David Bowie: un'icona ambigua del panorama queer

Di Elena di Ruvo e Fhe Pacifico

David Bowie non è solo uno dei più grandi musicisti della storia del mondo, ma è anche una delle figure principali per la comunità LGBTQ+, nonostante la sua storia sia contrastante. Gli stessi svariati coming out cambiano drasticamente le sue affermazioni precedenti, rendendo sempre più presente l’idea che ciò avvenga principalmente per pubblicità. Qualsiasi sia la ragione che porta Bowie a fare coming out, la sua musica, la sua moda, Ziggy Stardust e la sua stessa persona rimarranno per sempre delle figure fondamentali per la comunità LGBTQ+, nonostante «non avesse inclinazione a tenere striscioni o a rappresentare un gruppo di persone» (1).

David Bowie inizia ad essere identificato come icona queer prima ancora che facesse coming out, tant’è che nel 1970 il magazine queer Jeremy dichiara che lui è “dalla nostra parte”. Lo stesso anno l’artista aveva posato per un servizio fotografico al Haddon Hall Iawn per il suo album The Man Who Sold the World. Il cantante indossa un abito crema e blu, mentre è steso sul suo divano, e fa così il primo passo verso quell’ambiguità sessuale che troverà il suo apice solo qualche anno più tardi.

Nel successivo album, Hunky Dory, Bowie è quasi sempre più Bowie. Iniziano ad essere raccolti e modellati testi e temi musicali che lo caratterizzano in seguito, specialmente i temi queer. La prima moglie Angela, dichiara: «Il popolo di The Sombreto», un gay club che Bowie frequentava, «ha iniziato a rifornire molto rapidamente il carburante per il materiale su Hunky Dory… Venendo direttamente dalle loro vite e atteggiamenti» (2). Nel testo di Queen Bitch, una delle canzoni più famose dell’album, Bowie presenta una drag queen, «così elegante nel suo raso e tat, con il vestito e il cappello bipperty-bopperty» (She's so swishy in her satin and tat / In her frock coat and bipperty-bopperty hat). 

È il 22 gennaio 1972 quando Bowie fa coming out in un’intervista al «Melody Maker», una delle riviste di musica più famose dell’epoca. Nell’articolo Oh! You Pretty Thing il cantante viene definito «l’oltraggio più elegante del rock: un amante confessato di abiti femminili». Questo articolo è duplicemente interessante. Prima di tutto è uno dei primi casi in cui ci si sofferma sullo stile e l’aspetto esteriore di un musicista rispetto alla sua musica. «L’immagine attuale di David deve apparire come una regina frusciante, un ragazzo meravigliosamente effemminato» (3), dichiara il reporter Mick Watts. 
In secondo luogo Bowie apre una porta rischiosa sia per un musicista del suo calibro, ma anche per il mondo generale. Nonostante fossero passati alcuni anni dai moti di Stonewall e l’inizio della liberazione della comunità LGBTQ+, farne parte era ancora mal visto. Nonostante ciò, Bowie fa coming out e ammette «Sono gay e lo sono sempre stato, anche quando ero David Jones» (4). 

Pagine dalla rivista Melody Maker, 1972

Sin da subito però la dichiarazione crea perplessità. Lo stesso Watts anni dopo dichiarò: «Ero un po' scettico. Era quasi certamente bisessuale, per quanto si può decostruire cosa sia la bisessualità. Ma penso che sia inevitabile che la maggior parte degli incontri sessuali di Bowie siano stati molto più eterosessuali che gay. L'ho intervistato abbastanza spesso dopo, ed è sempre stato molto entusiasta di sottolineare che non avrebbe sbandierato per Gay Lib (n.d.R: un'associazione per il riconoscimento e la tutela dei diritti della comunità LGBTQ+). E Gay Lib si è arrabbiato molto con lui perché non si sarebbe unito a loro e non avrebbe fatto proselitismo per l'omosessualità. Ora, come lo interpreti? Potrebbe essere stata una forma di autopromozione commerciale, o potrebbe essere la sua genuina convinzione...» (5)

L’autopromozione commerciale di cui parla Watts non è solo un suo pensiero. Oltre alle reazioni negative e all’accettazione di Bowie come icona queer, questa è la terza reazione che il pubblico ha al suo coming out. Si inizia a instaurare l’idea che sia solo un mezzo per promuovere il suo quinto album, The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. Finalmente viene messo in scena l’evoluzione compiuta nei due album precedenti e Bowie può mostrare il vero sé (o quello che vuole far credere lui sia, se si crede al coming out come intento pubblicitario) e porta alla nascita di Ziggy Stardust, il suo alter ego queer, eccentrico e la cui ambiguità sessuale viene portata anche sul palco, grazie a degli ammiccamenti verso il chitarrista dell’epoca, Mick Ronson.

