Questo è il tempo in cui attendo la grazia: uno spettacolo sullo sguardo di Pasolini.

Di Laura Astarita


Gabriele Portoghese è in scena, buttato in dietro alcuni cespugli. È il 2 marzo, mancano 3 giorni all'anniversario del centenario di Pasolini, e LaSoffitta ha appena presentato la rassegna bolognese dedicata interamente al poeta e regista, della settimana: Bimba '22 di Elena Bucci, Museo Pasolini di Ascanio Celestini, tra il resto. E il resto è è uno spettacolo sulla cinematografia di Pasolini, che sta per andare in scena proprio al DamsLab: Questo è il tempo in cui attendo la grazia di Fabio Condemi. 

foto di Claudia Pajewski

Fabio Condemi e Gabriele Portoghese lavorano sulle sceneggiature scritte da Pier Paolo Pasolini. Pasolini sceneggiava infatti in modo atipico: iniziava sempre in forma appunti. Appunti sul mondo circostante, e sul mondo che intendeva portare sullo schermo: i film di Pasolini erano visioni oniriche ed estremamente personali, ma al tempo stesso universali e, spesso, politiche. Allo stesso modo, Condemi strumentalizza l'intimità che costruisce attraverso la sua regia per fare un appello politico: conserviamo la nostra umanità, preserviamo la vita e la libertà. Parole senz'altro attuali, soprattutto date le recenti notizie di una guerra in Ucraina.

Fabio Condemi compie un lavoro di arricchimento drammaturgico partendo da alcune delle sceneggiature più famose del poeta, scegliendo di esaltarne gli aspetti biografici piuttosto che quelli politici.  

Portoghese inizia con la nascita del bambino all'inizio del film Edipo Re, introducendo il tema della soggettiva, e quindi dello sguardo: il bambino vede la madre e il mondo naturale in un unica "inquadratura". Così nasce l'amore per la verità e la curiosità verso il mondo che lo circonda: è il momento in cui nasce anche l'affetto per la madre, che nutre e accudisce il bambino. Nella mia testa risuonano i versi di Supplica a mia madre: «Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, / ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore». Il padre, in seguito, sarà poi colui che cercherà di portargliela via, questa curiosità, questo amore, usando la violenza, stringendogli i piedi. Un padre kafkiano, metafora del sistema patriarcale, dei costumi borghesi e della natura umana violentata dal buoncostume fino all'inabilitazione.

Prosegue la soggettiva del Centauro in Medea, la descrizione del mare infinito, che si fonde insieme al cielo, alla quale si oppone la straziante descrizione delle architetture fasciste: sgraziate nelle forme e ridicole nel loro scopo di omologare le abitazioni umane. Pasolini esprime il timore che dove il fascismo abbia fallito nel creare una mentalità di massa, stia invece trionfano la civiltà capitalistica. Non c'è differenza tra la produzione seriale di un prodotto e il pensiero unico.

In seguito, si passa alle vicende del Fiore delle mille e una notte. Alcuni ragazzi egiziani dopo aver giocato a pallone nel loro cortile, si stendono dietro i cespugli e guardano il cielo. Complici tra loro, iniziano insieme a masturbarsi guardando il cielo. «Questo è il momento in cui attendo la grazia», invoca Portoghese, ed è un verso di una poesia contenuta nei diari di Pasolini, Le nuvole si sprofondando lucide. I ragazzi scoprono e godono dei loro corpi, della benedizione d'essere vivi a questo mondo, dando espressione alla propria "disperata vitalità". 

Segue l'intervista al regista ne La ricotta: qui la situazione cambia. C'è uno scarto tra l'infanzia e la maturità, la consapevolezza che, seppur si voglia restare in attesa della grazia, l'intellettuale non può essere tale se non prende parte alle vicende del mondo. Segue l'immagine del martirio di Santo Stefano tratta dagli Appunti per un film su San Paolo: un film mai realizzato, dove la vicenda delle persecuzioni cristiane viene trasposta durante il Regime. Saulo è un nazifascista, Santo Stefano un partigiano. Saulo osserva la morte di Santo Stefano: il suo volto viene descritto come quello di un Angelo caduto. 

