Di Davide Gravina
Massimo Sisti (Elio Germano), rispettabile e benestante dentista di Latina, protagonista dell’ultimo film di Damiano e Fabio D’Innocenzo, si alza la mattina del suo compleanno e trova sua moglie Alessandra (Astrid Casali) e le sue figlie Laura (Carlotta Gamba) e Ilenia (Federica Pala) sedute al tavolo della cucina, pronte ad accogliere con amore l’uomo di casa. Le tre donne, bellissime e sorridenti, hanno preparato una chimerica crostata fumante, che gustano voracemente, mentre Massimo, ormai riluttante a una così stucchevole perfezione, non può far altro che vomitare.
La scena appena descritta è perfetta sintesi dell’ultima, splendida, opera dei fratelli D’Innocenzo, che dopo La terra dell’abbastanza (2018) e Favolacce (2020) si dimostrano non solo ottimi prospetti, ma vere certezze nel panorama cinematografico italiano. La storia di America Latina è semplice: Massimo trova una ragazzina sconosciuta (Sara Ciocca) rinchiusa nella sua cantina; non sapendo chi possa averla rapita e rinchiusa in casa sua, inizia a sospettare che possa essere stato lui stesso, probabilmente in un momento che ha dimenticato poiché vittima dell’alcol. Decide, quindi, di indagare.
La piccola Lucia, questo il nome della vittima, altro non è che uno struggente MacGuffin di hitchcockiana memoria, abilmente sfruttato dai due registi, interessati a scavare nell’animo del protagonista, un uomo dall’illusoria vita perfetta, magistralmente illustrata nella scena di cui sopra.
Massimo comincia a intuire che la sua situazione di costante impasse resterà tale se non chiede aiuto e il vomito altro non è che la prima richiesta di sostegno che il suo stesso corpo gli comunica.
Inizia, quindi, a cercare il conforto, mai avuto, di suo padre (Massimo Wertmüller). La richiesta di aiuto, però, non solo non viene ascoltata, ma il padre, di cui non sapremo mai il nome, non perde occasione per ricordare al figlio tutti gli errori commessi, ponendo forte accento sull’inconcludenza dei suoi sterili sensi di colpa. Sfruttando ancora una volta il MacGuffin (Massimo va a trovare il padre per capire se ha qualche informazione sulla piccola Lucia), i fratelli D’Innocenzo mostrano un ulteriore crepa nella vita del dentista. L’appoggio di cui Massimo ha urgente bisogno non viene neanche percepito dal suo migliore, nonché unico, amico Simone (Maurizio Lastrico). Quest’ultimo, anzi, si allontana da Massimo quando scopre che ha dato dei soldi al loro barista di fiducia per avere informazioni su di lui. D’altro canto, il denaro che Massimo ha timidamente consegnato nella mani del barista, viene sprezzantemente rifiutato dallo stesso, a dimostrazione dell’inutilità di esser ricchi se ci si affianca sempre a persone su cui è difficile, se non impossibile, fare affidamento.
La desolante mancanza di una vera figura amica opprime Massimo all’interno della sua dimora, dove trovano spazio solo le tre donne da lui volute e forgiate e nessuno, neanche il misterioso ragazzo di Laura, è autorizzato ad avvicinarsi a quel mondo dominato da un uomo, misogino, che vuole la donna non per amarla ma per sentirsi amato.
Una trama così magnificamente costruita, e sceneggiata dagli stessi Fabio e Damiano, trova un angoscioso corrispettivo cinematografico grazie a immagini dominate da colori esageratamente patinati (come testimonia, ancora una volta, la scena del compleanno) o, al contrario, a luci livide (la scena della doccia ne è un emblematico esempio) che scagliano contro lo spettatore l’inquietante dolore che Massimo cova dentro di sé.
America Latina, quindi, utilizza un rapimento come scusa per narrare l’insostenibile turbamento emotivo, e forse psicologico, che si cela nell’animo di un uomo che ha vissuto in un mondo troppo idilliaco per poter essere reale.
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