David Bowie e Mick Ronson

Nella sua dichiarazione sopra riportata, Watts afferma «L'ho intervistato abbastanza spesso dopo, ed è sempre stato molto entusiasta di sottolineare che non avrebbe sbandierato per Gay Lib. E Gay Lib si è arrabbiato molto con lui perché non si sarebbe unito a loro e non avrebbe fatto proselitismo per l'omosessualità» (6). Secondo le parole del reporter, quindi, il cantante britannico non è intenzionato ad essere l’icona queer che in seguito sarebbe diventata. Nonostante ciò già nell’ottobre del 1972 Andrew Kopkind dichiara sul «Boston Phoenix» come lui sia «un’autentica superstar gay, autenticamente una superstar e autenticamente gay allo stesso tempo - per la prima volta nella nostra cultura dai tempi di Oscar Wilde».
«È stato Melody Maker a rendermi ciò che sono, quel pezzo di Mick Watts. È esploso tutto» (7) dichiara David Bowie del 1973. «È esploso tutto» spiega perfettamente come la vita di Bowie sia drasticamente cambiata dopo il suo coming out. È ormai un’icona queer e moltissime persone, famose o semplici fan l’hanno elogiato, spiegando che senza di lui non avrebbero mai avuto la forza per fare coming out. David Bowie sembra quindi un tassello importante per la storia della comunità queer: un’importante star che cambia drasticamente la visione del mondo per il mondo queer.

Nonostante tutto, i coming out di David Bowie hanno visto dei costanti cambiamenti. Pochi anni dopo «Melody Maker», il cantante afferma per la rivista «Playboy» : «È vero, sono bisessuale» (8), qualcosa che riconfermerà anni dopo. Tuttavia nella sua storia non ci sono solo conferme, ma anche smentite e marce indietro. Nel 1983 dichiara al «Time» che era stato un grande equivoco, riconfermandolo dieci anni dopo su «Rolling Stone» : «non mi sono mai sentito un vero bisessuale, ma ero magnetizzato dalla scena gay underground. Era come un'altra realtà di cui volevo acquistare una quota. Questa fase durò solo fino al 1974 e morì più o meno con Ziggy. Davvero, avevo solo fatto mia la condizione di bisessuale, l'ironia è che non ero gay» (9).

Foto di Masayoshi Sukita

In conclusione, l’influenza di Bowie è servita moltissimo a creare l’immagine unica e arcinota di un artista eclettico come lui. Il suo sperimentare - sia nella musica che nella vita - lo ha portato spesso a suscitare pareri discordanti e scandali, che non hanno fatto altro che alimentare la fiamma della sua creatività. 

Il modello di David ha aiutato un’intera comunità a riconoscersi nell’ambiente proibitivo dell’Europa conservatrice negli anni 60, e la sua musica è stata fonte di ispirazione per tutta la tradizione successiva. Bowie è stato forse uno dei maggiori artisti in grado di servirsi della musica per trasmettere messaggi di libertà e trasgressione, grazie a una gamma di strumenti mai uguale a se stessa. Si potrebbe paragonare il suo genio a quello dei futuristi italiani, che spesso e volentieri sfruttavano le strumentazioni più bizzarre per riprodurre i suoni e le tonalità stridule, spesso sgradevoli, delle città all’interno di canzoni e poesie. 

Come si dice, l’immagine è tutto; e David ha saputo assorbire tale concetto e farlo suo, regalando al mondo la possibilità di liberarsi dalle restrizioni sociali, soprattutto in termini di sessualità. David era come la sua musica: mai uguale a se stesso. La sua esperienza con i mimi e il cinema sicuramente può giustificare la cosa; ma alla luce di quanto detto, sappiamo che sotto c’era molto di più. La sua sensibilità artistica lo spingeva oltre i confini che avrebbero dettato certi generi musicali, offrendo un panorama di brani irripetibili e il più delle volte dai messaggi fortemente scomodi: in effetti, l’unico modo per esprimere i messaggi diretti e provocatori che voleva lanciare, grazie ai quali la sua immagine è stata resa immortale.




Bibliografia:
(1) Collis, C., Dear Superstar: David Bowie, in "Blender Magazine", agosto 2002
(2) Pegg, N., Bowie: Le canzoni, gli album, i concerti, i video, i film, la vita: l'enciclopedia definitiva, Lit Edizione, Prima edizione digitale, 2017, pp. 707-708.
(3) Watts, M., Oh! You Pretth Things, in "Meloddy Maker Magazine", 22 gennaio 1972
(4) Ivi
(5) Reynolds, S., Polvere di stelle: Il glam rock dalle origini ai giorni nostri, Minimum fax, Prima edizione digitale, 2017, p. 102
(6) Ibidem
(7) Hollingworth, R., Cha...cha...cha...changes: A journey with Aladdin, in "Melody Maker Magazine", 12 maggio 1973
(8) Crowe, C., Candid Conversation:An outrageous conversation with the actor, rock singer and sexual switch-hitter,, in "Playboy", settembre 1976
(9) Sinclair, D., David Bowie: Station to Station, in "Rolling Stones", 10 giugno 1993.

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