La moda queer: espressione d'identità e comunità

Di Fhe Pacifico 

La moda, in quanto mezzo di comunicazione, «è una forma di espressione di valori» (1). Con la moda possiamo esprimere al meglio noi stessɘ o salvaguardarci nascondendone alcune parti e «attraverso abiti e accessori possiamo esprimere sia la nostra appartenenza ad un gruppo che la differenza dagli altri gruppi» (2). Tale significato della moda e dell’abbigliamento è specialmente importante per le minoranze, le quali riescono così a rappresentare il loro legame con una precisa comunità e distinguersi da chi non ne fa parte.

Questo messaggio è presente da sempre nella storia della comunità LGBTQ+, perché permette sia di soddisfare il «bisogno di comunità, sicurezza e intrattenimento che consentissero alle persone queer di esprimersi in uno spazio sicuro» (3) sia di appagare la «necessità di segnalare ad altre persone LGBT+ che anche la persona che indossa detti vestiti o moda fa parte della comunità o semplicemente non essere vista come eterosessuale o cisgender» (4). 

Radclyffe Hall, ritratto di Karl August Büchel

«La moda è quindi politica, poiché consente alle persone in stato di costrizione un modo per creare la propria esistenza quando viene negata dallo stato» (5). Specialmente nei periodi in cui le persone queer erano ghettizzate, la moda divenne l’unico modo per riuscire a comunicare. «I codici di abbigliamento segreti hanno consentito a uomini e donne gay di classificarsi a vicenda agli occhi del pubblico» (6). Molti studiosi hanno ripercorso la storia della comunità LGBTQ+ indicando molte caratteristiche che permettevano alle persone queer di identificarsi tra di loro. «L’abbigliamento rappresentava un linguaggio segreto in cui gli individui potevano parlare e connettersi tra loro durante i periodi di oppressione sociale» (7). In questo «linguaggio segreto» (8) sono inseriti dei precisi colori, oggetti e capi. Un esempio è il verde oliva: una tonalità «considerata effemminata nell’era del primo capitalismo, preferendo colori sobri e tessuti più rigidi che hanno definito la mascolinità bianca occidentale» (9). Nella mostra A Queer History of Fashion: From the Closet to the Catwalk -per il Museum at FIT- viene presentato «un abito da uomo in tre pezzi della Francia del 1790, realizzato in velluto e seta» (10) verde oliva.

«Presentarsi, modellarsi, anche, come qualcosa di diverso da una persona eterosessuale cisgender, di solito comporta una sorta di rifiuto delle convinzioni binarie e rigidamente di genere sull'abbigliamento» (11). Ciò è visibile specialmente nella moda adottata dalle donne saffiche, dove vengono indossati abiti maschili, e in special modo il monocolo, per sottolineare la propria attrazione per le donne. «È ben documentato che Radclyffe Hall e la sua amante Una Troubridge furono spesso avvistate a braccetto con abiti su misura da uomo e soprabiti di lana militare» (12). La principale estetica adottata dalle donne saffiche è il look garçonne, il quale «rifiutava i corsetti dei tempi passati e abbracciava una silhouette agile da ragazzo per le donne, come quelle preferite dall'attrice bisessuale Marlene Dietrich» (13).

Marlene Dietrich in Morocco (1930)

Se il monocolo, i vestiti verdi oliva e i capelli corti soddisfano la «necessità di segnalare ad altre persone LGBT+ che anche la persona che indossa detti vestiti o moda fa parte della comunità» (14), il drag è il risultato di quel «bisogno di comunità, sicurezza e intrattenimento che consentissero alle persone queer di esprimersi in uno spazio sicuro» (15). Già nel 1880, i balli drag, organizzati dalla “regina del drag” William Dorsey Swann, permettevano la creazione di una comunità e un luogo sicuro tra persone precedentemente schiavizzate; in questi eventi si indossavano abiti femminili, anche se era contro la legge. È «attraverso la sovversione e sfidando l’abbigliamento e lo stile previsti dalle norme di genere socialmente definite» (16) che si riesce a creare la libertà personale e un senso di comunità. È indossando abiti femminili, tacchi, parrucche, strass per le Drag Queen e smoking e barbe finte brillantiate per i Drag King che si mettono in atto le pratiche sovversive che «consistono in un’imitazione parodistica e consapevole delle norme di genere e, così facendo, rendono visibile il carattere imitativo del genere stesso» (17). 

Lo stile e il glamour, elementi fondamentali e ricercati nei balli drag e oggi anche nei programmi televisivi come RuPaul’s Drag Race, sono «mezzi per sovvertire le distinzioni di classe» (18), possibile attraverso l’imitazione della moda di corte, prima, e dei vestiti di alta moda, oggi, realizzate usando oggetti inusuali: un esempio è il vestito creato con buste della spazzatura e guanti di plastica della Drag Queen Mayhem Miller per la decima stagione di RuPaul’s Drag Race.

