Di Laura Astarita
Così come è arrivata nella più tragica delle circostanze la consapevolezza, in lui, che il teatro avrebbe salvato la sua vita, così, dopo quell'esperienza, Tedeschi comprende che la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa, senza il teatro. Da mezzo per sopravvivere a mestiere per vivere: è ironico pensare che, se non fosse stato per la sua deportazione, forse Gianrico Tedeschi non sarebbe mai diventato un attore.
Gianrico Tedeschi è stato senza dubbio uno degli attori che ha fatto la storia della televisione e del cinema italiano. Grandissimo attore di teatro, che non abbandona mai nonostante l'impegnativa carriera al cinema, vince a 91 anni il Premio Ubu per uno spettacolo di Luca Ronconi.
Nasce nel 1920 e muore nel 2020: Gianrico Tedeschi è stato testimone di un secolo di storia, e protagonista di alcuni tra gli eventi più tragici accaduti nel corso del Novecento. Una costante, però, nella sua vita, è stato il suo mestiere: lui ha sempre fatto l'attore.
È tuttavia una frase vera e falsa al tempo stesso. Infatti, lui non ha sempre voluto fare l'attore. Quando si arruola all'Accademia militare di Siena, non immagina neanche che fare l'attore sarà il suo futuro. C'è la guerra e i giovani ventenni come lui non pensano al futuro, specialmente quelli come lui che sono deportati nei campi di concentramento. Tedeschi racconta dell'esperienza nella raccolta Noi nei lager a cura di Luca Frigerio. Il volume, edito nel 2008 da Paolino Editore, si occupa di raccogliere le testimonianze degli italiani che sono stati deportati nei campi di concentramento nazifascisti.
Tutto inizia nel 1943, Tedeschi si trovava in Tessaglia come sottufficiale di fanteria. Il suo reggimento era stato mandato sul monte Olimpo e il Parnaso per catturare e uccidere alcuni gruppi di partigiani. L'8 settembre viene dato l'armistizio, Tedeschi e i suoi abbandonano le armi: non ne vogliono più sapere della guerra, di prendere ordini dai tedeschi. Si trovano nella città di Volos quando arrivano i nazisti, e vengono fatti prigionieri.
Il reggimento di Gianrico Tedeschi viene deportato al campo di Beniaminòw, in Polonia, dove alcuni dei suoi compagni scelgono di firmare la fedeltà alla Repubblica di Salò e a Hitler. Gianrico però fa parte di quella maggioranza tra i deportati che sceglie la prigionia politica, la fame e i pidocchi, piuttosto che tornare a combattere per il nazifascismo. Racconta nella sua testimonianza in Noi nei lager:
«Ha dell'incredibile come in noi tutti, nati e cresciuti negli anni del regime, si sia sviluppata la coscienza e la consapevolezza di cosa era giusto fare in quel preciso momento…». (1)
Viene trasferito in seguito in un altro campo: a Sandbostel. Non si tratta di un campo di sterminio come Auschwitz-Birkenau o Dachau, ma le condizioni sono comunque dure a causa del digiuno e delle condizioni igieniche disastrose. Tuttavia, è un campo pieno di italiani. E non italiani qualunque: ci sono intellettuali, artisti che sono stati dichiarati nemici del Regime, menti brillanti e molto acute. Alcune delle persone presenti a Sandbostel sono il filosofo Enzo Paci, Giuseppe Lazzetti, il musicista Angelo Selmi, e Giovannino Guareschi, lo scrittore italiano più tradotto al mondo. Quest'ultimo scriverà, poi, dell'esperienza:
«Non abbiamo vissuto come i bruti. Non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l'infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti. Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, con un passato e un avvenire» (2).
Infatti, ognuno di questi intellettuali contribuisce attivamente per cercare di migliorare il tenore di vita del campo: c'è chi tiene lezioni, chi comizi filosofici, chi suona il violino ... a Gianrico, appena ventitreenne, neanche diplomato al Magistero, che ha solo fatto il militare nella sua vita, viene l'idea di mettere in scena uno spettacolo. Si ricorda infatti di quando aveva 13 anni e suo padre lo portava a teatro a vedere Ermete Zacconi negli Spettri di Ibsen. Si ricorda di quando recitava nella filodrammatica del suo paese, e si divertiva. Ricorda qualcosa che può rendere la vita nel campo sopportabile, e realizza che quella cosa è il teatro.
