Il mondo che verrà: un'utopia d'amore

Di Elena di Ruvo 

Diretto dalla norvegese Mona Fastvold, Il mondo che verrà (The World to Come) è stato presentato alla 77esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia ed è tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore americano Jim Sheppard (2017). 

Credits: Bleecker Street\Vlad Cioplea

TRAMA:

Inverno 1856, contea di Schoharie, Stati Uniti. Abigail (Katherine Waterson) vive separata in casa col marito Dyer (Casey Affleck), soffrendo entrambi il lutto per la recente perdita della figlia Nellie; ciò li porta a non avere più rapporti, alimentando il vuoto sterile delle loro vite. La moglie si occupa della fattoria di famiglia, annotando in un diario gli eventi dell’anno in corso, mentre Dyer esegue lavori di manutenzione. Durante la primavera, Tallie (Vanessa Kirby) e il marito Finney (Christopher Abbott) si trasferiscono vicino alla loro tenuta; le due donne stringono una forte amicizia, che sfocia presto in una relazione proibita. Il corso degli eventi, che Abigail riporta nel diario, costringe le due a una separazione forzata portando ad un esito irrimediabile.

COMMENTO:

Con una trama quantomeno essenziale, il film sa incantare per la capacità di ritrarre un tipo di mondanità casalinga che ne fa risaltare lo squallore, oltre che l’elemento fondante dell’infelicità umana. Abigail è il perno della narrazione, attorno a cui ruota il fuoco della storia grazie al suo diario. Schiva, insicura, costantemente provata dalla perdita della figlia al punto da non saper più comunicare col marito. Dall’altro lato, abbiamo Tallie: donna posata e di incredibile bellezza, che conquista subito il cuore di Abigail, decisamente più sgraziata. Una contrapposizione resa vivida anche grazie agli splendidi costumi di Luminita Longo: Tallie esprime il proprio status con abiti elaborati ed eleganti – pur tenendo i capelli sciolti, evidente metafora dell’intenzione di “sciogliersi”, slegarsi dalle convenzioni. Al contrario, Abigail è perennemente “legata” da trecce e abbigliamenti da lavoro, richiamo alla sua insicurezza e pragmatismo.

Scena dal film Il mondo che verrà (2021)

Il rapporto che si instaura tra le donne è qualcosa di assolutamente intimo, confidenziale, fatto di sussurri e voci melliflue che trasportano lo spettatore quasi in uno stato di trance. La sola presenza di Tallie destabilizza Abigail, il suo trasporto lento e sensuale la fa sentire a disagio. È un modo di rappresentare l’innamoramento non sconosciuto a chi ha già avuto esperienze di film queer come Carol, La vita di Adèle, Chiamami col tuo nome, La battaglia dei sessi. Ciò che accomuna questi esempi è la quasi totale mancanza di dialoghi in momenti topici incentrati sui due amanti. Anche nel nostro caso assistiamo all’azzeramento della parola, che dà così spazio alla musica e alla suggestione dei pensieri: il tono scuro e delicato di un clarinetto ci accompagna per l’intero processo di realizzazione, di Abigail, di amare Tallie.

Serve, però, ricordare il periodo di ambientazione: nell’America di metà Ottocento, una relazione del genere non sarebbe passata inosservata (figurarsi in un piccolo villaggio); tanto che persino Finney mal sopporta il rapporto tra le donne, mentre Dyer rimane dubbioso. Ed ecco che gli sguardi diventano sfuggenti, timidi; baci rubati, parole evanescenti. Le protagoniste sono consapevoli del rischio che corrono, e il film non si tira indietro dal mostrare prospettive divergenti in merito alla visione del futuro: Abigail vede l’immagine di una gabbia, in cui le due potrebbero vivere insieme, come un porto sicuro, mentre Tallie è riluttante all’idea di doversi nascondere.

Credits: Bleecker Street\Vlad Cioplea

Il dilemma del coming out è dunque un motivo centrale all’interno nel film, e la regia lo fa sentire molto bene: le amanti iniziano a trovare la presenza dei propri mariti un peso e cercano di evadere. Dal canto loro, gli stessi uomini sono messi all’angolo, come relegati al ruolo di osservatori, elaborando reazioni opposte, figlie entrambe dell’insofferenza per ciò che sta accadendo. Da una parte, l’incapacità di Dyer di reagire fa di lui un ostacolo alla liberazione di Abigail, alla deriva e incapace di esprimersi. Lo stesso non si può dire di Finney: rigoroso conservatore, seguace della Bibbia e impulsivo, sa essere particolarmente violento con la moglie, fatto che la spinge a non confidarsi con Abigail e porre a sua volta un freno al desiderio di sentirsi appagata.

Il ricorrere alla Bibbia per condannare relazioni proibite può rimandare alla questione moralista già sollevata nel romanzo La Lettera Scarlatta, di Nathaniel Hawthorne – scritto, peraltro, nello stesso periodo di ambientazione del film (n.d.a.). Il ruolo invadente della Chiesa soffoca il nobile intento di redenzione da parte di Hesther, per la mancanza di supporto dalla gente di Salem. Sia il libro che il film affrontano la difficoltà ad aprirsi per il timore del giudizio, che mette la sorte degli amanti sul patibolo senza possibilità di redenzione. 

Fonte: labiennale.org

Tornando al film, è chiaro che la parola non può più esprimere i sentimenti tra Abigail e Tallie, facendo subentrare un silenzio di mortificazione che schiaccia e reprime ogni volontà. L’unico modo per comunicare è tramite le lettere, che diventano lo specchio delle loro anime, nonché veicolo per la piena e libera espressione del loro amore, fino al momento del sofferto addio. In ultima istanza, in una prospettiva di film coming of age tutti i protagonisti subiscono un processo di crescita interiore, con implicazioni più o meno positive; l’arrivo della primavera coincide con l’arrivo di Tallie nella vita di Abigail, mentre i mariti realizzano un tipo di cambiamento che non sono disposti a supportare (e sopportare). 
Scena del film Il mondo che verrà (2021)

A conclusione, questo film - e libro - è l’ennesima riprova che un amore felice, puro e incondizionato non può avere luogo se la mentalità umana non è in grado di progredire e accettarlo per quello che è. Il desiderio delle protagoniste di avvicinarsi, toccarsi, stare insieme è inequivocabile; ma c’è sempre qualcosa – o qualcuno – che le frena. È una condizione che influenza il loro stesso modo di agire: specialmente per Tallie, resa fredda e distante dal morboso attaccamento di Finney. La metafora della gabbia calza a pennello come chiara immagine di un amore ostacolato e costretto a nascondersi. Così, l’impossibilità di lasciare che siano le azioni a parlare per loro fa rifuggire le donne in una serie di sguardi e scambi muti che affidano allo spettatore il compito di immaginare “come potrebbe essere”, provando a mettere insieme i pezzi di un mosaico che non può essere completato e non lo sarà mai.

Scena dal film Il mondo che verrà (2021)

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