lockdown. Si tratta di uno di quei progetti creati per non impazzire, per "evitare di spararsi un colpo in testa", per continuare a darci l'illusione di non essere davvero fermi e tenerci occupati. E siccome nessuno aveva idea di quanto la situazione sarebbe durata, anche Inside si è andato a creare nel tempo senza aver bene in mente quando sarebbe finito. La struttura proprio per questo pare essere a singhiozzo, non legata sempre da correlazioni logiche, un vero flusso di coscienza.

Con delle canzoni originali Burnham ha offerto un'analisi della nostra società e di noi stessi dentro a essa. Il mondo non è più quello del 2019, si è creata una nuova realtà di cui siamo ospiti e in cui dobbiamo imparare a esistere. Ma noi abbiamo sempre le nostre insicurezze che la solitudine del lockdown ha fatto nascere o tornare a galla. Come si possono conciliare queste situazioni?

In una delle scene migliori dello show, Bo sbuccia ogni strato di un essere umano, toglie a ognuno di questi la sua maschera per cercare di arrivare alla verità. Prima l'uomo si esalta, poi ironizza sul suo esaltarsi, poi capisce che anche quello è un meccanismo di difesa. Questa è una metafora di ciò che è Inside: arrivare al fondo di tutto, al nocciolo, cercare di capire come funziona male il mondo e come funzioniamo male noi, e fare tutto ciò all'interno di una stanza, isolati dal resto, senza possibilità di confronto.



La parte più interessante dello show è forse quella relativa alla salute mentale: Burnham ha sofferto in prima persona di attacchi di panico, i quali lo avevano costretto a ritirarsi temporaneamente dalle scene. Proprio quando credeva di essere pronto per tornare sul palco è scoppiata la pandemia. Ed ecco che il comico nel suo Inside riesce a concentrarsi sulle conseguenze psicologiche del lockdown in modo sublime.

L'uomo, da solo, si autoanalizza, ripercorre la sua infanzia, deve fare pace con la realizzazione di star invecchiando e, alla fine, capisce che tutto questo isolamento forzato lo fa sentire da schifo e inizia ad affacciarsi a una forma di depressione. In All eyes on me la voce di Bo è stata abbassata in post produzione, come a voler simboleggiare quanto si senta a terra.



Tutto ciò è strano se si pensa all'altra faccia della medaglia: il mondo di internet, dove l'apatia è una tragedia e la noia è un crimine e si è sovrastimolati per cercare di avere interesse in tutto. Ed è a questo punto che Burnham si chiede: e se fosse il mondo di internet la realtà? Se il mondo reale fosse solo un teatro in cui registrare i contenuti per il mondo del web? 

Ciò ricorda un po' le riflessioni che fece il sociologo Baudrillard, che si occupò della progressiva dematerializzazione della realtà nel mondo postmoderno. Egli riteneva che le immagini fossero ormai a un tale livello di simulazione che avessero perso connessione con l'uomo: si vive in un regime di iperrealtà, in cui le immagini diventano promotrici di un nuovo tipo di organizzazione sociale, il che porta a una morte della realtà così come percepita dall'uomo. Le immagini hanno sostituito la realtà. Baudrillard fa questa riflessione prima relativamente ai media come la televisione e poi anche riferendosi a internet.



Ciò è solo una piccola parte di quello che vi aspetterà se vedrete Inside: un sorriso amaro e tanta riflessione. Si tratta di un'opera catartica: voi guarderete voi stessi a uno specchio e vi autoanalizzerete, così come ha fatto Bo in questo anno.
Vi consiglio dunque di correre su Netflix a recuperarlo.

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