E Mefistofele si accese una sigaretta davanti alla Venere di Botticelli. Una riflessione intorno allo sbattezzo. Parte 1

Di Federico Rossato


Avere a che fare con un pubblico, spesso e volentieri, porta con sé la sensazione di starsi relazionando con un Dorian Gray appena arrivato a Londra. Forse un po’ utopicamente, però l’idea che attraverso delle parole si possa convincere, nei migliori dei casi, o persuadere, nei peggiori, un lettore è terribilmente affascinante. La domanda che si deve porre chi scrive, dunque, è la seguente: essere lord Henry Wotton o Basil Hallward? 


Artemisia Gentileschi, Susanna ei vecchioni, 1610, olio su tela, 170×119 cm, 
Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden

Basil Hallward, il pittore dal cuore malinconico, simbolizza, tra le tante cose, la moralità che dovremmo perseguire coscientemente e coscienziosamente. Questo perché, come diceva lo zio Ben di Spider-Man, «da grandi poteri derivano grandi responsabilità” e coloro che impugnano una penna dovrebbero ricordarselo. Dall’altra parte, lord Henry è il diavolo tentatore che sibila all’orecchio dei giovani, ricordando d’essere dalla loro parte e che, dopotutto, possono essere molto più di quanto gli sia stato detto di poter divenire. Se Basil è Apollo che canta della quieta armonia in un tempio, Henry è un Dioniso dal calice sempre ricolmo di vino inebriante. Per apprezzare Basil serve buonsenso, ma per scegliere lord Henry serve una morbosa curiosità. Un desiderio di conoscenza, quello che offre e soddisfa il diavolo, simile all’acqua di mare: più se ne beve, più se ne vorrebbe. Così nasce una costante critica alla realtà, poiché conoscendo e volendo conoscere non si possono che notare tutte le direzioni che assumono i suoi rami, tra storture, convergenze, spaccature e deformità che risaltano come un naso in mezzo alla faccia. Scegliere lord Henry Wotton significa dannarsi fino alla fine dei tempi, poiché implica avere l’onestà intellettuale d’essere abbastanza sinceri da porre e porsi, in prima battuta, alla sbarra degli imputati per essere vivisezionati senza possibilità d’appello. Emerge, però, una domanda: c’è da credere alle parole di Frollo, il giudice di Notre Dame nel classico Disney omonimo, quando dice «Egli castigherà i perversi e li precipiterà in una voragine di fuoco»?


I presupposti di questa affermazione sono l’esistenza di una divinità trascendente e di un sistema morale capace di distinguere tra ciò che è giusto agire e ciò che, al contrario, è scorretto. Perché è importante puntualizzare questi presupposti? Essenzialmente per avere una visione più chiara dei pilastri fondanti dell’argomentazione, dunque comprendere meglio portata e limiti del modello preso in esame. Senza seguire le nervature dell’argomento, come avere chiaro l’argomento stesso? Ricavati questi due presupposti, si pongono due domande, ovvero se Dio esista e se una morale creata da o per esso sia più o meno valida.


Partendo con la prima domanda, il dilemma diventa monumentale, soprattutto perché si deve capire cosa s’intende quando si dice “Dio esiste”: ha sostanzialità? È trascendente? È un concetto limite? Può non esistere un concetto che ha tra le sue caratteristiche la perfezione, dunque l’insieme di tutto ciò che può essere senza essere manchevole di qualcosa? Ovviamente questo non è il luogo per iniziare un dibattito teologico intorno all’esistenza di Dio, ma è comunque possibile accettare ragionevolmente il concetto di divinità, al netto delle caratteristiche specifiche di ogni singola religione.


