Per un’utopia reale: "Amore e Rivoluzione" degli Eugenio in Via di Gioia

Di Claudia Carrai

Amore e Rivoluzione è il titolo del quarto album degli Eugenio in Via di Gioia. Il binomio che vi compare restituisce già con grande efficacia il punto di arrivo di un vero e proprio percorso concettuale sotto forma di disco: a partire dal quadro spietato che viene offerto della società e dell’essere umano del ventunesimo secolo in IV rivoluzione industriale, fino alla meravigliosa immagine conclusiva di un’Utopia in cui l’umanità può e deve tornare a credere, l’album traccia infatti una linea tematico-narrativa che attraversa le contraddizioni, le paure e gli errori del nostro tempo per condurci verso qualcosa di diametralmente opposto. 

Foto di Elisa Marchina

Una rappresentazione senza filtri, dunque; una lettura apocalittica e al contempo realistica della nostra realtà; una decostruzione, certamente, condotta con un’arma dalla potenza straordinaria e ben nota nel campo delle arti contemporanee, l’ironia. 
Eppure il disco non si limita alla pars destruens, ma anzi si pone ideologicamente come pars construens, affondando le proprie radici in quei valori da cui è necessario ripartire e di cui noi stessi dobbiamo farci veicolo affinché possa fiorire un futuro migliore (e dunque un futuro in assoluto): amore e rivoluzione. In quest’ottica, tali concetti si avvicinano moltissimo fin quasi a diventare sinonimi, se è vero che il primo, in quanto sentimento intimamente sociale nella sua essenza e forte elemento di coesione e di solidarietà, diventa qui l’unica via per una lotta efficace. E forse proprio questa coesione, questa unione, questo comune sentire sono ciò che nel profondo individualismo contemporaneo l’umanità in toto ha perso ed è chiamata a recuperare. 

«Sì, sì, sì, sì questa è la mia vita/ Bastava dire di sì, la mia bellissima vita/ Che peggio di così non poteva andare/ A questo punto qui si può solo guadagnare» (1): questi i versi che aprono, in chiave fortemente ironico-amara, il primo brano e l’intero disco, rivelandone già il nucleo di fondo. Quarta Rivoluzione Industriale è uno schizzo del futuro che viene prospettato alle nuove generazioni, un futuro privo di spazi fisici, temporali e mentali («Divano, letto e pure ufficio/ Senza alzarsi, mica male», «Vita dinamica, molto carina/ Senza gli orari, senza cucina»), privo di certezze («Un solo posto di lavoro tutta la vita, mai/ Tu sei molto di più, molto di più/ Ieri stagista, oggi commesso», «Tutto, ora e qui, presente dilatato/ Lascia fare a me, dimmi solo che hai accettato») e infine privo di prospettive, se non quella di sostenere la nuova rivoluzione industriale e «prima pensare ai soldi, poi a cambiare il mondo». Il pezzo analizza queste problematiche senza celarne il carattere più inquietante, ma presenta anche una vena teatrale e comica che emerge grazie alla collaborazione con Elio. Il cantautore interviene nell’ultima sezione nelle vesti di un lavoratore sessantenne che, dopo aver rincorso per tutta la vita l’idea di un contratto a tempo indeterminato, si rivolge per l’ennesima volta al capo delle risorse umane: ecco che comprendiamo i versi che compongono il ritornello, ovvero la risposta alla sua richiesta e a quella di chiunque cerchi un modello alternativo di vita che esca dagli schemi socio-economici del capitalismo («Ah-ah-ah, che ridere, che ridere che ci fai fare/ Non scendi a compromessi, cosa ci vuoi dimostrare/ Fai pure l'hippie, pure il Gandhi, pure l'eremita/ Ma fai qualcosa, produci, consuma e falla finita»). 


Tutt’altro si può dire del brano seguente, Terra, concepito come un’appassionata dichiarazione d’amore e una disperata richiesta di perdono al pianeta. Qui ad emergere sono la presa di coscienza di un rapporto uomo-natura ormai spezzato e la ricerca di una possibile ricostruzione, suggerita dall’anafora di “come si fa” che compare due volte per ogni blocco strofico. Questo tema, tuttavia, si sviluppa in modo insolito mediante la metafora della donna-terra amata: «Ti ho data per scontata però/ Sono un povero stupido, lo so/ Come si fa a far tornare un fiore/ Adesso come si fa a placare il mare» (2). 

