Cena con delitto - Knives Out: tra giallo e razzismo

Di Davide Gravina

«Sembra la casa del Cluedo». Il tenente Elliot (Lakeith Stanfield) descrive così la maestosa dimora dello scrittore Harlan Thrombey (Christopher Plummer), nella quale si svolge, quasi interamente, l’ultimo film di Rian Johnson. Il regista statunitense, che festeggia oggi il suo 48esimo compleanno, conosciuto al grande pubblico per aver diretto l’ingiustamente criticato Star Wars: Gli ultimi Jedi (2017), realizza la sua ultima fatica nel 2019, donando a tutti gli amanti del giallo, e non solo, un intrigante mistery dove chiunque può essere il colpevole, come nel noto gioco in scatola. 

Da sinistra a destra: Katherine Langford, Toni Colette, Jamie Lee Curtis, Don Johnson, Michael Shannon, Riki Lindhome e Jaeden Martell.
Foto di Claire Folger

Cena con delitto - Knives Out riesce nella sorprendente impresa di fondere, in un contesto dominato da errori e ironia, un’insospettabile partita a scacchi (o sarebbe meglio dire, per maggior aderenza al film, partita a Go) che porterà alla risoluzione del caso, insieme a una pungente critica, a tratti sprezzante, a tratti ironica, verso l’ignobile familismo e il velato razzismo. 

L’ultimo film di Johnson ruota attorno alla morte di Harlan Thrombey. L’investigatore privato Benoît Blanc (Daniel Craig), nonostante la cessazione dell’indagine date le evidenti prove di suicidio, crede che la morte dello scrittore non sia avvenuta per propria mano, e ha numerosi sospettati che confermano la sua teoria. Ogni figlio, nipote, nuora, genero e domestico del ricchissimo e sagace autore di romanzi gialli ha un possibile movente: il lavoro dell’investigatore non è semplice, ma a regalare pulizia ed eleganza ci pensa il regista, nonché sceneggiatore. 

Il film risponde compiutamente alle aspettative che ogni lettore/spettatore ha quando si trova davanti un libro/film giallo: imprevedibile soluzione finale, incessante susseguirsi di colpi di scena, originali e profondi personaggi di contorno, carismatici e affascinanti protagonisti. Ogni topos del giallo deduttivo è rispettato. Questi, però, sono sovvertiti dal sottile filo narrativo, composto da costanti incomprensioni, al centro del quale c’è un buco (come lo stesso detective Blanc afferma) e dalle ironiche, e talvolta macabre, note di genialità. Alcune di queste: Marta Cabrera (Ana de Armas), l’infermiera personale di Harlan, vomita ogni volta che dice una bugia; Jacob Thrombey (Jaeden Martell), nipote del defunto scrittore, è un nazista schiavo della tecnologia, grazie alla quale può masturbarsi guardando foto di cervi morti (riportando direttamente le parole di suo zio Walter Thrombey, interpretato da Michael Shannon); l’agente Wagner (Noah Segan) impedisce che l’investigatore Blanc venga interrotto durante la spiegazione finale, facendo le veci degli spettatori, i quali hanno imminente necessità di conoscere la verità.  

LaKeith Stanfield, Noah Segan e Daniel Craig.
Foto di Claire Folger

I topoi rispettati, i guizzi di genialità, l’eleganza nella presentazione del caso e della sua soluzione sarebbero elementi sufficienti per realizzare un ottimo film giallo. Rian Johnson, però, non si limita a questo. 
Tutti i sospettati, come detto, hanno un giustificato motivo per l’eventuale uccisione di Harlan. Questo classico espediente narrativo, utilizzato per non escludere nessuno dalla lista dei possibili assassini, diventa strumento per una feroce critica verso quel familismo che spesso anima le ricche famiglie che devono la loro ricchezza alla genialità di una singola persona. Tutti i membri della famiglia Thrombey vengono descritti attraverso precisi affreschi impietosi che fanno emergere la loro malizia e scaltrezza, grazie alle quali riescono a estirpare, con piccoli o grandi sotterfugi, soldi ad Harlan. Le singole descrizioni dei membri più importanti della famiglia coincidono con il primo interrogatorio di Blanc, a sottolineare l’abilità di Johnson nell’unione dell’anima gialla del film con l’anima critica. 

Michael Shannon e Chris Evans. Foto di Claire Folger

Lo splendido film di Rian Johnson non ha ancora esaurito i suoi motivi d’interesse. Il regista statunitense, infatti, illustra, anche, il globale problema dell’immigrazione, grazie al quale elabora una riflessione ancor più ampia, arrivando a trattare l’irrisolvibile, fino ad ora, pensiero del razzismo. Il regista è incredibilmente astuto nell’esternare queste considerazioni in maniera fine e, allo stesso tempo, audace. Una singola scena chiarirà il concetto: Marta, l’infermiera, è in piedi e viene chiamata da Richard, seduto insieme al resto della famiglia; Richard vuole prendere Marta come esempio di immigrazione giusta, in quanto sa che sua mamma è emigrata negli Stati Uniti in maniera legale; una volta terminato l’elogio nei confronti di Marta e di sua mamma, Richard le porge il suo piatto vuoto, dal quale ha terminato di mangiare. Il gesto, istintivo e inconscio, non retoricamente sottolineato da parole o da movimenti di macchina, è segno evidente di un pensiero, innato, di superiorità degli americani ricchi nei confronti degli stranieri. Quale razzismo più grande di questo?

Ana de Armas, foto di Claire Folger

In conclusione: Cena con delitto - Knives Out è uno splendido film giallo deduttivo, che tiene incollati alla sedia o divano per la sua intera durata grazie a una solida trama e una magnifica costruzione di dialoghi e colpi di scena. Rian Johnson, però, non perde occasione per scagliare un feroce attacco, politico e non solo, perfettamente inglobato nel film, contro la ricchezza americana malsana e quell’istintiva superiorità verso i più deboli che può sfociare in quell’inaccettabile tendenza che è il razzismo. 

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