Tra i libri portati al campo dai prigionieri trova Enrico IV di Pirandello, si mette d'accordo con altri detenuti per l'assegnazione dei ruoli (compresi quelli femminili, visto che all'interno del campo c'erano solo uomini) e realizza con mezzi rudimentali, insieme ai compagni, perfino le scenografie e i costumi. Allo spettacolo partecipano, da spettatori, anche le guardie delle SS, le quali naturalmente non mancano di assicurarsi che ogni riferimento di opposizione al Regime venga censurato previa rappresentazione.
Lo spettacolo è un successo, e su richiesta dei detenuti Tedeschi realizza un altro dramma: L'uomo dal fiore in bocca. Si tratta di un'impresa meno ardua dal punto di vista materiale visto che a metterlo in scena servono solo due attori, ma dà a Tedeschi la possibilità di esprimersi al suo meglio come attore principale.
Tuttavia, il complimento più bello arriva quando Tedeschi rappresenta l'opera che era andato a vedere col padre a teatro da giovane, e che tanto lo aveva ispirato in quei giorni senza futuro: Spettri di Ibsen. Le SS gli procurano il testo in tedesco, e Gianrico, nei panni di Osvald, tenta di adattarsi come può. In quell'occasione Clemente Rebora, già giornalista teatrale affermato e prigioniero a Sandbostel, dice a Gianrico che potrebbe fare l'attore: il suo è un talento naturale.
Così, in un campo di concentramento, il più basso e disumano degli ambienti, Gianrico Tedeschi riesce a vedere il proprio futuro.
«Fu una sorpresa anche per me. Pur avendo già recitato, non avrei mai pensato prima di allora che il teatro sarebbe potuto diventare la mia vita». (3)
Nel 1944 viene trasferito al campo di Wietzendorf. Tra i prigionieri italiani, lo segue da Sandbostel anche Giovannino Guareschi. Lo scrittore aveva notato il talento del giovane già a Sandbostel, e gli chiede di leggere pubblicamente un racconto da lui composto nel campo: Favola di Natale. Da allora tra i due nasce un'amicizia e una collaborazione "artistica".
I due danno vita a Wietzendorf a una vera e propria rassegna d'arte varia. «Con noi c’era anche Coppola che suonava la fisarmonica...» racconta Tedeschi (4). Con intelligenza, si prendono iniziative rischiose di impronta satirica, come la riscrittura anti-germanica di opere che le SS non potevano capire, o iniziative teatrali che prendessero in giro i nazifascisti senza che loro effettivamente se ne accorgesse.
Non sempre è festa, però, al campo. A Wietzendorf molti prigionieri che lui e Guareschi conoscono moriranno.
Nel 1945 viene liberato da Wietzendorf e fa il provino di ammissione all'Accademia "Silvio d'Amico". Da lì, la sua carriera prende il volo: lavorerà coi registi più celebri in teatro e alla televisione. I suoi capelli rossi diventeranno prematuramente bianchi e, perciò, sebbene ancora molto giovane, si specializzerà nei ruoli da "vecchio", che manterrà e perfezionerà fino al compimento del suo centesimo anno d'età.
Così come è arrivata nella più tragica delle circostanze la consapevolezza, in lui, che il teatro avrebbe salvato la sua vita, così, dopo quell'esperienza, Tedeschi comprende che la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa, senza il teatro. Da mezzo per sopravvivere a mestiere per vivere: è ironico pensare che, se non fosse stato per la sua deportazione, forse Gianrico Tedeschi non sarebbe mai diventato un attore.
L'episodio verrà commentato da Gabriele Lavia nel 2019 davanti ad un gruppo di allievi-attori della Scuola di Teatro "Orazio Costa" di Firenze nella trasmissione Rai Apprendisti stregoni:
«Gli ho detto che avrebbe dovuto scriverci un film, ma lui non mi ha mai dato retta. Forse la cosa gli creava ancora troppo dolore [...] Però capite la condizione tragica di noi attori? Sei in un campo di concentramento, prigioniero, fuori c'è la guerra e il mondo è in subbuglio, non sai chi tra di voi sarà il prossimo a morire... ma tu sei un attore e pensi solo che devi mettere in scena Spettri di Ibsen».
(1) Frigerio, L. (a cura di), Noi nei lager. Testimonianze di militari italiani internati nei campi nazisti, Paoline Editoriale Libri, Cuneo, 2008.
(2) Brambilla, M., Un candido reazionario. Cinquant'anni fa moriva Giovannino Guareschi. L'italiano più tradotto all'estero andò quasi solo al cimitero, «Il Foglio Quotidiano», 7-8 luglio 2018, p.IX
(2) Ibidem nota 1
(3) Ibidem
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