Un ulteriore cambio di passo si ha con uno dei pezzi più sconvolgenti del disco, non solo lucida e feroce critica al capitalismo e al modello di crescita infinita da esso proposto, ma anche e soprattutto critica che nasce dalla voce dei più piccoli, rappresentata dai bambini del Coro dell’Antoniano: viene messa così in luce la correlazione tra la crescita individuale e la crescita tecnologica ed economica a cui punta il mondo in cui veniamo inseriti e per il quale veniamo formati.

Piccolo Coro dell'Antoniano, foto di Guizzardi Umberto

Filastrocca per grandi mette in guardia noi adulti che «una casa che per non cadere debba continuare a crescere» non deve essere la nostra casa e che «crescere per crescere è una trappola» (3). L’idea conclusiva della circolarità come unica prospettiva di salvezza («Il futuro è circolare, guardati indietro se vuoi arrivare») trova una relazione diretta con la struttura formale del brano, che presuppone un ascolto in loop per unire l’ultimo verso a quello iniziale. È in questo pezzo, inoltre, che prende significativamente avvio una delle riflessioni più importanti proposte dal disco, quella sul tema del vuoto, già presente dalla prima canzone nella sua assenza: il vuoto come libertà di essere e di pensare, possibilità di dedicarci a noi stessi e alla nostra salute fisica e mentale, spazio per disegnare il nostro futuro («Qualcuno ci ridia la noia che non si può inventare senza»). Che cosa siamo, senza il vuoto, se non macchine per la produzione e il consumo i cui ritmi di lavoro non fanno e non faranno che aumentare in funzione di quella stessa produttività che ne determina il valore?

Questo amor vacui trova il proprio culmine espressivo in Libero, in tal senso anch’essa canzone d’amore, che suggerisce la possibilità di fermare quel meccanismo frenetico ed ultracapitalista che ci attanaglia per ritrovare noi stessi e costruire la nostra libertà: «Non è vero che non esiste/ Chi sta fermo e immobile/ Non ho bisogno di fare niente/ E mi sento libero». 

A sviluppare quest’idea in modo forse ancora più suggestivo è Nuvola. Qui non solo si dissolve quel produrre compulsivo che rende macchine, ma anche la nostra stessa forma, intesa come gabbia dell’identità personale e del ruolo sociale in cui ognuno di noi si trova rinchiuso. Ciò che rimane è una nuvola, del vapore trasparente, il vento, la possibilità di disperderci in mille pezzi, di essere presenti ovunque e da nessuna parte, per «capire che dal nulla si nasce e nel nulla si arriva/ Si continua a cambiare». L’essere umano è in continuo divenire ed è sempre più cose contemporaneamente, nonostante il suo costante tentativo, mosso da una pressione sociale, di definirsi a livello personale e professionale per trovare la propria identità, funzione e utilità: libertà, allora, è anche quella del vento che abbatte le mura di queste categorie e riscopre lo straordinario potere che si nasconde nel non stabilire quale sia il nostro posto nel mondo. «Vorrei essere nudo, non vestirmi di niente/ E ritornare l'ultima parte di tutto/ E non finire più» (4). 


Plot Twist è invece un’esortazione a confrontare le proprie idee, abitudini e conoscenze con ciò che è altro ed essere quella nota da cui può avere inizio una melodia diversa, un cambio di paradigma («dammi il la per cambiare idea» (5) ). Tale voce sarà quindi dissonante rispetto al coro: il brano, infatti, pone l’accento sulla pericolosità di assorbire inconsapevolmente le opinioni degli altri, di agire per abitudine, di scegliere automaticamente uno schieramento a cui conformarsi, e sulla necessità invece di imparare ad accendere la fiamma del proprio pensiero. In questo senso si pone in continuità con Perfetto Uniformato, uscita nel 2013 in Ep Urrà. Qui il gruppo vestiva i panni di chi sostiene di essere «il frutto del corso naturale» e si abbandona totalmente ad esso («E per fortuna non sono un deficiente sociale, mi so molto bene uniformare»), sottolineando come la serenità che deriva da questa scelta non sia altro che un chiudere gli occhi sulla realtà che ci circonda («E sto molto meglio da quando sto dormendo, sto ancora meglio quando sto dormendo» (6) ). La stessa metafora del dormire, peraltro, compare anche in Plot Twist: «Ma tu che pensi di diverso, almeno tu nell'universo/Non chiudere gli occhi, non andare a letto» (7). 

