Quando il tempo non c'è più: la parabola tragicomica del mito di Don Giovanni

Di Federica Miranda

Nell’occasione della rappresentazione bolognese del Don Giovanni di W. A. Mozart al Teatro Duse, eseguita dall'Orchestra Senzaspine dal 5 al 7 novembre, andiamo alla riscoperta di questa mitica figura, partendo dalle sue origini spagnole e viaggiando con lui nel tempo e nei luoghi, per scoprire la storia di un mito e della sua evoluzione. Vedremo quindi come da un semplice personaggio possa nascere un modo d’essere e di agire: da dove viene e che connotazioni assume l’essere un dongiovanni.

La figura leggendaria di Don Giovanni, pur non avendo un’effettiva origine storica, appare per la prima volta concretizzata dallo spagnolo Tirso de Molina nel 1616 con El Burlador de Sevilla y el convidado de piedra

Il nostro Don Giovanni, o in questo caso Don Juan, viene definito dall’autore burlador, colui che deride, seducendo e ingannando le donne per puro piacere personale. Attraverso questa figura dunque egli desidera compiere una critica sociale a questa tendenza maschile che stava prendendo piede in Spagna, spingendo le donne a non lasciarsi abbindolare. 

Alessandro Preziosi in "Don Giovanni" di Molière, 2014

Il personaggio di Don Juan si rispecchia a pieno nello stereotipo letterario spagnolo del galàn, affermatosi nel periodo del Siglo de Oro, un uomo dal carattere ingegnoso, impavido e coraggioso, privo addirittura del timor di Dio, aspetti che sotto sotto (ma nemmeno troppo in fondo) il pubblico del tempo ammirava fortemente. Peccato però che il nostro eroe applichi queste abilità al campo della seduzione, prendendo in giro donne e ragazze che si lasciavano convincere da questa sua intraprendenza.

Proprio qua sta l’allerta di Tirso de Molina, che era pur sempre un uomo di chiesa: in un periodo in cui erano proibiti i matrimoni fra classi sociali differenti, se un bell’uomo di rango sociale elevato corteggia fanciulle di umili origini, probabilmente non lo fa solo per amor di filantropia. Nonostante non vi sia l’assoluta certezza riguardo l’autore, si può però affermare che non serviva fede per cercare di mettere in guardia romantiche donne infatuate di giovani beffardi. 

Dio però vede e provvede, e nel finale il protagonista viene punito con la morte. Questo epilogo non dà spazio ad altro tempo per Don Juan, che durante tutta l’opera sostiene di averne a sufficienza per godersi il presente e poi redimersi in un ipotetico e lontano futuro. Questo Burlador è un personaggio frenetico, frizzante, finché il suo guizzo non viene placato dal più terribile dei mali: lo sprofondare negli inferi. Credendo di avere tutto il tempo del mondo, incarnando la poetica del cogliere l’attimo, agli occhi dell’autore egli non fa altro che giustiziarsi da solo, fino al punto in cui tempo non ne ha più. 

Giunti a questo punto si può facilmente notare un secondo avvertimento ai lettori, non rivolto più solamente alle donne ma stavolta anche agli uomini: un vero e proprio invito a riflettere circa le proprie azioni e la giustizia divina, che seppure sembri non badare alle azioni sconsiderate di alcuni, comunque presto o tardi gli darà il benservito, proprio come è avvenuto a Don Juan.

Se il Don Juan spagnolo mantiene una brillantezza tutta spagnoleggiante, rimanendo un personaggio che fa dello slancio vitale della seduzione il suo principale motore (fin quasi a corteggiare le dame solo per l’ebbrezza di attrarle a sé), una volta ripreso in Francia da Molière nel Don Juan ou le Festin de pierre, 1665, il carattere di questa maschera si incupisce, ponendo fine alle note comiche e spostando l’attenzione sul disonore che un tale atteggiamento comporta. Nonostante l’intento di Tirso de Molina fosse il medesimo, sicuramente l’autore francese riesce meglio nell’evidenziare  tratti negativi del personaggio, privandolo di ogni connotazione macchiettistica.


