Di Davide Gravina
Oggi, alla 78° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, verrà presentato in anteprima mondiale Dune, l’ultimo film diretto da Denis Villeneuve. L’attesa è moltissima, in primis, probabilmente, per un cast corale d’eccezione: Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Dave Bautista, Jason Momoa e Javier Bardem. Nonostante una selezione di attori di primissimo livello, ritengo che sarà Villeneuve il vero valore aggiunto.
Il regista canadese inizia la sua carriera nel 1998 con Un 32 août sur terre e prosegue nel 2000 con Maelström. Nonostante i suoi primi film siano di buon livello, è con la terza e quarta opera che mostra al mondo il suo talento. I film a cui mi riferisco sono Polytechnique del 2009 e La donna che canta del 2010. Sebbene le sue doti registiche raggiungano il culmine, forse, già con questi due film, la fama internazionale di Villeneuve è legata ai film successivi: i thriller Prisoners e Enemy del 2013 e Sicario del 2015 e i film di fantascienza Arrival e Blade Runner 2049, rispettivamente del 2016 e del 2017. In questo articolo intendo, però, soffermarmi sulle sue prime grandi opere, in cui per la prima volta assistiamo al manifestarsi di uno dei più grandi autori del cinema contemporaneo.
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Scena dal film Polytechnique (2009) |
I due film presi in esame non potrebbero essere più diversi. Polytechnique racconta la strage avvenuta il 6 dicembre 1998 all'École Polytechnique di Montréal. La donna che canta narra, invece, di due gemelli che devono consegnare due lettere, una al padre ed una al fratello, entrambi sconosciuti, per adempire alle ultime volontà scritte nel testamento della madre, appena morta.
Al di là delle differenze di trama, troviamo notevoli diversità visive e di location: il film del 2009 è girato completamente in bianco e nero ed è ambientato per la maggior parte all’interno dell’università dove si consuma la strage e, in ogni caso, non si sposta dalla città di Montréal; La donna che canta è, invece, a colori e si sposta tra il Canada ed un paese mai nominato, ma con espliciti riferimenti al Libano.
Queste differenze evidenziano un paradosso: come possono due film, così, apparentemente, diversi, per forma e contenuto, essere la prova dell’autorialità di un regista?
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Denis Villeneuve sul set di Blade Runner 2049 |
Prima di dare una risposta, ritengo necessario fare una piccola premessa: è possibile parlare di autori, in qualsiasi campo artistico, sia che essi esplorino uno stesso genere, sia che spazino in più aree. Non voglio discutere se i primi siano migliori dei secondi perché dimostrano sempre un originale stile personale, o se, al contrario, i secondi sono superiori perché riescono a rimanere sé stessi anche affrontando diversi stili. Ciò che mi interessa sottolineare è che Villeneuve rientra nella seconda categoria.
Adesso cerchiamo di dare una risposta dettagliata alla domanda base dell’articolo.
Il primo elemento da analizzare è il ruolo della donna. La donna, o qualsiasi altra figura femminile (basti pensare a Ana de Armas in Blade Runner 2049, che interpreta Joi, un’intelligenza artificiale olografica), ha sempre rivestito un ruolo basilare in tutta la filmografia di Villeneuve. Il suo terzo e quarto film sono la sublimazione di questa caratteristica.
In Polytechnique le donne sono le vittime. Marc Lépine (interpretato da Maxim Gaudette), lo studente responsabile della strage all'École Polytechnique, uccise 14 ragazze prima di togliersi la vita. Le ragazze vittime della strage non hanno, eccezion fatta per Valérie (Karine Vanasse), alcun tipo di sviluppo. Questo dà meno risalto al loro ruolo? No, anzi. Il loro valore aumenta esponenzialmente: ogni ragazza presente quel giorno all’università era potenzialmente una vittima. Villeneuve, così facendo, riesce a mostrare la vera natura folle dell’assassino, meglio di qualsiasi approfondimento.