Alla seconda, invece, il problema si fa contemporaneamente facile e complesso, quasi come in un caleidoscopio dove le figure non cessano un secondo di mutare. Questo perché un sistema morale non ha una data di scadenza, a differenza di una bottiglia di latte, ma piuttosto dei limiti nella misura in cui si pone in termini deontologici, ovvero che va fondandosi su determinati principi essenziali (es. «Io sono il tuo Dio e non avrai altro dio fuori di me» (1) ecc…). La domanda, dunque, è intorno a quanto efficace ed efficiente sia un dato sistema nella sua struttura, dunque se sia valido. Si potrebbe obiettare che una morale sia sempre e solo storica, poiché nasce in un momento preciso del tempo da precisi esseri umani e da lì si sviluppa, ma questo ha a che fare con il darsi fenomenico della morale, dunque il come ci appare all’interno dell’esperienza, più che con il modello in sé, il quale è intrinsecamente mosso verso una propria eternalizzazione (N.d.C. da qui una lettura critica, ad esempio, della barbarie commessa nello sterminio dei nativi americani o altri eventi storici che oggi giudichiamo come atroci, nonostante la loro totale legittimità nel contesto). Il modello etico cristiano cattolico sta in piedi e lo assumeremo per valido, ma qui giunge la domanda: Dio e la sua morale come si comportano una volta immersi nella Storia?


I due punti hanno una loro validità sul piano teoretico, ma una volta posti in prospettiva storica, cosa avviene a questi concetti? Perché costruire un sistema teoreticamente valido è un gioco complesso, ma trasportarlo sul piano della concretezza diventa un’ordalia. Ci fosse una diretta correlazione tra ordo idearum (N.d.C. “L’ordine della conoscenza”) e ordo rerum (“L'ordine del mondo naturale”), probabilmente le macchine volerebbero, non esisterebbe lo sfruttamento e ogni uomo si considererebbe suo fratello, rendendo il mondo assai più bello. Il Fato crudele, però, lanciò l’uomo in una vita ben diversa e tra il piano teoretico e quello concreto corre un abisso fatto di fattori la cui previsione è praticamente impossibile, il che rende tutto molto più affascinante. Riprendendo una citazione di Buona apocalisse a tutti!: «Innanzitutto, Dio agisce in maniera imperscrutabile, per non dire circospetta. Dio non gioca a dadi con l'universo; il Suo è un gioco ineffabile che Lui stesso ha concepito, e che, osservato attraverso gli occhi dei partecipanti, [cioè tutti] si potrebbe definire come una oscura e complicata versione del poker, giocata in una stanza totalmente buia, con carte bianche, posta infinita, e un Mazziere che non spiega le regole e non smette mai di sorridere» (2). Questo per intendere come la realtà sia molto più complessa dei termini che utilizziamo per tentare di descriverla e fermarla. 


Sul piano della concretezza, Dio e la morale cristiana cattolica prendono forma nella Chiesa Cattolica Apostolica Romana, attraverso la Curia. Dunque, il discorso cambia drasticamente, poiché se prima si ragionava in termini puramente speculativi fondati sui principi di validità logica, ecco che storicizzando la questione tutto si fa più complesso ed inizia debordare dai propri confini, fondendosi e rimescolandosi così tanto da portare a chiedersi se rimanga qualcosa di quei principi fondanti. Storicamente emergono i dilemmi più disparati intorno alla Chiesa ed i suoi fedeli, basti pensare alle diatribe di Berengario da Tours e Lanfranco di Pavia sull’eucarestia o l’eresia di Fra Dolcino, ma tutte queste riconfermano una realtà incontrovertibile: la Chiesa ha una nuova dimensione politica. È una dimensione politica poiché cessa d’essere solo una prospettiva etica e s’istituzionalizza, assumendo un’agenda e degli obiettivi che non hanno nulla a che fare con le questioni spirituali, ed è nuova poiché, se anche possiamo riconoscere un obiettivo di evangelizzazione tra i cardini della dottrina cristiana cattolica, abbiamo una sua sistematizzazione, attraverso un clero esperto ed una capillarità culturale nella società di portata maestosa. La Chiesa diventa, dunque, molto più di quanto non si sarebbe mai potuto immaginare originariamente, dando vita ad un agente di rara importanza e straordinaria rilevanza socio-culturale. Roma, infatti, è il cuore della religione più solidamente diffusa al mondo, forse giusto dopo l’impero Disney, e conseguentemente da ciò gioca un ruolo fondamentale nella vita dei paesi dove ha avuto modo d’attecchire.