Filippo Timi in "Don Giovanni", 2014

Da eroe, come erroneamente e non intenzionalmente appariva agli occhi del pubblico spagnolo, il Don Juan francese si connota come un ateo che sbeffeggia la Chiesa, a tal punto da ricevere insistenze da parte della stessa circa la censura dell’opera, ritenuta una presa in giro per le sue credenze, fino a farne interrompere, nello stesso anno della prima esecuzione, le rappresentazioni.

Nell’opera francese Don Juan viene costantemente perseguitato dai fratelli di una delle sue conquiste, a differenza invece della spagnola nella quale veniva spesso coperto o aiutato dalle figure maschili. Se infatti per Tirso de Molina i numerosi matrimoni del protagonista sono stratagemmi attuati dal Re per farlo cadere in piedi dopo l’ennesima bravata, nell’opera molieriana rasentano il limite del patologico, come una grandissima infatuazione culminante nel vincolo matrimoniale, per poi darsi alla fuga la mattina dopo, una volta fatta sua la donna in questione.

Ciò però non gli impedisce di proseguire con il suo sporco lavoro per non privare alcuna donna, così dice, delle sue attenzioni, quasi ciò rappresentasse un torto nei loro confronti. Il Don Juan di Molière è ancora più lontano dal timore di Dio rispetto al suo precedente di Tirso De Molina, in quanto il primo in Dio proprio non crede, e il continuo sostenere di essersi pentito non è altro che un inganno per farsi perdonare, e non un semplice chieder tempo alla vita e rimandare i pensieri gravosi. Perciò a maggior ragione, ritiene l’autore, gli spetta solo di essere inghiottito dalle fiamme dell’Inferno. 

Se questi due drammi sono estremamente fitti di critiche al costume del loro tempo e di appellativi politici e morali, Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, 1787, del librettista Lorenzo Da Ponte è definito dallo stesso autore un dramma giocoso proprio per i personaggi più macchiettistici e l’alleggerimento generale delle situazioni e all’importantissimo ruolo giocato dalle musiche di Mozart, nonostante poi i tre personaggi condividano le stesse sorti.

A motivo di questo sostanziale lenimento c’è sicuramente il fatto che il testo dapontiano sia stato scritto oltre un secolo dopo l’opera di Molière. I tempi cambiano, e i personaggi con lui. Sicuramente è presente e quasi esasperato il carattere sfarzoso e brillante del protagonista dell’opera spagnola, ma dello stesso manca decisamente la presenza di avvertimenti al pubblico da parte dell’autore. È evidente infatti che Da Ponte non sente alcun senso di responsabilità se non quello di offrire al pubblico una storia divertente. La scaltrezza comica del protagonista però si fa a tratti puro e macabro desiderio di seduzione, perciò l’autore comunque non si risparmia di far sprofondare Don Giovanni nelle fiamme dell’Inferno. Non si tratta però di un monito, ma soltanto della fine di un personaggio. Il finale dell’opera però non è poi così tragico, è più che altro un giudizio morale. Si conclude infatti con il sestetto Questo è il fin di chi fa mal, nel quale Leporello, servo di Don Giovanni che per tutta l’opera vorrebbe distaccarsi ma non ne ha la possibilità, spiega l’accaduto e tutti i personaggi si sentono vendicati. 

/Questo è il fin di chi fa mal;
E de' perfidi la morte
Alla vita è sempre ugual./

A differenza dell’esplicito finale delle due precedenti opere, si conclude così il capolavoro dapontiano e mozartiano, con una sorta di finale aperto, a metà tra un giudizio e un destino che è andato in un modo non per punizione divina ma perché questo gli è toccato. Con la sua effervescenza quest’ultima è un’opera che parla al cuore del singolo sino all’ultimo battito, coinvolgendolo in un turbinio di suoni e colori sino a lasciarlo lì, teso come una corda di violino, su un finale in bilico tra un riso e un pianto per come è andato e per come andrà, a lui, ai personaggi, a Don Giovanni, che, unica (o quasi) costante fra i tre, non è più.

"Don Giovanni" di Mozart al Festival di Aix-en-Provence 2017, foto di Pascal Victor

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