Di Nicole Mazzucato
Edgar Wright l’ha fatto di nuovo, questa volta riportando sullo schermo la Swinging London con sfumature horror. Ultima notte a Soho (Last Night in Soho) è stato presentato alla 78esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Al festival non ha destato grande scalpore, aggiudicandosi, però, pareri positivi dalla critica.
La vicenda gira attorno ad Eloise “Ellie” Turner (Thomasin McKenzie), una giovane nostalgica degli anni '60, orfana di madre e con un grande sogno: diventare una stilista. Ellie viene ammessa all’accademia di moda di Londra. La nonna che la trasmesso la passione per la moda e per la musica del passato la spinge verso il suo obbiettivo, ma la mette in guardia sui pericoli della grande capitale rispetto alla tranquilla Cornovaglia.
Durante una delle prime notti che passa a Londra, però, inizia a sognare delle figure strane: una certa Sandie (pseudonimo di Alexandra) (Anya Taylor-Joy), promettente cantante, che cerca di sfondare nel mondo dello spettacolo. Il suo intento è fare “gavetta” e si affida a Jack (Matt Smith), un noto promoter di locali notturni. Nel sogno, però, Ellie sembra di vivere “nei panni” di Sandie. Chi è Sandie? Perchè Ellie cerca di afferrarla in sogno? Qual è il mistero che si nasconde nei luoghi in cui Ellie ricerca disperatamente l’ombra della ragazza?
Photo Courtesy of Universal Pictures |
COMMENTO
In questa prima sezione non sono presenti spoiler.
Il lungometraggio di Wright, oltre a presentare un’adeguata e frizzante colonna sonora che dipinge l’atmosfera della British Invasion degli anni '60 (un paio di brani sono cantati dalla stessa Anya Taylor-Joy), vede numerose influenze dal punto di vista cinematografico. Lo stesso regista ha dichiarato la sua ispirazione a due pellicole: A Venezia...un dicembre rosso shocking (Don’t Look Now, 1973) di Nicolas Roeg e Repulsione (Repulsion, 1965) di Roman Polanski.
Altri modelli di Wright sono molto limpidi, sopratutto nella regia di alcune scene e particolari: si possono citare La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) di Alfred Hitchcock nella scelta dei colori a neon, l’arredo della stanza di Ellie e il particolare dell’acconciatura della signora Collins (l'affittuaria di Eloise), il cui aspetto e atteggiamento non sono dissimili alla più nota madre di Norman Bates in Psycho (1960) sempre di Hitchcock. Le inquadrature iniziali, in cui Ellie arriva a Londra e le scene notturne ricordano Taxi Driver (1976) diretto da Martin Scorsese. Molti accorgimenti anche in conclusione di pellicola nel girare una particolare scena, sono riconducibili alla regia di Truffaut in Fahrenheit 451 (1966).
Oltre ai riferimenti cinematografici, si sprecano le citazioni a film attraverso locandine (indicativa quella nella stanza di Ellie di Colazione da Tiffany), l’indugio della cinepresa sui vinili e sull’abbigliamento anni '60 nei negozi di Carnaby Street.
Photo Courtesy of Universal Pictures |
In sintesi, Wright ha voluto creare questa grande atmosfera nostalgica, ma fresca, della metropoli di Londra, intrisa però di mistero dei quartieri di Soho e delle sue vie.
Gli aspetti horror della pellicola si rifanno al caro Dario Argento (una scena in particolare ricorda Profondo rosso) insieme alle più pirotecniche e sanguinose scene di The Neon Demon (2016) di Nicolas Winding Refn. Non a caso, Wright cita Polanski: l’ambizione di Sandie si scontra con la sua repulsione nei confronti degli uomini, che la accomuna a Jesse del film di Refn e la protagonista di Il cigno nero (Black Swan, 2010) di Darren Aronofsky). Tutti questi elementi sembrano collidere tra loro per la loro eterogeneità, ma la maestria di Wright li unisce e li interseca creando un risultato di gran valore.
Gli unici difetti derivano da un montaggio un po’ debole in alcune sequenze della pellicola, e una sceneggiatura frettolosa nei dialoghi e con alcuni vuoti temporali nella narrazione.
Menzione speciale per le interpretazioni di Anya Taylor-Joy davvero superba e divina nell’interpretare questo ruolo attingendo a diverse icone del passato. Includo nella menzione anche Matt Smith: il suo personaggio doveva risultare fastidioso, ipocrita, viscido e sessista, lui è riuscito a trasmettere tutte queste sensazioni con pochi gesti e un grande linguaggio non verbale.
La fotografia e i costumi sono aderenti alla trama e all’ambientazione: il cambio di fotografia corrispondente alla dimensione onirica e reale risulta non fastidioso ed eseguito elegantemente.
Nel complesso, l’opera di Wright si colloca in un contesto pop, perfettamente riuscito, tra l’horror e il ritratto di una città duplice: Londra.
Attenzione, da adesso sono presenti spoiler.
In specifico, nell’ultima parte della pellicola Wright costruisce una scena complessa che interseca per la prima volta i due piani della trama. Il passato e il presente vengono uniti. La signora Collins rivela ad Ellie di essere Sandie. Confessa di aver ucciso tutti gli uomini che volevano approfittare di lei e di averli nascosti nel pavimento della camera che ora era affittata da Ellie.
Significativi sono nuovamente gli specchi: grazie ad un gioco di luci a neon, onnipresenti nella pellicola, il regista costruisce la duplicità delle narrazioni. Sullo specchio si vede Sandie che compie gli omicidi, nella stanza invece Sandie (del presente) che prova ad uccidere Ellie. L’intera scena si chiude su un grande incendio: la cinepresa indugia sugli oggetti del passato di Sandie che si liquefanno lentamente.
Un’interpretazione al finale non è univoca. La più chiara è sicuramente la crescita di Ellie e il suo distacco dal passato visto anche nelle sue nuove creazioni: un mix tra passato e presente. I fantasmi del suo passato continuano a perseguitarla (la madre che appare allo specchio, Sandie che saluta Ellie poco dopo), ma riesce a convivere con entrambi i suoi “incubi”. Incubi che girano attorno al tema della perdita e all’impossibilità di afferrare ciò che le è più caro.
Teaser trailer di Ultima notte a Soho
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