Di Luca Martinelli
Faith è un documentario complesso: si svincola infatti da ogni riferimento alla tradizione documentaristica italiana. Non c’è l’irriverenza di Alberto Grifi, né la visione poetica del reale di Franco Piavoli. Al contrario, c’è la volontà di registrare il fatto ed allo stesso tempo di non esserne in nessun modo partecipe. La Pedicini fa in modo che la sua camera appaia distante: ontologicamente esiste, eppure sembra che i protagonisti del documentario non se ne accorgano. Come se vi fosse una mimetizzazione della macchina da presa all’interno del monastero.
Eppure Faith non è assolutamente un documentario piatto e distaccato: vi sono due aspetti particolari. Il primo è la concentrazione totale della Pedicini sui corpi: non necessariamente corpi in allenamento (sebbene diverse scene siano ambientate in palestra), ma il focus rimane sempre l’inquadratura del corpo. La compianta regista pugliese supera il dualismo cartesiano e scava discretamente nel profondo, rivelando allo spettatore la profonda spiritualità insita nel superamento di tale dualismo da parte della comunità. Il secondo aspetto particolare è la profonda emotività del film ma allo stesso tempo la sua capacità di contenersi: in diversi punti Faith pare sul punto di deflagrare e potere prendere un’altra rotta. Ma la Pedicini opta per la scelta più economica, quella dell’equilibrio: pur mantenendo una forte poesia, Faith è prima di tutto un film realista, quasi verista.
Sotto l’aspetto principalmente tecnico, due sono le cose da rilevare: il grandissimo lavoro sul bianco e nero e l’ossessivo lavoro di montaggio. Le inquadrature mostrano infatti una grandissima varietà sul bianco e nero, che non è mai monocromo ma sempre tende a sfumatura diverse: se nella sceneggiatura non c’è esplosione, vi è nell’uso delle luci. Lo vediamo sin dalla prima scena: un bianco e nero sincopato, martellante, che lascia allo spettatore un fortissimo impatto emotivo. Il lavoro sul montaggio è poi incredibile: tutte le scene sembra siano state cesellate, mai manomesse, ma sicuramente accumulate per ore ed ore di girato. E’ inevitabile, quando si tratta di dovere fare un documentario su una realtà pulsante, vivente.
Insomma, Faith è una scommessa vinta ed è la dimostrazione di come il cinema italiano possa essere ancora valente nel panorama internazionale, rinunciando ai cliché ed alla banalità. Il destino ha voluto che Valentina Pedicini non abbia potuto vedere il suo film proiettato nelle sale, ma siamo certi che il suo ricordo ed il suo cinema abbiano lasciato un’impronta importante.
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