"Turandot" al Teatro Regio: un triangolo tra Pechino, Torino e l'inconscio collettivo

Di Chiara Vecchiato

Mercoledì 20 aprile 2022 è andata in scena al Teatro Regio di Torino la prova generale della Turandot di Giacomo Puccini, con la prosecuzione de "L’impegno del Regio", iniziativa che prevede di dedicare parte dell’incasso ad Associazioni ed Enti del territorio che si occupano di progetti sociali e di supporto alle fasce più deboli. La serata è stata dedicata all’Associazione I.R.I.S. Insieme Ritroviamo Il Senso ODV di Novi Ligure, nata nel 2009 per garantire la presenza di volontari dedicati all’assistenza dei pazienti oncologici e alle loro famiglie. 

Photo credits: Ramella & Giannese

Protagonista dell’opera è Turandot, giovane principessa cinese molto bella ma solitaria e con sete di vendetta. In lei è ancora vivo il ricordo della sua antenata violentata e successivamente uccisa, e ciò provoca nella ragazza odio verso gli uomini, sebbene il padre di lei voglia un matrimonio. Turandot decide così di sposare soltanto colui che riuscirà a sciogliere tre enigmi che lei proporrà: pena la morte. Tra coloro che tentano invano l’impresa vi è Calaf, giovane principe tartaro che si innamora quasi immediatamente della principessa. Tuttavia, ad essere innamorata di lui è la giovane schiava di Timur (padre di Calaf), Liù. Il principe vincerà, ma sottoporrà a Turandot una prova che le potrebbe permettere di ribaltare il suo destino: se riuscirà a scoprire il nome del giovane, allora lui morirà. L’unica a conoscenza del nome di Calaf è Liù, che rinuncerà alla propria vita per amore. L’opera si ferma qui, dove anche Puccini si è fermato. 

Diretto da Jordi Bernàcer, con l’Orchestra, il Coro e il Coro di voci bianche del Teatro Regio, su allestimento di Stefano Poda, il capolavoro di Puccini si trova a metà tra Pechino e l’interiorità della principessa Turandot. Questo dualismo verte tra la musica, che vede presenti nell’Orchestra strumenti musicali che richiamano l’Oriente, e ciò che si vede rappresentato sul palcoscenico: un vero e proprio tentativo di dare forma e volto all’inconscio, all’Io. 

Photo credits: Ramella & Giannese

Regia, scene, costumi, coreografia e luci sono firmate da Stefano Poda, che in scena preferisce parlare con un proprio linguaggio, cancellando le barriere tra generi e discipline diverse; un piccolo omaggio anche a Torino e alle sue bellezze: sul fondale si possono scorgere, oltre le porte bianche, quelli che parrebbero essere calchi di busti (sembrerebbe, secondo le parole di Poda, un richiamo al Museo Cesare Lombroso) e per gran parte del secondo atto si può notare in scena il riferimento alla pratica dell’imbalsamazione (volgendo dunque un particolare sguardo al Museo Egizio). 
In questa messa in scena, l’intento del direttore lirico di mettere a nudo la mente di Turandot riesce alla perfezione: riprendendo in parte l’allestimento del 2018 – sempre al Teatro Regio, disponibile su DVD – vi è un gioco di luci, geometrie, architetture, dettagli, corpi seminudi che prima corrono e si dimenano, e poi si rannicchiano e si acquietano. 
Photo credits: Ramella & Giannese

È il bianco a fare da padrone sul palcoscenico per i primi due atti, a partire dalla scenografia; un bianco asettico, penetrante, glaciale, proprio come la «Principessa di gelo». A contrasto, dapprima il nero degli abiti di Timur – interpretato da Michele Pertusi – e di Calaf – interpretato dal tenore Mikheil Sheshaberidze; successivamente, verso la fine del primo atto, è Turandot – il soprano Ingela Brimberg, nota per le interpretazioni delle più complesse eroine dell’opera – ad irrompere con una gonna rosso fuoco. Nel terzo atto, invece, la luce del bianco verrà spenta da abiti totalmente neri per quasi tutti gli interpreti. 
Discorso a parte per la giovane schiava Liù – interpretata dal soprano Giuliana Gianfaldoni – che oltre ad indossare un abito con pantalone (a differenza di Turandot e di tutte le altre donne-sfumature in scena) di colore bianco panna, appare sul palcoscenico con i capelli raccolti in una lunghissima coda, che supera la metà della sua altezza. Il canto della schiava è fatto di urli sospirati, che sembravano essere particolarmente apprezzati dal pubblico: subito dopo la frase «Liù non regge, pietà!» c’è anche chi, fra gli applausi che interrompono (o intensificano) la drammaticità del momento, grida timidamente un «Brava!». 
Photo credit: Ramella & Giannese

È lecito chiedersi se Giacomo Puccini, Giuseppe Adami e Renato Simoni si sarebbero mai immaginati una Turandot così psicologica, non più racconto di una favola ma un viaggio attraverso l’inconscio collettivo. Certo è che questa non si deve intendere come interpretazione del direttore Stefano Poda: come lui stesso ha detto alla conferenza del 13 aprile 2022 al Foyer del Toro del Teatro Regio: «Io non offro interpretazioni, non sposto l'opera da Pechino al tempo delle fiabe o nella New York di oggi per rendere la vicenda più vicina. Io depuro lo spazio, per offrire allo spettatore uno spazio dell'anima». Fedele all’incompiuta opera, Stefano Poda mantiene il finale così come il compositore ce lo ha lasciato: nessun bacio scioglierà il cuore della principessa cinese, perché «Turandot “muore” e capisce che per vivere deve accettare la vita». 

Turandot ha debuttato al Teatro Regio il 22 aprile 2022 e sarà in scena fino al prossimo 5 maggio. 

Commenti