Basilica di San Pietro in Vaticano


Essendo così importante, non possono che derivare problemi, soprattutto con un graduale processo di secolarizzazione dell’istituzione. Poiché, s’è vero che la Chiesa ha esercitato ed esercita un ruolo predominante sullo scacchiere del potere spirituale internazionale, si deve anche ammettere l’esistenza di tutti gli stridii tra le sue posizioni squisitamente conservatrici ed il progresso della società civile. Tra i vari problemi si potrebbero citare i famosissimi casi d’insabbiamento di violenze pedofile, i rapporti con alcuni regimi totalitari, lo squilibrio tra beni immobili e tasse pagate per essi, l’influenza nella politica interna di paesi laici, o quantomeno tali sulla carta, e così via: sarebbe quasi miracoloso, ironicamente, se l’istituzione di Dio in Terra non avesse accumulato problemi nei suoi duemila e passa anni d’attività.


Non è un mistero, dunque, perché tanti si siano allontanati dalla Chiesa, nel migliore dei casi, o più drasticamente dalla Fede. Oggigiorno, soprattutto, si può leggere una tendenza crescente al distaccarsi da Roma, ma spesso rimane una distanza informale, comparendo ancora nei registri come appartenenti alla Chiesa Cattolica Apostolica Romana.


Come risolvere questa impasse? Una delle soluzioni più pratiche più efficaci ed efficienti, senza scomodare la possibilità di una seconda Porta Pia o del riformare l’Armata Rossa, consiste nella richiesta di sbattezzo. A sostegno della pratica, verranno proposti un argomento spiritualistico ed uno politico, affinché si possa avere un quadro il più ricco possibile.

Andando con ordine, è doveroso partire dall’argomento cardine, ovvero quello spiritualistico. Prima, però, d’iniziare a formularlo cercando di fare del proprio meno peggio, è necessario chiarire cosa sia ciò di cui si sta parlando a monte, ovvero che cosa s’intenda quando si parla di battesimo. Questi, stando alla voce corrispondente nel vocabolario Treccani, è il «Rito con cui una persona, mediante abluzione e l’osservanza della forma prescritta, entra a far parte della Chiesa: è il primo dei sette sacramenti della Chiesa cattolica, riconosciuto come tale da quasi tutte le altre confessioni cristiane». Lo statuto ontologico del battesimo, dunque che cosa esso sia, sarà qualcosa d’approfondito nel cuore dell’argomento. In questo preambolo, tuttavia, è comunque giusto indicare una nascita storica, o quantomeno simbolica, del rito, poiché il pilastro su cui si basa è, ovviamente, il noto episodio, narrato dai Vangeli, del battesimo di Gesù Cristo ad opera di Giovanni Battista. Ma il rito del battesimo, stando a quanto narrano i Vangeli, è estraneo alla predicazione originale di Gesù.


Il battesimo cristiano è nato, infatti, attraverso la fusione del concetto magico propiziatorio, non ignoto all’antica e culturalmente mastodontica religione ebraica, e il concetto d’iniziazione a una nuova esperienza di vita, la quale garantisce il riscatto da tutto un passato di dolore, oppressione e schiude la possibilità d’accedere alle porte della salvezza eterna. Fino al IV secolo, infatti, si veniva generalmente battezzati da adulti, dopo ben tre anni di catecumenato, richiedendo in tal modo un’esplicita professione di Fede, o in punto di morte, come avvenne per l’imperatore Costantino. La testimonianza giuntaci attraverso il Nuovo Testamento non lascia dubbi circa il fatto che quello protocristiano è un battesimo dei credenti: vengono battezzati coloro che accolgono la predicazione e, dopo un percorso di formazione catechetica, entrano a far parte della comunità. Il discorso, evidentemente, cambia quando ad essere sottoposto al battesimo non è un adulto responsabile delle proprie scelte, ma un infante incapace d’esercitare il proprio arbitrio.


In parole molto povere, non era ancora presente un problema di transgenerazionalità tra la scelta dei genitori ed il neonato.


