Nel cuore del "Misantropo"

Di Chiara Vecchiato

Nel 400° anniversario della nascita del commediografo francese Molière, il giovane regista Leonardo Lidi dirige un nuovo allestimento de Il misantropo (1666), in scena – prima nazionale – dal 3 al 22 maggio 2022 al Teatro Carignano di Torino. Diplomato nel 2012 come attore alla Scuola del Teatro Stabile di Torino, Leonardo Lidi trova presto il suo spazio non solo come interprete, ma anche nella direzione di spettacoli, partecipando inoltre alla Biennale di Venezia. Nel 2021 diventa vicedirettore e coordinatore della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino e sono proprio gli allievi a partecipare all’allestimento di Lidi come figure anonime, insieme all’assistente alla regia Riccardo Micheletti, che ritorna nella figura di Lui (già vista in La casa di Bernarda Alba).

Foto di Luigi De Palma

Il punto fermo nell’opera è uno solo: l’amore. Mille forme ma solo sei volti a rappresentarlo: Alceste (Christian La Rosa) e Celimene (Giuliana Vigogna) con la loro “relazione” – segreta a causa della prematura morte del marito di lei – sfaccettata e complessa; Filinte (in questo allestimento interpretato da una donna, Orietta Notari, per cui si userà il femminile) innamorata di Eliante (Marta Malvestiti), la cugina di Celimene che è a sua volta rapita dal protagonista, Alceste. Sembra che un primo ciclo amoroso si chiuda qui, se non fosse per altri due personaggi mantenuti da Lidi: Arsinoè (Francesca Mazza), l’amica più grande di Celimene, e Oronte (Alfonso De Vreese), l’avversario in amore di Alceste. 

Foto di Luigi De Palma

Attenzione: l'articolo contiene diversi elementi presenti nella produzione che potrebbero essere considerati spoiler.

Si alza il sipario e di fronte a noi vediamo il palco riempito di ghiaia («È un pavimento troppo sporco»), con alcuni cumuli per creare dislivelli, uno sfondo fatto di pannelli grigio scuro – tendente al nero a seconda della luce – e al centro una porticina davvero piccola, probabilmente la metà dell’altezza a cui siamo abituati. 
Da quello spazio angusto escono, uno ad uno, i personaggi, sotto le note di Clair de Lune di Debussy; un po’ sognante, un po’ malinconico. Si insinuano nello spettatore le prime idee, le prime domande su ciò che sta vedendo. Non c’è tempo per fermarsi a riflettere: arriva Lui, l’uomo in smoking senza volto, che porta via dolcemente Celimene. E piano piano tutti tornano alla porticina. 
Inizia ciò che si è venuti a vedere, la commedia. Alceste (zoppo) gira in tondo sul palco mentre scambia riflessioni sull’amore con Filinte. Questo movimento circolare del personaggio viene più volte sottolineato nell’opera, quasi a farci intendere la difficoltà che incontra Alceste nel relazionarsi con questa società superficiale. 

Il misantropo nasce come scherno ad un uomo che diventa pazzo per amore, che si umilia per la donna amata. Questo aspetto rimane, ma è solo la superficie rispetto a ciò che davvero possiamo trovare oltre: Alceste si ammala per colpa di questo sentimento. Ma che cos’è l’amore? Il protagonista ci dice che «L’amore deve basarsi su una scelta», ma Celimene non sa farlo, o non vuole farlo. 

Foto di Luigi De Palma

In quest’opera c’è rassegnazione, malinconia, presa di coscienza, follia, e tutto quanto si unisce in maniera perfetta nel momento più struggente: il monologo di Arsinoè (che non a caso vede un sottofondo musicale, grazie ad Oronte, che comprende anche “Guarda che luna”). Donna di mezz’età, chiede di essere definita grande perché «Vecchia no, vi prego»; sente di dovere ammonire la giovane riguardo al passare inesorabile del tempo e dell’aspetto esteriore, perché «Un giorno gli uomini della tua età saranno vecchi per te». Parole che pesano come un macigno, frasi che forse il cuore di Celimene non regge: Lui cinge la ragazza da dietro, portandole una mano al collo. Ma, dopo, si mettono a ballare. Lei in punta di piedi, scalza, come a volersi liberare da qualcosa che le inizia a stare stretto: l’amore malato di Alceste. 

Foto di Luigi De Palma

«Ti aspetto qui». Questo è ciò che riesce a dire alla fine Alceste alla ragazza, dopo avere invaso la bontà di Eliante, baciandola e toccandola troppo violentemente, in cerca di vendetta verso l’amata, dopo avere inveito contro la stessa Celimene alla scoperta del tradimento con Oronte, dopo averla percossa, dopo aver perso il processo contro colui che l’ha reso zoppo, dopo essersi fatto sfuggire ogni briciolo di umanità. Si sdoppia, torna in scena Lui, e sono solo loro due, di fronte al pubblico, ma anche di fronte alla realtà. Anzi, in quel momento siamo tutti di fronte alla realtà. Si mettono nelle stesse pose, sono vestiti uguali, ma sono due facce della stessa medaglia: Alceste ha perso ogni possibilità di salvezza e lotta contro se stesso. 

Ciò che ci rimane è amaro, come solo la verità sa esserlo. Uscendo da teatro ci si chiederà ancora: che cos’è l’amore? E soprattutto, ci salverà? 

Foto di Luigi De Palma

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