Prima del pezzo finale e dopo Giornalaio, rappresentazione in chiave ironica di un giornalaio che vuole «tirare le testate alla gente» (8) e denuncia di un giornalismo che non dà il giusto peso alle parole, compare Umano. Sebbene emerga a livello musicale come lettera all’essere umano dal tono allegro e scherzoso, il pezzo esprime l’amara verità di chi è da sempre convinto di appartenere alla specie più forte e fortunata, destinata a dominare il mondo in eterno, quando in realtà «appassiscono i fiori, mordi gli ultimi frutti/ Siamo piccoli soli che bruceranno tutti/ Dovremmo frenare ma stiamo accelerando/ Te lo dico mentre rido, ma non sto scherzando» (9). 


La tappa conclusiva di questo percorso, in cui si ha il compimento di tutte le precedenti, è Utopia, che dà voce alla speranza in una reale trasformazione della vita comune verso un futuro abitabile dall’umanità. Una visione, appunto, utopica, ma certamente condivisa da tanti, e sono proprio l’unione, la cooperazione e la potenza delle relazioni a costituire la dimensione in cui potrà essere raggiunto un risultato che non è la vittoria del singolo ma della collettività, dell’umanità intera. 
Qui il riferimento è a quelle leggi che gli scienziati chiamano "proprietà emergenti" e che spiegano ciò che avviene in un sistema complesso, laddove dall’interazione fra le singole componenti scaturiscono proprietà che sono superiori alla semplice somma delle componenti stesse: per questo le capacità sviluppate da un organismo saranno sempre maggiori di quelle delle cellule che lo compongono, quelle di una cellula superiori a quelle delle molecole, quelle di una molecola superiori a quelle degli atomi. La prospettiva individualista con cui leggiamo il mondo viene così rovesciata da una folle operazione matematica: «zero più zero più zero più zero alla fine fa uno»
Le parole che chiudono il cerchio, «riemergi ancora utopia» (10), forse non chiudono davvero, ma anzi si aprono ad un nuovo percorso che, dopo la presa di coscienza e il crollo della propria apparente normalità, porti al bene che potrà essere. E questo avverrà proprio con il respiro dell’utopia, con uno spirito che dia profondità alla nostra prospettiva sul tempo storico, con la capacità di aspirare ad una meta ancora latente, opponendoci all’inclinazione di un’epoca fortemente anti utopica, depressa e pervasa dalla tendenza alla disgregazione.  

Copertina dell'album Amore e rivoluzione

Amore e Rivoluzione è un urlo all’umanità a cui mi auguro che questo articolo possa fare eco. La nostra accettazione, il nostro scendere a compromessi, la nostra passività non dovrebbero mai dimenticare quella soglia dei diritti umani che pure già da tempo è stata varcata. Stiamo vivendo un’emergenza globale i cui effetti hanno già causato e causano ogni giorno sotto i nostri occhi morti, migrazioni forzate, conflitti, mancanza di acqua potabile, impatti sulla produzione agricola e innumerevoli altri disastri umanitari e sociali che sono sul punto di riguardarci in prima persona e a cui non possiamo non rivolgere il nostro pensiero e le nostre azioni. È quanto mai indispensabile oggi compiere un simile percorso interiore per acquisire una visione sistemica che disegni un mondo in cui la corsa allo sviluppo, alla ricchezza e al potere di pochissimi sulla pelle di tutti gli altri non sia ammissibile. Solo così si apre il futuro, solo se manteniamo la nostra utopia e scegliamo di agire in funzione di essa. 

Note:
(1) Da "Quarta rivoluzione industriale"
(2) Da "Terra"
(3) Da "Filastrocca per grandi"
(4) Da "Nuvola"
(5) Da "Plot twist"
(6) Da "Perfetto uniformato"
(7) Vedi nota 5
(8) Da "Giornalaio"
(9) Da "Umano"
(10) Da "Utopia"

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