Cent'anni di Strehler

 Di Laura Astarita


Assurdo parlare di Centenario quando si tratta di un regista del quale  si parla ancora come se fosse vivo. Eppure eccoci qui: Giorgio Strehler, nato il 14 agosto 1921, quest'anno avrebbe compiuto cent'anni. Morirà invece la notte di Natale del 1997.

Fondatore del Piccolo Teatro di Milano, insieme a Paolo Grassi e Nina Vinchi, e istitutore della prima Scuola pubblica di arte drammatica, è stato il maggiore regista italiano del Novecento. Difficilmente il genio e la versatilità di Strehler sono stati raggiunti da altri registi: diversi i generi affrontati, diversi i medium usati. La sperimentazione teatrale di Strehler si è basata interamente sul ruolo e le potenzialità dell'attore, al di sopra di qualsiasi altra tecnica scenografica (che, pure, non trascurò mai). 

In un secolo che ha tolto gradualmente spazio al ruolo dell'attore sulla scena, Strehler è stato in grado di ripristinare l'ordine senza dimostrarsi "ottocentesco". Misura, ritmo e iconoclastia, questi erano i suoi dettami, con Bertold Brecht, Louis Jouvet e Antonin Artaud tra i suoi principali modelli di riferimento.

L'anno del Centenario volge alla fine, e per omaggiare il Maestro vi propongo tre spettacoli da lui realizzati. Mi auguro che così possa giungervi una vaga eco del suo grande genio creativo. 

LA TEMPESTA

La Tempesta di Shakespeare può rappresentare una sfida per qualsiasi regista: la scena iniziale, infatti, dà il nome all'opera, e rappresenta la tempesta stessa. Strehler riesce a restituirne magistralmente la sensazione riproducendo dal vivo i suoi suoni e i rumori della burrasca. Nel farlo, userà macchinari e strumenti recuperati dal teatro barocco del Settecento. Usando un telo bianco che verrà agitato da dietro le quinte, in quella che pare essere una versione moderna dei "rocchetti" barocchi, creerà così l'idea di un mare in tempesta. Un'ombra di nave sullo sfondo, una luce intermittente, e un altro velo, che cade dall'alto darà l'idea del vento e della pioggia: con pochi elementi, l'effetto è quasi cinematografico!

Ph: Luigi Ciminaghi/ Archivio Piccolo di Milano

A seguito, nelle altre scene dominerà il minimalismo: bianco lo sfondo, bianca la terra, bianchi i costumi dei personaggi. Perfino l'orrendo Calibano non sarà vestito di nero, o truccato come da tradizione, ma semplicemente agirà fuori dalla luce, in proscenio, assumendo così le sembianze di un'ombra. Calibano infatti appartiene all'Isola, ambiente della rinascita, del disintossicamento dalla società, purgatorio in terra per le anime che vogliono tornare al loro stadio primigenio. In quanto creatura di un'isola "bianca", perciò, merita di avere anche lui il costume bianco, anche se è un servo deforme. Le creature dell'isola sono tutte pure.

In banco è anche Ferdinando, ancora troppo giovane per potersi definire corrotto dai costumi della nobiltà. Neri sono i costumi dei "vecchi", invece: del Re di Napoli Alonso e del Duca di Milano, fratello usurpatore di Prospero, Antonio. 

L'uso simbolico del bianco e del nero è magistrale, come quello della luce e dei suoni, prodotti dal vivo, per riempire le pause dettate dalla recitazione. I rumori seguono la recitazione degli attori, e non viceversa, come di solito accade in teatro: l'effetto, ancora una volta, è quello di una colonna sonora. 

Questa sperimentazione che concilia la storia e la teoria della scenografia alla "regia" e il montaggio cinematografico porterà la produzione della Tempesta a livelli artistici incredibili. La produzione entrerà essa stessa nella storia della scenografia, rinominando il telo di seta ideato da Luciano Damiani per la rappresentazione "Seta HSE-Tempesta". Ancora oggi, gli scenografi usano questa dicitura per indicare quel tipo di elementi scenici. 

ARLECCHINO: SERVITORE DI DUE PADRONI

Senza dubbio, quella dell'Arlecchino è la regia più famosa di Giorgio Strehler. Il testo, scritto da Carlo Goldoni, viene considerato l'ultimo estremo tentativo dell'autore veneziano di salvare la Commedia dell'arte. Il genere, infatti, era al tempo di Goldoni già in decadenza, e quello che si poteva fare non era altro che salvare i canovaccio di una generazione moribonda di comici geniali in alcuni testi teatrali. Tuttavia, Goldoni ebbe un'idea: lasciare vuote le battute di Truffaldino (il servitore che Strehler trasformerà in Arlecchino) in bianco per lasciare al suo protagonista, il comico Giovanni Antonio Sacco, la possibilità di improvvisare. 

