Di Luca Martinelli
Strano parlare, su un blog dedicato alla cultura, di uno sport come il ciclismo. La stagione è finita ed il pubblico appassionato di ciclismo è sempre più ristretto ad una nicchia particolare di appassionati. Doping, corse sempre più prevedibili e il mancato “ringiovanimento” di questo sport hanno portato sempre più le nuove generazioni a distaccarsene.
Eppure, oggi, 14 novembre, è una data speciale per il ciclismo: nascono infatti oggi tre corridori che spiegano appieno cosa è l’epica del ciclismo. Bernard Hinault, Vittorio Adorni e Vincenzo Nibali: 3 atleti che nel gesto hanno portato la fantasia, l’arte e l’epos di questo sport in maniera estremamente diversa.
Bernard Hinault |
Iniziamo da Bernard Hinault, il tasso: corridore di straordinaria intelligenza tattica, capace di capire all’istante cosa fare nel momento giusto e di non essere cannibale ma campione magnanimo, capace di riconoscere ai propri gregari il giusto merito.
Generosità è una parola che contraddistingue la carriera di Hinault, un cavaliere della bicicletta che lascia al compagno di squadra Jean René Bernadeu la vittoria di tappa a Sondrio nell’epico Giro d’Italia del 1980. Occasione in cui Hinault, allo stremo delle forze, attacca la maglia rosa Panizza sulle arcigne rampe dello Stelvio e con Bernadeu si invola fino a Sondrio. Ma il cavaliere lascia al suo scudiero l’onore della vittoria. L’anno successivo Hinault si presenta alla Parigi-Roubaix, forse la classica più dura del panorama ciclistico (come viene rappresentato nello spettacolare documentario del 1976 A Sunday in Hell): ed ecco ancora la generosità di Hinault. Generosità verso sé stesso, nell’atto di voler rimontare sui rivali nonostante una rovinosa caduta a pochi chilometri dal traguardo. Hinault dichiarerà di avere corso “una porcheria”. Ma a Roubaix il tasso ci tornerà -seppure non da vincente- nel 1982.
Vittorio Adorni |
Passiamo a Vittorio Adorni: è il 1968. Adorni rappresenta la volontà di osare.
È l’anno della rivoluzione culturale, dei movimenti studenteschi e delle lotte operaie. Vittorio Adorni decide di operare la sua rivoluzione al Mondiale di Imola: anziché gestire tatticamente la corsa, il ciclista romagnolo decide di attaccare il gruppo in un’impresa folle al primo giro del tracciato dei “Tre Monti”: nessuno osa gettarsi al suo inseguimento, mancano chilometri e chilometri. Ma l’italiano guadagna minuti su minuti: vincerà la gara con un distacco mostruoso. Un’impresa forse dimenticata nella storia di questo sport, ma che ne mostra l’essenza: la solitudine dell’uomo al comando, una vittoria il cui destino è l’essere soli e solitari, aspettando che si mostri il traguardo in una gara che forse non terminerà nemmeno oltre la linea d’arrivo, ma alla prossima gara, e alla prossima ancora. Adorni vincerà poco negli anni successivi: solo una tappa al Giro d’Italia 1969 (guarda caso, in solitaria) è considerata dagli storici del ciclismo una grande vittoria. Ma il mondiale di Adorni è sempre nella memoria di chi ha in mente cosa sia il ciclismo.
Passiamo ad un’atleta contemporaneo, Vincenzo Nibali: l’emblema del lottatore. Un uomo che è riuscito a trionfare in tutti i tre Grandi Giri (Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta) ma anche a trionfare in due classiche monumento come Liegi-Bastogne-Liegi e Sanremo.
Nibali è un’atleta anacronistico: al contrario di molti compagni di gruppo avvezzi ormai alla scienza del computerino e alla tecnica, il corridore siciliano si muove soprattutto per istinto. Nasce così la sua vittoria forse più bella, appunto a Sanremo: in una classica nota per essere dedicata agli uomini veloci delle volate, Nibali sfrutta un attimo di indecisione del gruppo sull’ultimo zampellotto, il Poggio di Sanremo. Alla cima della salita il distacco è ancora basso, ma la discesa di Nibali è quella di un falco: si avventa sui tornanti come un falco, non teme la caduta né di potere perdere terreno prezioso disegnando traiettorie inconsuete. È un altro eroe solitario: la scelta pagherà. Vincenzo arriverà al traguardo di Sanremo con pochissimi metri di vantaggio sui restanti corridori, ma il suo gesto rimarrà nella leggenda.
Vincenzo Nibali |
Non saprei come finire quest’articolo. Le emozioni che mi ha dato e mi dà il ciclismo sono ancora troppe. Così, ho deciso di citare la prima strofa della magnifica poesia dedicata alla bicicletta di Giorgio Caproni, Le biciclette. Forse spiega meglio di tante parole l’epica del ciclismo:
La terra come dolcemente geme
ancora, se fra l’erba un delicato
suono di biciclette umide preme
quasi un’arpa il mattino! Uno svariato,
tenue ronzio di raggi e gomme, è il lieve,
lieve trasporto di piume che il cuore
un tempo disse giovinezza – è il sale
che corresse la mente. E anch’io ebbi ardore
allora, allora anch’io col mio pedale
melodico, sui bianchi asfalti al bordo
d’un’erba millenaria, quale mare
sentii sulla mia pelle – quale gorgo
delicato di brividi sul viso
scolorato cercandoti!… Ma fu
storia di giorni – nessuno ora più
mi soccorre a quel tempo ormai diviso.
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