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Scena dal film Polytechnique (2009) |
Ne La donna che canta, invece, l’importanza del ruolo femminile è esplicitato già dal titolo: Nawal Marwan (Lubna Azabal) è, infatti, l’assoluta protagonista. Nawal è la mamma, morta da poco all’inizio del film, dei due gemelli (Jeanne e Simon Marwan, rispettivamente interpretati da Mélissa Désormeaux-Poulin e dal già citato Maxim Gaudette) incaricati di adempiere alle ultime richieste della madre. In questo caso, al contrario del film precedente, Villeneuve vuole approfondire la personalità della protagonista: Nawal è una donna forte, con una famiglia rigida e senza scrupoli ed è, soprattutto, una donna alla ricerca di qualcuno. Troverà quella persona e lo shock sarà così forte da causarle la morte in poco tempo.
Villeneuve, quindi, opta per due decisioni diametralmente opposte: nessun tipo di profondità femminile in Polytechnique ed un notevolissimo impegno di scrittura per Nawal ne La donna che canta. Questa differenza fa di Villeneuve un regista senza personalità? Ovviamente no. Ha deciso di dare risalto alle figure femminili, sua tipica caratteristica, in maniera diversa poiché questa era la scelta migliore. Questo non è segno di poca personalità, testimonia, al contrario, grande maturità artistica.
Secondo soggetto che intendo evidenziare è il carnefice. In Polytechnique l’assassino è evidente fin dai primi minuti: Villeneuve mostra già nelle prime scene Marc che scrive una lettera rivolta al mondo, nella quale crede di spiegare con razionalità le ragioni dell’azione che sta per compiere. Al di là della sua presunta giustificazione, la pazzia dello studente è palese, anche in virtù delle scelte di scrittura precedentemente analizzate.
Ne La donna che canta, invece, l’antagonista è più enigmatico. Prima di tutto non siamo sicuri ci sia un vero e solitario antagonista; in più il finale rimescolerà le carte dando vita ad uno dei più inaspettati plot twist cinematografici che il XXI secolo ricordi. Ancora una volta Villeneuve decide di descrivere lo stesso personaggio, il carnefice appunto, in due maniere differenti. Fa questa scelta per poter dar vita alla miglior rappresentazione possibile del suo intento: totale pazzia dello studente Marc Lépine nel film del 2009 ed ambiguità con colpo di scena finale nel film del 2010.
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Scena dal film La donna che canta (2010)
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L’ultimo tema che credo meriti attenzione è la costruzione temporale dei due film.
Entrambi presentano numerosi flashback e flashforward. Questi non creano inutile confusione, anzi. In Polytechnique Villeneuve decide di mostrarci alcune scene più volte, vissute da diversi personaggi (oltre all’assassino, troviamo altri due personaggi importanti: la già menzionata Valérie e Jean-François interpretato da Sébastien Huberdeau).
Anche ne La donna che canta sono presenti numerosi salti temporali, i quali scandiscono la vita di Nawal in diversi capitoli e segnano i progressi fatti dai gemelli, alla ricerca del loro padre e del loro fratello.
In entrambi i film, quindi, la narrazione non lineare è una necessità: in Polytechnique si vuole dar risalto, oltre al punto di vista dell’assassino, anche a quello di una vittima (Valérie) ed a quello di uno sconcertato studente (Jean-François). Ne La donna che canta, invece, i salti temporali sono necessari per poter raccontare la vita di Nawal partendo dalla sua morte, mostrandoci il suo viaggio, fino all’imprevedibile ed inatteso finale.
Ricapitolando: Villeneuve è uno dei più talentuosi autori cinematografici degli ultimi anni. Queste sue doti emergono con i film analizzati nell’articolo, ma non si è fermato a questi due gioielli. Ha realizzato altre opere che hanno ottenuto un clamoroso successo. Tutti gli amanti di cinema, adesso, non vedono l’ora di assistere alla sua ultima fatica, nella speranza, ed azzarderei a dire certezza, che mostri ancora la sua originale personalità artistica.
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Zendaya e Timothée Chalamet in un'immagine promozionale di Dune, dal sito labiennale.org
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