Piero della Francesca, Battesimo di Cristo, 1445, tempera su tavola,
167×116 cm, National Gallery, Londra

Ma in cosa consiste il battesimo? Ebbene, oltre alla ritualità alla quale è possibile assistere assistere, ovvero l’aspetto meramente fenomenico dell’atto, è necessario prendere in considerazione lo statuto ontologico del battesimo, ovvero ciò che comporti alla persona, almeno stando alla definizione che fornisce la Chiesa. Il Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica riporta: «Il Battesimo rimette il peccato originale, tutti i peccati personali e le pene dovute al peccato; fa partecipare alla vita divina trinitaria mediante la grazia santificante, la grazia della giustificazione che incorpora a Cristo e alla sua Chiesa; fa partecipare al sacerdozio di Cristo e costituisce il fondamento della comunione con tutti i cristiani; elargisce le virtù teologali e i doni dello Spirito Santo. Il battezzato appartiene per sempre a Cristo: è segnato, infatti, con il sigillo indelebile di Cristo (carattere)» (3). Ciò, in maniera abbastanza ovvia, non significa affatto che l'uomo ottiene la vita eterna mediante un sacramento così come si compra una pagnotta al mercato, per "elezione" ed in modo irreversibile, ma che mediante il sacramento ottiene «il potere di diventare figlio di Dio» (4). Per tanto, può partecipare, nella vita terrena, al Corpo di Cristo in Fede, dunque nelle parole e nelle opere, meritandosi, eventualmente, la stessa vita anche dopo la morte, in totale pienezza come ricompensa dell’agire virtuoso. Allo stesso tempo, al battezzato resta la possibilità di vivere nel peccato e dannarsi, tanto nell’anima quanto nel corpo, grazie al libero arbitrio.


Riprendendo Giovanni Scoto Eriugena, non è possibile attribuire a Dio una predestinazione, da intendersi come "destinare prima", in quanto in Dio non esiste né prima né dopo, essendo egli eterno. Prendendo come base la teologia negativa dello Pseudo-Dionigi, Giovanni Scoto Eriugena fa notare l’impossibilità di condizionare la volontà umana, dunque d’inclinare l’uomo aprioristicamente ad essere santo o demonio. Rifacendosi, invece, ad Agostino d’Ippona, sostiene che il male non abbia una propria sostanzialità (N.d.C. ovvero che non sia reale), ma un non-essere e dunque Dio non lo conosca, poiché se lo conoscesse lo creerebbe, in quanto il pensiero e l'azione in Dio si identificano. Il male, dunque, è un'assenza di perfezione, o una negazione di realtà. Conseguentemente da ciò, in Dio non vi può affatto essere prescienza del male dell'uomo, dunque non vi è e non può esserci predestinazione al male. La caratteristica essenziale dell'uomo è, per Giovanni Scoto Eriugena, il libero arbitrio, il quale consiste nella possibilità di peccare o di non peccare, rendendo l’uomo responsabile della propria santità quanto della propria dannazione.


Al netto dell’accusa di pelagianesimo che lo seguì insieme alla condanna della propria dottrina morale, questo è un passaggio fondamentale per togliere quel velo di predestinazione che s’è soliti gettare sopra i riti religiosi. Come scrive Tommaso d'Aquino, il legame tra l'ente e Dio è sì di tipo ontologico, ma è una partecipazione e non un'essenza. Diviene indissolubile e necessario solo per l'anima salvata dopo la morte. Conseguentemente da ciò, la Chiesa non riconosce effetti spirituali alla pratica dello sbattezzo, poiché secondo la dottrina cattolica, essendo il battesimo un sacramento, esso può essere tolto solo da Dio, mentre ne riconosce alcuni aspetti pratici. Come presentato sopra, per quanto concerne gli effetti spirituali, il battesimo comporterebbe uno status personale indelebile, il quale non verrebbe cancellato dalla mera annotazione cartacea costituente lo sbattezzo, nonostante l’essere un potenziale gesto d’apostasia.


