Di Chiara Vecchiato
È possibile dimenticarsi di essere seduti sulle comode poltrone rosse del Teatro Regio di Torino?
La risposta è: sì, è possibile. Norma, opera indiscussa di Vincenzo Bellini e Felice Romani, vi trasporterà all’interno della tragedia senza che voi ve ne accorgiate. Facciamo un passo indietro. Quando si ha la possibilità di assistere, in un teatro di questa portata, alla prova generale di una Signora opera ad un prezzo totalmente accessibile (intorno ai 10 euro), l’occasione non si può proprio rifiutare. Acquistato il biglietto, ci si presenta a Teatro vestiti a puntino, ci si siede nel posto assegnato e, una volta spente le luci, silenzio. L’unico fascio luminoso è proiettato sulla fossa, in cui si trova l’Orchestra, e sul direttore Francesco Lanzillotta. Inizia il preludio: un’esplosione quasi solenne di note, che subito ci trasporta nel mondo della sacerdotessa Norma (interpretata dal soprano Gilda Fiume), fatto di devozione alla sua religione, ma anche dell’amore proibito per un uomo (nonché padre dei suoi figli). Sentiamo temi che ci scuotono, archi che si rincorrono, ma anche fiati che sembrano danzare leggeri, come a preannunciare un conflitto di emozioni e probabilmente mondi molto diversi tra loro.
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Foto di Luciano Romano |
Si alza il sipario. Sfondo in retroproiezione, davanti qualcosa che rimarrà per tutta la rappresentazione, un tronco d’albero reciso. A cambiare saranno pochi elementi “accessori”, se così possiamo definirli, che però ci aiutano a contestualizzare l’ambiente in cui ci troviamo; è pur sempre la foresta sacra dei Druidi. Da sottolineare è la scelta che è stata fatta in riferimento all’allestimento: il regista Lorenzo Amato ha mantenuto (con tutto il dovuto rispetto) le scene ideate dallo scenografo teatrale e cinematografico Ezio Frigerio, recentemente scomparso; era stato realizzato nel 2016 per il Teatro San Carlo di Napoli.
Il dramma prende vita, e si anima, sul personaggio di Norma; non solo figurativamente, ma anche nella pratica: sul finale della scena quarta, proprio alla conclusione del grandioso cantabile Casta Diva, Gilda Fiume viene applaudita per quella che sembra un’infinità di tempo. Lei è lì, sul tronco reciso, immobile, con il mento rivolto verso l’alto, pronta per continuare con la scena successiva. Non si può andare avanti, il pubblico la acclama già; il tempo si ferma. “Norma” guarda il direttore d’orchestra, che la applaude a sua volta, le sorride; lei però vuole andare avanti e con un impercettibile gesto delle mani ci fa capire che “the show must go on”. E il pubblico tace.
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Foto di Luciano Romano |
Supportata da un cast all’altezza delle aspettative, i dovuti applausi verranno ripetuti (per tutti, questa volta), come consuetudine, alla conclusione dell’opera. Eppure, tutto si era già capito alla scena quarta del primo atto. A precederla ci sono stati gli interpreti di Pollione, il tenore Dmitry Korchk, e di Oroveso, Fabrizio Beggi, entrambi già noti al pubblico; ed a seguire invece abbiamo incontrato Adalgisa (il mezzosoprano Annalisa Stroppa), che ha saputo costruire perfettamente i rapporti con i due personaggi fulcro dell’opera: Pollione e Norma. Prima il duetto amoroso Va’, crudele, al dio spietato con Dmitry (Pollione), dove vediamo un’Adalgisa in preda ai pensieri, ferma ad un bivio: continuare la strada per diventare sacerdotessa o seguire l’innamorato a Roma? Dopo, lo struggente duetto Deh! con te, con te, li prendi con Gilda (Norma), che ha scoperto la relazione tra i due ed è attraversata da sentimenti contrastanti, ma decide di affidare i suoi figli alla ragazza.
Le voci delle due donne, all’unisono nel canto, arrivano al cuore dello spettatore. La situazione si fa surreale, non siamo più al Regio, ma nemmeno nella foresta dei Druidi, siamo in un non-luogo: l’intimità più pura tra le due.
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Foto di Luciano Romano |
Dopo circa tre ore di spettacolo (contando l’intervallo e qualche cambio di scena che ha richiesto pochi minuti), arriviamo al gran finale, che vede un terzetto degno di nota (Norma, Pollone ed Oroveso) ed un utilizzo della retroproiezione che incute timore con pochissimo (una colata di sangue, che peraltro scompare e riappare solo un paio di volte). Unica nota dolente, ma che purtroppo non dipende dal cast, né dal Teatro Regio: i cori hanno dovuto tenere indossata la mascherina. C’è da chiedersi se questo diventerà il futuro, o se potremo tornare alla normalità, ma una cosa è certa: la bravura degli interpreti è andata oltre questo “dettaglio” e ha permesso alla sala gremita di godersi Norma, un’opera senza tempo.
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