Dopo la tragicità di questa scena, torniamo al Fiore delle mille e una notte. La scena dell'incontro tra "l'autore del film", rapito dall'estasi creativa, e i ragazzini, che non capisco una parola delle sue chiacchiere politiche. Ad un certo punto, l'autore del film li guarda e dice loro che sono bellissimi. Chiede al più grande un bacio. Una dichiarazione poetica fortissima: a discapito di tutte le implicazioni politiche dei suoi film, il vero intento dell'autore è far spalancare gli occhi dello spettatore sull'autentica bellezza. Sullo splendore della vita nell'istante in cui non viene contaminata dall'uomo, e dal desiderio dell'uomo di carpirla, di acchiapparla traendola a sé, non riuscendoci, se non danneggiandola (o danneggiandosi). 

foto di Claudia Pajewski

Qualche scena dopo infatti sarà San Paolo, ormai convertito, a cadere e morire per mano dei nazifascisti. È quasi una profezia: il corpo del martire, pieno di polvere, diventa irriconoscibile. La descrizione di San Paolo morto nella polvere ricorda quella del cadavere di Pasolini, tragicamente rinvenuto in seguito al massacro di Ostia.

In opposizione alla rievocazione della reale morte di Pasolini, Condemi proietta subito dopo la morte che Pasolini avrebbe invece desiderato per sé, e che augura a chiunque debba lasciare questo mondo. Viene proiettata letteralmente contro la camicia bianca dell'attore, come a mostrarci il mondo dentro l'uomo che era Pasolini, la scena finale dell'Edipo Re, prima della morte. Per la prima volta durante lo spettacolo, viene proiettata una sequenza tratta effettivamente dai film di Pasolini. 
Franco Citti è in Piazza Maggiore: la città natale del regista. Dopo di ché, Edipo giunge alla radura che s'era vista all'inizio del film: quella dove ha conosciuto per la prima volta sua madre. Ora è cieco, ma sa di essere giunto alla fine, perché tutto dovrebbe avere fine dove ha avuto inizio. 
Pasolini desiderava una morte che gli permettesse di ricongiungersi con le proprie origini, simbolicamente rappresentate dall'immagine di Bologna nell'Edipo Re, come anche dalla radura dove inizia il film, donando così al lungometraggio una struttura circolare, piuttosto che lineare come sarebbe invece quella della tragedia greca. Nella mia testa risuona anche un'altra poesia di Pasolini, in friulano: Il giorno della mia morte (Il dì de la me muàrt).

«In una città, Trieste o Udine,
per un viale di tigli,
quando di primavera
le foglie mutano colore,
io cadrò morto
sotto il sole che arde,
biondo e alto,
e chiuderò le ciglia
lasciando il cielo al suo splendore.

Sotto un tiglio tiepido di verde,
cadrò nel nero
della mia morte che disperde
i tigli e il sole.
I bei giovinetti
correranno in quella luce
che ho appena perduto,
volando fuori dalle scuole,
coi ricci sulla fronte.

Io sarò ancora giovane,
con una camicia chiara,
e coi dolci capelli che piovono
sull'amara polvere.
Sarò ancora caldo,
e un fanciullo correndo per l'asfalto
tiepido del viale,
mi poserà una mano
sul grembo di cristallo». 

La sua morte, Pasolini, la sognava così: ancora giovane, nella terra delle origini di sua madre, la donna che amava, come nell'Edipo Re. Sotto il cielo, sdraiato sotto i tigli, attendendo la grazia, come nell'immagine proposta da Portoghese sul palco dei DamsLab. Perché anche morire è una manifestazione del vivere, e come scriveva Pasolini: «Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci».

Gli ultimi istanti di vita vengono concepiti, dunque, come un montaggio, come un film, da Pasolini: ecco perché Condemi sceglie le immagini, piuttosto che le parole, di un poeta. Sono le immagini sperimentate in vita che ci scorrono davanti nel momento in cui si lascia questo mondo, esattamente come lo sono nel momento in cui, al mondo, si arriva. 

Lo spettacolo di Condemi e Portoghese è una poesia uditiva di cinquanta minuti, ma è anche un'analisi della poesia cinematografica di Pasolini in rapporto alla sua vita, al suo pensiero, alla sensibilità che trapela attraverso le opere. Questo è il tempo in cui attendo la grazia traccia il profilo spirituale di un uomo spartito tra la militanza politica e la voglia di godere serenamente della propria sfera sessuale, emotiva ed esperienziale. 

La regia affascinante di Condemi, unita all'interpretazione emozionante e scorrevole di Gabriele Portoghese viene accompagnata dai filmati di Igor Renzetti e dalla drammaturgia dell'immagine di Fabio Cherstich, dando corpo e tridimensionalità alle fantasie, ai dubbi, agli idilli e agli incubi che dovevano abitare una delle menti più importanti del nostro Novecento letterario e cinematografico. 

Infatti, se i sogni sono segreta espressione dei desideri di ciascuno di noi, senza dubbio non si può escludere che i sogni di Pasolini assomigliassero, in tutto e per tutto, ai suoi film. 

foto di Claudia Pajewski


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