Tutto questo discorso per puntualizzare come anche un credente possa contemplare l’atto di richiedere d’essere sbattezzato. L’atto, infatti, priverebbe del rapporto con l’istituzione, non con Dio. Inoltre, per quanto Roma rappresenti Dio in terra, bisogna sempre puntualizzare come anche il successore di Pietro sia uomo, ergo gli sia possibile fallire ed esercitare erroneamente i propri poteri. L’errore non è cosa sconosciuta all’uomo, basti pensare a quanto avvenuto con Giordano Bruno o, per quanto riguarda la comunità ebraica sefardita, con Baruch Spinoza per rimanere in tema religioso. Checchè possa dirne qualunque membro della Curia, l’unica autorità dinanzi alla quale rendere conto del proprio agire rimane Dio, l’unico capace di sentenziare se le proprie azioni siano state vera apostasia o una manifestazione di più autentico legame con la Fede. Si deve amare così tanto Dio per comprendere come, alle volte, sia necessario il male per garantire il bene: questo egli lo sa e lo sa anche il fedele capace di seguire la sua voce, prima che quella dell’uomo che dice di parlare per esso.  


Queste specifiche giungono per dimostrare come non serva essere necessariamente atei o agnostici per allontanarsi dalla Chiesa, poiché sarebbe intellettualmente abominevole pensare, quasi con fare classista, che l’unico modo per emanciparsi dalla religione sia smettere d’essere religiosi, dimenticando l’importanza della riflessione critica. Un esempio di ciò è l’arcivescovo Marx di Monaco e Frisinga, balzato agli onori della cronaca dopo essersi posto di traverso alle scelte di Roma, in particolare rispetto agli abusi sessuali perpetrati nell’arcidiocesi. Ovviamente le paventate dimissioni di Marx non sarebbero al livello dello sbattezzo (N.d.C. Almeno sul piano dottrinale, essendo politicamente una scossa di proporzioni significative), ma lasciano intendere la possibilità di una spiritualità fuori dalla morsa della Chiesa. Tutto ciò, lo sbattezzo e le dimissioni, rimanendo comunque nel reame del cristianesimo cattolico, dunque non sfociando in un cristianesimo protestante. Salvo, infatti, ripensamenti intorno alla cristologia ed il ruolo della Grazia, l’unico punto di distacco sarebbe dalla Chiesa intesa come istituzione politica, non da Dio ed il cuore della sua dottrina. Questo per evitare travisamenti della critica: il problema cruciale affrontato dallo sbattezzo è la Chiesa come istituzione, non il rapporto con Dio, il quale è fatto salvo senza stravolgimenti. 


Curia Romana

Per l’ateo o l’agnostico questo è un problema che non si pone per più che ovvie ragioni, fuorché nel momento in cui si volessero figli: lì sarebbe effettivamente complesso decidere a quale fede non educare la prole. Non credendo in alcuna forma di divinità trascendente, o evitando il giudizio su una materia che va oltre le umane capacità di comprensione e definizione, è abbastanza facile porre un punto fisso e ridurre il tutto a mere quisquilie, paragonabili al chiedersi di che sesso siano gli angeli o come abbia fatto a vendere oltre centomila di copie la carta igienica firmata da Giulia De Lellis.


Questo, però, tralascia qualcosa di fondamentale: il ruolo che ha la spiritualità nella vita dell’uomo. Conseguentemente è necessario tentare di formulare una risposta che riuscisse a liberare il fedele da un sistema all’interno del quale non riteneva ci fosse più spazio per sé. Inoltre, questo argomento, risponde, per il fedele, all’annosa domanda che segue ogni dibattito intorno allo sbattezzo, ovvero: “Se non credi, perché sbattezzarsi? Non gli stai dando che rilevanza!”. Come si vedrà nell’argomento politico, questa affermazione è figlia di due fallacie logiche. La prima che unisce due piani differenti del discorso, ovvero quello ontologico-spiritualistico a quello politico, poiché riconoscere al battesimo o meno un valore spirituale non implica darne uno sociale e viceversa: sono questioni diverse con rilevanze simili dalla medesima madre. La seconda, invece, consiste nel presupporre miopisticamente che lo sbattezzo sia qualcosa d’esclusivo in seno a quelle persone che si definiscono atee o agnostiche, quando è stato evidenziato come sia qualcosa di più trasversale e meno elitista.



Continua...


Bibliografia:
(1) Esodo 20, 2-3
(2) T. Pratchett e N. Gaiman; Buona apocalisse a tutti!; Milano: Mondadori; 2012; I edizione; pp.19-20
(3) Compendio al CCC; Libreria Editrice Vaticana; 2005; articolo 263
(4) Prologo del Vangelo secondo Giovanni, 1:12

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