Di Silvia Strambi
Sei anni fa Lo chiamavano Jeeg Robot sconvolse il mercato del cinema italiano. Il film, dell'esordiente Gabriele Mainetti, colpì per aver unito il genere supereroistico con la cultura italiana, in una Roma violenta e criminale. Il film vinse ben sette David di Donatello, un risultato decisamente impressionante per un regista al primo lungometraggio.
A distanza di sei anni, è stato presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia il suo secondo film, Freaks out. In quest'occasione, nonostante le critiche miste, il lungometraggio ha ricevuto una standing ovation di dieci minuti e ha vinto il Leoncino d'Oro, premio assegnato da una giuria composta da giovani di Agiscuola.
Dopo un periodo di pre e post produzione durato ben tre anni, il pubblico potrà vedere da oggi al cinema la seconda opera di Mainetti. Le critiche negative sono giustificate? L'attesa varrà la pena? Qui trovate il mio giudizio su Freaks out.
(Nella recensione sono presenti leggeri spoiler per chi non ha seguito la promozione del film, ma tutti gli elementi da me anticipati sono già stati palesati nei trailer e nelle clip rilasciate)
Da labiennale.org |
Con la sua seconda opera Mainetti riprende il genere supereroistico, muovendosi anche stavolta in un contesto prettamente italiano ma meno moderno. Freaks out si svolge infatti durante l'ultimo periodo della Seconda Guerra Mondiale in Italia.
Il Circo Mezza Piotta, gestito dal vecchio Israel (Giorgio Tirabassi), è composto da 4 'fenomeni da baraccone' (o freaks): Cencio (Pietro Castellitto), un ragazzo albino che doma gli insetti; Mario (Giancarlo Martini), un nano dai poteri magnetici; Fulvio (Claudio Santamaria), un uomo lupo; infine Matilde (Aurora Giovinazzo), una ragazza che produce elettricità. Quando il Circo viene distrutto e i quattro freaks si trovano soli, entrano nell'orbita di Franz (Franz Rogowski), un nazista che ha visioni del futuro e vuole creare un esercito di superuomini con cui vincere la guerra.
Rispetto a Lo chiamavano Jeeg Robot, Mainetti rovescia completamente il tono: se il primo film era cupo e concentrato sui drammi di personaggi complessi, qui abbiamo un'atmosfera molto più leggera (anche nei colori). Se Lo chiamavano Jeeg Robot era un film d'azione "impegnato", Freaks out è un film d'azione punto. Questo farà forse storcere il naso ad alcuni puristi del cinema, ma ritengo che non sia giusto snobbare un film d'azione solo in quanto tale. Soprattutto, non credo sia giusto snobbare un film d'azione così ben fatto.
Freaks out è pieno di qualità di cui parlare. Quella più evidente, già dalla prima sequenza, che presenta i poteri dei protagonisti, è l'uso di effetti speciali impressionanti.
"Spettacolo" è la parola d'ordine di questo film, non solo dal punto di vista degli effetti visivi, di altissima qualità, ma anche nella regia e nel comparto audio.
La colonna sonora è composta dallo stesso Mainetti e da Michele Braga. Presenta al suo interno dei bei temi dal tono fiabesco e popolare, ma anche pezzi più epici nelle scene d'azione. Scene d'azione che sono ben costruite, non confusionarie e capaci di mantenere la tensione alta, a dimostrazione della capacità del regista di governare la macchina da presa.
Pietro Castellitto in Freaks out (2021) |
Come nel precedente film di Mainetti, la violenza è un elemento fondamentale. Tuttavia in questo caso la brutalità esageratamente raccapricciante della Roma moderna, del primo film, viene attenuata sia nella quantità che nella qualità, assumendo un carattere decisamente più ridicolo, quasi scherzoso.
Un nome non può non venire alla mente: Tarantino. D'altronde la premessa stessa di Freaks out, che vede i personaggi scontrarsi diverse volte coi nazisti, ricorda Bastardi senza gloria. Oltre a questo una gag del film di Mainetti richiama la scena più famosa del suo film di debutto, Le Iene. L'impronta 'fantasiosa' di Tarantino è chiaramente una forte influenza per il nostro compatriota, che ne riprende il gusto per l'esagerazione... e per la citazione.
Sempre tornando a fare il confronto con Lo chiamavano Jeeg Robot, anche qui gli attori protagonisti parlano in dialetto romano. Questa caratteristica, criticata da alcuni, aiuta secondo me a mantenere un senso di racconto popolare, che strizza l'occhio alla narrazione della Seconda Guerra Mondiale fatta dal Neorealismo. Ovviamente sarebbe improprio paragonare Mainetti con maestri del calibro di De Sica e Rossellini. Tuttavia trovo che il film mantenga bene un equilibrio tra realismo e magia, tra le macerie di una Roma bombardata e i suoi maestosi Fori imperiali.
Inoltre, il linguaggio permette di mantenere la natura peculiare della storia e del film, che con la sua lingua e le sue ambientazioni è profondamente connesso alla cultura e al folklore del nostro paese (qualcuno direbbe che è un film 'troppo italiano', per citare Boris).