Mayhem Miller con vestito ricavato da guanti e busta della spazzatura.
Rupaul's Drag Race 10. Credit: Gabriel Gastelum

«I significati culturali visivi come l’abito e lo stile si intrecciano nel lavorare per rappresentare un’ampia varietà di ideali a volte contradditori» (19); infatti, se la moda ci permette di creare la nostra identità e sottolineare l’appartenenza alla comunità LGBTQ+, bisogna considerare come al contempo essa possa divenire anche una gabbia. «Poiché molti gruppi di persone tentano di differenziarsi dalla società dominante cambiando il loro aspetto […] alcuni aspetti dell'abbigliamento e dello stile sembrano essere quasi onnipresenti tra i gruppi emarginati» (20), ciò porta a quello che Meyer definisce stress di minoranza, ossia quello stress «a cui sono esposti gli individui di categorie sociali stigmatizzate come risultato della loro posizione sociale» (21). Questo stress è sia «la paura che la sessualità della donna venisse esposta, con conseguente perdita di lavoro, discriminazione e molestie» (22) sia il terrore di non sembrare abbastanza queer.

Quindi anche se la moda è importante per la comunità LGBTQ+, per molte persone essa significa anche non riuscire a sentirsi sé stessɘ, costringendoci ad entrare in idee tradizionali di mascolinità o femminilità per salvaguardarci e sacrificando una propria parte o indossando abiti stereotipati per far “convalidare” la propria identità queer. Quindi sì, la moda «ha giocato – e ancora gioca – un ruolo chiave nel plasmare le identità personali al di là dei ruoli di genere convenzionali così come, più collettivamente, quelli delle sottoculture che spesso adottano stili di abbigliamento specifici come espressione di solidarietà» (23), ma al contempo diventa un obbligo, forzando le identità ed eliminando quel senso di comunità che era all’origine.

Bibliografia e sitografia:
(1) Pizza Paola. 2010. Psicologia sociale della moda: abbigliamento e identità. Verona. QuiEdit. Pagina 71
(2) Ivi
(3) Minh Truong. 2021. Queer fashion and identity. Expressing and normalizing queer identities with fashion. https://www.theissuemagazine.ca/articles/queer-fashion-and-identity 
(4) Ivi
(5) Barry, Ben & Daniel Drak. 2019. “Intersectional Interventions into Queer and Trans Liberation: Youth Resistance Against Right-Wing Populism Through Fashion Hacking, Fashion Theory.”  Fashion Theory. The Journal of Dress, Body and Culture https://doi.org/10.1080/1362704X.2019.1657260. Pagina 681
(6) Gallagher, Charlotte. 2020. A short history of queer fashion. Mindless Mag. https://www.mindlessmag.com/post/a-short-history-of-queer-fashion 
(7) Ivi
(8) Ivi
(9) Tanwi Nandini Islam. 2014. It’s time to rewrite a queer history of fashion. Fashionista. https://fashionista.com/2013/09/its-time-to-rewrite-a-queer-history-of-fashion
(10) Ivi
(11) Cundall, Sophie. 2021. Illegal Looks: Queer Women and Fashion History. The everyday. https://theeverydaymagazine.co.uk/fashion/illegal-looks-queer-women-and-fashion-history 
(12) Ivi
(13) Tanwi Nandini Islam. 2014. It’s time to rewrite a queer history of fashion. Fashionista. https://fashionista.com/2013/09/its-time-to-rewrite-a-queer-history-of-fashion
(14) Minh Truong. 2021. Queer fashion and identity. Expressing and normalizing queer identities with fashion. https://www.theissuemagazine.ca/articles/queer-fashion-and-identity
(15) Ivi
(16) Kelly L. Reddy-Best. 2013. Fashioning Queer Bodies: Intersections of Dress, Identity, and Anxiety in the Queer Women’s Community. Oregon State University. Pagina 80
(17) Baccolini, Raffaella e Beatrice Spallaccia. Genere, queer e performatività: una breve introduzione. http://www.paolaluciani.com/fotografia/wp-content/uploads/2014/01/Queer-Life_bs-rb_fin.pdf
(18) Lease, Bryce. 2017. “Dragging rights, queering publics: realness, self-fashioning and the Miss Gay Western Cape pageant”. Safundi. The Journal of South African and American Studies. http://dx.doi.org/10.1080/17533171.2016.1270014
(19) Reddy-Besta Kelly L. e Elaine L. Pedersenb. 2014. “The relationship of gender expression, sexual identity, distress, appearance, and clothing choices for queer women”. International Journal of Fashion Design, Technology and Education. http://www.tandfonline.com/loi/tfdt20
(20) Reddy-Besta Kelly L. e Elaine L. Pedersenb. 2014. “The relationship of gender expression, sexual identity, distress, appearance, and clothing choices for queer women”. International Journal of Fashion Design, Technology and Education. http://www.tandfonline.com/loi/tfdt20
(21) Ivi
(22) Reddy-Besta Kelly L. e Elaine L. Pedersenb. 2014. “The relationship of gender expression, sexual identity, distress, appearance, and clothing choices for queer women”. International Journal of Fashion Design, Technology and Education. http://www.tandfonline.com/loi/tfdt20
(23) Lutyens, Dominic. 2018. A queer eye for style, identity and activism. BBC. https://www.bbc.com/culture/article/20180704-a-queer-eye-for-style-identity-and-activism

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