Il ruolo, in seguito, dovette essere ceduto ad altri e Goldoni fu costretto a scrivere le battute del servo nero su bianco. Questa premessa storica sul testo serve a farci capire lo spirito con cui Giorgio Strehler affrontò il testo: come se fosse uno spettacolo non di Commedia dell'arte, ma sulla Commedia dell'arte!

Gli attori del Piccolo non improvvisano, si concedono qualche lazzo (il famoso skatch della lettera di Ferruccio Soleri) ma il testo è sempre a memoria. La prima versione dello spettacolo, nel 1947, vedeva nel ruolo di Arlecchino Marcello Moretti, e sembra omaggiare il mito romantico della commedia delle maschere. 

Ferruccio Soleri nel ruolo di Arlecchino

Nel 1963, tuttavia, Giorgio Strehler creerà una versione metateatrale inserendo sul palco di Villa Lotti un secondo palco, e creando dunque un "controscena" dei comici dell'arte che, quando non sono personaggi, aspettano il proprio turno per andare in scena. Al contrario della prima versione, Strehler demistifica la concezione del teatro dell'arte come romantico, togliendo la maschera al suo Arlecchino quando non è sul palco e restituendo invece quella che poteva essere davvero l'esperienza di uno spettatore rinascimentale durante uno spettacolo di Commedia dell'Arte: non uno spettacolo di maschere, ma un omaggio al primo professionismo teatrale.

Ad oggi, Il servitore di due padroni è l'opera italiana più rappresentata all'estero.

 L'OPERA DA TRE SOLDI

Proprio come l'Arlecchino, l'Opera da tre soldi di Strehler ha un'importanza storica oltre che artistica che difficilmente si riscontra in altre opere. Strehler infatti è stato il primo a portare l'Opera da tre soldi di Brecht in Italia, nel 1956. Erano passati solo 11 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Il mondo ancora sanguinava, iniziavano i primi conflitti tra Est e Ovest (solo sei anni dopo sarebbe stato costruito il famoso muro di Berlino). Un'opera difficile, che Strehler seppe affrontare con coraggio. Alla prima al Piccolo di Milano, fu presente lo stesso Bertold Brecht, in segno di solidarietà per il grande coraggio di Strehler.

Dalla bocca dello stesso regista, ci viene raccontata la difficoltà che si presentò in prima istanza nel tentare di recuperare le partiture di Kurt Weil, andate perdute tra le fiamme dei roghi nazisti. Non tutti sanno che se ora possiamo cantare Mackie Messer o Tango Ballade, e l'Opera da tre soldi può essere messa in scena, è grazie al lavoro di ricerca filologica incredibile messo in atto da Strehler e i suoi collaboratori per cercare di ricostruire a memoria le partiture di Weil. 

Nel 1973 Strehler crea una seconda versione dell'Opera, alla quale Brecht non potrà assistere per via della Guerra Fredda. Strehler ne modifica l'impianto, tentando un'operazione ancor più coraggiosa della messa in scena di un'opera scomoda: egli, infatti, sceglie di attualizzarla. Le canzoni di Weil, che Strehler definisce «l'ultimo grido di tenerezza e di umanità di un mondo che sta morendo», diventano così canzonacce stonate.

Milva ne "L'opera da tre soldi". Foto: Luigi Ciminaghi


Nel corso di questa produzione, infatti, si formano e si scoprono i maggiori interpreti brechtiani che l'Italia abbia mai avuto: prima di tutte, la cantante Milva, che sostituì Milly, come anche Giulia Lazzarini e Domenico Modugno. La tecnica canora, infatti, non è più sufficiente per esprimere questo mondo: al tempo, così come oggi, infatti, si cadeva nell'errore di trattare l'Opera da tre soldi come se fosse un musical. Strehler inserì il parlato, l'urlo, la stonatura nella partitura di Kurt Weil, trasformando «l'ultimo grido di tenerezza» in un primo, maldestro urlo stonato di protesta. L'operazione fu un grande successo, e ampiamente documentata dagli archivi RAI.

Queste regie, così diverse tra di loro, testimoniano la versatilità e la poliedricità di un uomo che ha fatto la storia del teatro italiano e dell'innovazione scenica. Strehler, in definitiva, è uno degli indiscussi protagonisti del nostro Novecento teatrale, se non altri il più amato, il più famoso e il più ambizioso. 
Il suo genio resta insuperato, e quest'anno lo abbiamo ampiamente ricordato grazie alle diverse iniziative promosse dal Piccolo di Milano per il centenario della sua nascita.

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