Di Davide Gravina
100 anni fa nasceva Pier Paolo Pasolini, uno dei più eclettici, versatili e significativi artisti del ventesimo secolo. Il suo contributo alla poesia, al cinema, al teatro e alla pittura è smisurato.
Pensare di ridurre il suo apporto al mondo dell’arte in un unico articolo è fuori da ogni logica. Per questo motivo ci soffermeremo sulla sua carriera cinematografica, concentrandoci in maniera specifica sul suo esordio: Accattone, del 1961.
Sergio Citti in Accattone (1961) |
L’esordio come regista non fu il primo incontro tra l’artista bolognese e la settima arte. Non è leggenda la sua indispensabile collaborazione per Le notti di Cabiria diretto dal suo, all’epoca, amico Federico Fellini, per il quale girò, in particolare, le sequenze dedicate alla prostituzione; inoltre, qualche mese prima di iniziare le riprese del suo primo film, scrisse le sceneggiature de La giornata balorda di Bolognini e La lunga notte del '43 per Florestano Vancini, per citarne un paio.
Dopo queste esperienze, il poeta decise di dar vita a un film del quale avrebbe curato non solo la sceneggiatura, ma anche la regia. Pasolini avrebbe voluto realizzare un’opera basata sul suo soggetto dal titolo La commare secca (soggetto dal quale, l’anno successivo, Bernardo Bertolucci trasse il suo primo film), ma i fatti accaduti durante il governo Tambroni gli fecero cambiare idea e scrisse il nuovo soggetto, che dà anche titolo al film, che riprende parzialmente le vicende e i personaggi già presenti all’interno del suo romanzo Ragazzi di vita, del 1955. Pasolini chiese aiuto finanziario alla casa di produzione Federiz, fondata da Fellini, il quale, però, decise di non aiutarlo dopo aver visionato due scene di prova.
Pier Paolo Pasolini e Federico Fellini ai tempi di Accattone |
Pasolini trovò manforte in Alfredo Bini e Cino del Duca, i quali produssero il film, che vedeva Bertolucci come aiuto regista, alla sua prima esperienza su un set. Il film, nonostante la mancanza del visto dalla censura, fu presentato, fuori concorso, alla 22ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dopo la quale divenne il primo film nella storia del cinema italiano vietato ai minori di 18 anni.
Nella sua opera prima Pasolini, come ogni altro autore cinematografico (nel senso del termine sviluppato dai Cahiers du Cinema, e da Truffaut in particolare, sei anni prima) introduce alcuni dei temi fondanti la sua poetica.
Lo scrittore di Casarsa non ha mai tollerato la cultura borghese per via della sua ossessiva uniformità culturale, dove ogni diversità è rifiutata. Pasolini trova una forza oppositrice a questa omologazione nel sottoproletariato urbano. Non è, quindi, un caso che siano così marcatamente cadenzati gli accenti romaneschi e napoletani.
Vittorio Cataldi (Franco Citti) è Accattone, un pappone al quale nessuno può togliere il soprannome, poiché, come dice lui stesso: «Di Vittorio ce ne sono tanti, di Accattone solo io», come a sottolineare una presunta e, in realtà, inesistente nobiltà nella sua maniera di intendere la vita, votata alla mera sopravvivenza. Accattone vive, come tutti i suoi amici, o presunti tali (che sembrano comporre un’ancor più grottesca immagine degli sfaticati italiani rispetto a quella regalataci da Fellini nel film del 1953 I vitelloni), sulle spalle di qualcun altro: Maddalena (Silvana Corsini), una prostituta che finirà in carcere a causa del suo lavoro e per falsa testimonianza. Accattone, quindi, è costretto a far digiuno forzato, a rispondere alle battute ignobili dei suoi compari che però non hanno perso il loro sostentamento e, addirittura, a rubare una collana dal collo di suo figlio, che vive con la madre ormai separata da Vittorio, per far colpo sull’ingenua e innocente Stella (Franca Pasut).
Franco Citti e Franca Pasut in Accattone (1961) |
Per descrivere le vicende di Accattone, che fedelmente rappresentano la vita del sottoproletariato di quegli anni, Pasolini si accoda alla scelta di numerosi autori dell’epoca neorealista di utilizzare attori non professionisti. Il regista opta per questa scelta per un motivo principe: è convinto che gli attori professionisti aggiungerebbero la loro esperienza e capacità al personaggio, il che va controcorrente rispetto a uno dei principi che perseguirà per tutta la sua carriera, cioè che il personaggio sia creazione del regista e di nessun’altro.
L’utilizzo di attori non professionisti, scelta che avvicina Pasolini all’ormai antico Neorealismo, e lo allontana dal cosiddetto realismo magico di Fellini, che aveva utilizzato proprio l’anno precedente due divi come Marcello Mastroianni e Anita Ekberg per interpretare i protagonisti de La dolce vita, viene controbilanciata da una scelta di regia non popolare nel periodo neorealista, derivata, anche, dalla sua inesperienza: Pasolini utilizza gli sguardi dei personaggi come soggettive, le quali restituiscono la visione più autentica che si possa ottenere di e da quella realtà.
La vita di Accattone, scandita da un eterno e vano girovagare, incontra la sua fine in seguito all’ennesimo tentativo di fuga dalla polizia. La morte, però, anticipata da un’onirica sequenza dove il protagonista assiste al suo stesso funerale, non è un’irreparabile tragedia, ma è anzi l’unica strada verso la serenità, in una vita senza alcuna speranza. Non è un caso che le ultime parole di Accattone, in punto di morte, siano: «Ah, mo sto bbene». Il tema della morte come luogo di serenità verrà ampiamente sviluppato, da diversi punti di visti, nei film successivi, quali Mamma Roma del 1962 e La Ricotta (terzo episodio del film collettivo Ro.Go.Pa.G., del 1963).
Pier Paolo Pasolini |
Pasolini, quindi, sin dalla sua prima opera cinematografica, dimostra, ancora una volta, di essere un artista in opposizione al sapere intellettuale comune, che sta dalla parte degli emarginati e degli oppressi, che non desidera alcun tornaconto personale se non quello umano.
La morte di Pasolini, arrivata troppo presto, è una mancanza a cui il mondo dell’arte non può rimediare. La morte, però, come lo stesso Accattone insegna, è testimonianza di vita e Pasolini ha vissuto per smascherare l’ipocrisia, il perbenismo e il finto moralismo della classe borghese. Ne è stato il suo giogo, la cui forza, a 100 anni di stanza dalla sua nascita e a 47 dalla sua morte, non ha perso un briciolo di attualità.
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