Parliamoci chiaro, Freaks out non è certamente un film originale, pur essendo qualcosa di mai visto nel nostro paese. La premessa è stata già paragonata a X Men (se gli X Men fossero stati italiani), ma oltre a questo la storia si muove anche su binari abbastanza prevedibili, fondandosi su stereotipi tipici del genere supereroistico. Abbiamo il gruppetto di 'esclusi' che trova valore nell'unione, la storia d'amore tra i protagonisti giovani e belli, il personaggio burbero ma dal cuore d'oro, il 'mentore' anziano e gentile...
Tuttavia la semplicità non vuol dire necessariamente bassa qualità: molti dei film d'azione più famosi e meglio riusciti si fondano d'altronde su pochi elementi semplici sviluppati in maniera convincente (si pensi solo a Jurassic Park di Spielberg o alla saga di Indiana Jones di George Lucas).
Possiamo dire la stessa cosa per questo film: molti degli elementi apparentemente più semplici si riscattano grazie ad una buona esecuzione. Ad esempio, il personaggio di Fulvio viene arricchito dall'interpretazione di Santamaria, sempre sul pezzo. Ugualmente si può dire di Aurora Giovinazzo, che pur essendo un'esordiente riesce a dare vita, nei panni di Matilde, ad un'interpretazione degna dei suoi colleghi più esperti. Merita menzione anche la prova attoriale di Franz Rogowski nei panni dell'antagonista, che bilancia perfettamente l'aspetto malvagio e quello pietistico del personaggio (anche lui, a modo suo, è un freak). La bravura di Rogowski sta però nel fare in modo che l'umanità di Franz non faccia mai passare in secondo piano la sua crudeltà, e soprattutto che non la giustifichi.
01 Distribution |
Il legame tra i quattro protagonisti risulta credibile grazie alla chimica tra gli attori. Oltre a questo, si tratta di un rapporto in evoluzione, che parte come conflittuale e legato alla figura centrale di Israel. Sono le vicende che coinvolgono i freaks a far scoprire loro il valore dell'unione e soprattutto come lavorando insieme possono arricchirsi l'un l'altro e sopravvivere.
Alla fine dei conti quel che fa differenza è il cuore con cui si raccontano questi elementi e questi personaggi.
Tuttavia l'esecuzione non salva sempre gli aspetti più discutibili della sceneggiatura. Probabilmente l'esempio più lampante è il personaggio di Cencio. Lui racchiude in sé ben due ruoli, ovvero interpreta la spalla comica e l'interesse romantico. Le sue (pessime) battute purtroppo non sono supportate da un'interpretazione attoriale convincente. Allo stesso modo la sua storia d'amore con Matilde risulta priva di guizzi creativi, e si limita a seguire uno schema vecchio e prevedibile (da odio ad amore) che non appassiona.
Insomma, questo non è un film privo di difetti.
In alcuni punti risulta abbastanza didascalico: i partigiani, per far capire al pubblico che sono partigiani, entrano in scena cantando 'Oh bella ciao'; la prima battuta di Cencio, che subito ce ne fa capire l'eleganza, è 'con 300 lire mi sc*po le meglio m*gnotte di Roma per un anno'... Come è anche abbastanza didascalica l'idea di chiamare l'unico personaggio ebreo di rilievo, all'interno del film, "Israel".
Oltre a questo trovo un po' infelice la scelta di caratterizzare Mario, che sembra implicato sia affetto da una forma di disturbo mentale, come una masturbatoria spalla comica.
In più, il film si concentra soprattutto sul personaggio più 'normale' del gruppo (per definizione dei protagonisti stessi), ovvero Matilde. Questo pur essendo un'opera dedicata agli emarginati della società e i 'diversi'.
Infine, nonostante non abbia trovato buchi di trama da segnalare, ci sono alcune convenienze di troppo che aiutano la vicenda a procedere.
01 Distribution |
Tuttavia, in un panorama saturo delle produzioni supereroistiche e di action movie ad alto budget penso che ci siamo dimenticati di quanto sia difficile fare un buon film d'azione, che sappia intrattenere senza sacrificare personaggi e storia. Soprattutto, quanto sia difficile farlo nel nostro paese.
Questo è il primo, vero blockbuster italiano ed è normale che ci troviamo ancora indietro rispetto ad un paese (l'America) che ha iniziato a fare film d'azione decenni fa e in cui si discute di più sulla rappresentazione. Credo comunque che questi problemi siano degni di essere segnalati, per poter essere smussati in futuro da chi vorrà proseguire nel solco lasciato da Mainetti.
Freaks out è il coronamento ideale del processo di 'blockbusterizzazione' del cinema italiano cominciato da Salvatores con il suo Il ragazzo invisibile e proseguito dallo stesso Mainetti e (con risultati decisamente più catastrofici) da Ryan Travis con Game Therapy.
Con Lo chiamavano Jeeg Robot il regista romano aveva dimostrato che un cinema supereroistico che non tradisse le radici italiane era possibile. Con Freaks out crea idealmente un trampolino di partenza per tutti quei cineasti ambiziosi che volessero cimentarsi in un'esperienza più spettacolare, tenendo comunque al proprio centro una storia e dei personaggi interessanti nella loro semplicità. Adesso sappiamo che anche in Italia si può fare.
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