Il "Pinocchio" di Carmelo Bene

Di Luca Martinelli

Ricorre oggi, in data 24 novembre 2021, il centonovantacinquesimo anniversario dalla nascita di Carlo Collodi, lo straordinario autore di una delle fiabe per bambini più fortunate in Italia e nel mondo: Pinocchio. Tutti conosciamo la trama di Pinocchio: Pinocchio è un pezzo di legno modellato da Geppetto: sorprendentemente si mette a parlare. Il burattino si comporta a tutti gli effetti come un essere umano: ma ad ogni principio di azione, Pinocchio cade in tentazione. Sarà una fatina ad insegnargli la virtù trasformando quel tronco di legno in un bambino responsabile.

A lavorare su questo testo per tutta la sua carriera, è un altro straordinario (non)autore e (non)attore, del quale oggi ricordiamo il lavoro: Carmelo Bene.

Carmelo Bene in "Pinocchio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza".

Vi sono infatti diverse versioni Beniane dell’opera; da quella del 1962 presentata al Teatro Laboratorio di Roma fino a quella finale, definitiva, del 1998, reperibile anche su Rai Play.

Al contrario di quanto fatto sull’Amleto, Bene lavora non per modificare il testo, bensì per sottrazione: punta a ridurre il testo alla lingua pura dell’autore toscano, per il quale l’attore pugliese provava una sorta di venerazione. 

Bene non modifica mai le parole di Collodi. Egli le considera, infatti, alla stregua dei grandi esperimenti/successi letterari del ‘900, come la Recherche Proustiana o l’Ulisse di Joyce: opere dotate di solida impalcatura nel significato e soprattutto nel significante, quindi intoccabili. 


Una scena del "Pinocchio" 

Nella versione finale del Pinocchio troviamo un’ulteriore ricerca nella vocalità da parte di Bene: spettacolo a una sola voce, Bene decide di modificare la voce a seconda dei personaggi, lavorando anche con strumenti tecnologici inediti nel teatro del pugliese, come un microfono col distorsore o uno straordinario lavoro sull’asincrono in postproduzione. La sensazione è quella di trovarsi di fronte a un attore che nell’amore mistico e straordinario per l’opera si oblia, si abbandona alle infinite possibilità del suono e della phoné. 

Un lavoro fatto anche sul corpo: il Pinocchio di Bene nella versione finale sembra sempre sul punto di incespicare nella rigidità, in una sensazione di prigionia e morte che accompagna tutta l’opera. La restituzione di questo effetto viene giocata anche sulle luci, luci buie che confondono sempre più lo spettatore: dalla favola moralizzante di Collodi alla tragicità forse addirittura beffarda di Bene. 

Ed è ancora più beffardo il finale dell’opera Beniana: un gesto soltanto, il levarsi il finto naso rivelando tutta la finzione del teatro, forse addirittura la morte di un teatro basato sulla persona (intesa come maschera) e la nascita di un ipocrita teatro basato su quella che, alla fine, è un’illusione di umanità.


Carmelo Bene in "Pinocchio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza".


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