Di Nicole Mazzucato
Yorgos Lanthimos è un regista e sceneggiatore greco, salito alla ribalta per i suoi film non convenzionali e surrealisti. La sua poetica è particolare e risalta nei vari generi da lui scelti nelle sue varie pellicole. L’ultima, e forse la più famosa è La favorita lungometraggio del 2018, nominato a 10 Oscar e vincitore nella categoria di miglior attrice protagonista con l’interpretazione straordinaria di Olivia Colman nel ruolo della regina Anna. Ma cosa rende le opere di Lanthimos così particolari e a volte, anche così fortemente criticate? Prenderò in esame brevemente qualche suo lavoro, per dipingere un quadro organico del suo cinema e del suo modo di ritrarre l’intimità e le profondità più oscure della
realtà, e non solo.
1. Dogtooth (2009)
Fonte: Lucky Red |
Non si può non iniziare da Dogtooth, pellicola del 2009 candidato agli Oscar per miglior film straniero. La trama è apparentemente molto semplice, ma sprigiona inquietudine nella sua brevità: i genitori di una ricca famiglia recludono i loro tre figli nella casa – villa di loro proprietà, educandoli ad uno stile di vita basato sulla privazione di stimoli dalla realtà esterna, quali televisione, media, e rapporti personali. La fine della loro prigionia è fissata alla caduta di entrambi i canini dei ragazzi, che segnerà la loro entrata nell’età adulta. Il film è costellato da momenti surreali, a tratti orrifici: gli adolescenti esplorano il giardino, i propri corpi, interrogano l’unica donna ammessa dalla “realtà” nel loro mondo reale, fino alla decisione da parte dei genitori del totale isolamento dei figli.
Il regista (tecnica che utilizza in tutte le sue pellicole tende a utilizzare inquadrature tagliate, asfissianti, fissare la camera in angoli che rendano la scena straniante, capovolta nella sua percezione. Lo spettatore si sente partecipe della mancanza di “vita” e di “spazio” provata dai ragazzi, proiettando un enorme rabbia nei confronti dell’operato dei genitori. Da un’iniziale comprensione, Lanthimos fornisce uno sguardo non neutro alla vicenda, straniato dall’ambiente narrato ma paradossalmente ne immerge e penetra il pensiero dello spettatore.
Il regista (tecnica che utilizza in tutte le sue pellicole tende a utilizzare inquadrature tagliate, asfissianti, fissare la camera in angoli che rendano la scena straniante, capovolta nella sua percezione. Lo spettatore si sente partecipe della mancanza di “vita” e di “spazio” provata dai ragazzi, proiettando un enorme rabbia nei confronti dell’operato dei genitori. Da un’iniziale comprensione, Lanthimos fornisce uno sguardo non neutro alla vicenda, straniato dall’ambiente narrato ma paradossalmente ne immerge e penetra il pensiero dello spettatore.
2. The Lobster (2015)
Fonte: Good Films |
Non racconterò molto altro: il film si svolge tra interni soffocanti, sfumature umane di ogni genere; vengono, inoltre, ritratti i desideri più profondi dell’uomo e del suo desiderio di non rimanere solo. Un desiderio che a volte porta anche all’abbandono.
3. Il sacrificio del cervo sacro (2017)
Fonte: Lucky Red |
Un discorso a parte (e forse anche più prolisso) merita Il sacrificio del cervo sacro, pellicola del 2017, candidato alla palma d’oro a Cannes e vincitore di numerosi premi. Il film è costruito secondo lo schema del mito greco, in particolare del sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone che accetta di essere sacrificata, affinché la dea Artemide faccia cambiare il vento per la partenza delle navi; al momento del sacrificio, Ifigenia scompare, e al suo posto compare una cerva. Ifigenia, dunque, diventa simbolo di devozione e di virtù disposta a sacrificare anche la propria vita per i più alti valori.
Dopo questa breve premessa, è doveroso aggiungere che il lungometraggio è difficile da interpretare e da spiegare in maniera lineare e coerente: il finale aperto e l’elemento mistico – teoretico e mitico dei personaggi, ne nega un’interpretazione univoca. Infatti, uno dei maggiori fattori, la adduco come ipotesi, di lontananza del pubblico dai film di Lanthimos è proprio la difficoltà interpretativa. Il regista greco utilizza simboli, complesse ambientazioni in una trama semplice e apparentemente banale; non è l’unico nel cinema contemporaneo, basti pensare ai danesi Von Trier e Refn, al più vicino americano Eggers. Pellicole che richiedono un impegno da parte degli spettatori, un impegno che non vuole più essere preso.
Ritornando al lungometraggio: protagonista è una famiglia composta da Steven Murphy (Colin Farrell) stimato cardiochirurgo, la moglie Anna (Nicole Kidman) e i figli Kim e Bob.
Si apprende nel corso della vicenda che per un errore in sala chirurgica, durante un periodo di ricaduta nell’alcolismo, Murphy aveva portato alla morte il padre di un ragazzo, Martin (Barry Keoghan). L’adolescente incontra e richiede attenzioni paterne da Murphy, fino ad entrare nella vita privata e nella casa della famiglia Murphy.
Martin è il centro simbolico dell’intera pellicola: la sua presenza porta al rovesciamento dell’equilibrio della famiglia. Strani comportamenti, a partire dai figli, si manifestano giorno dopo giorno: Bob, il giovane figlio, inspiegabilmente non riesce più a camminare, rifiuta il cibo e ogni cura. Similmente succederà alla figlia Kim, innamorata di Martin. Steven, si interroga se tutto sia o meno parte di un piano di Martin o di una maledizione che sta colpendo l’intera famiglia.
Martin rivela a Steven che l’unico modo per salvare la sua famiglia è ucciderne un membro, per riequilibrare “la bilancia” della morte: se il chirurgo gli ha tolto il padre, ora lui deve togliergli parte della famiglia.
È qui utile sottolineare che le pellicole di Lanthimos non si svolgono su una temporalità lineare: in questo caso, molti dettagli essenziali vengono rivelati in coda di film, creando quindi un reale orizzonte di attesa nello spettatore. Tutto l’intreccio si svolge nel pieno mistero e assenza di informazioni che devono essere ricostruire, intuite o rimangono inspiegabili. È un film crudo, violento e asetticamente misterico.
4. La favorita (2018)
Fonte: Fox Searchlight Pictures |
Lanthimos, in La favorita, pellicola del 2018, inserisce la sua impronta espressionista e surrealista nel genere storico. La vicenda è ambientata nel 1708, durante il regno della regina Anna di Gran Bretagna (Olivia Colman) che si disinteressa del potere e delle guerre nel continente europeo, ritirandosi a giocare con i propri animali e abbuffarsi di dolci. Lo scettro regale è in mano a Sarah Churchill (Rachel Weisz), responsabile delle finanze regali e consigliera della regina, che a sua volta trama con il primo ministro Sidney Godolphin. Alla corte arriva Abigail Hill (Emma Stone) cugina di Sarah, la quale da sguattera si ingrazia il favore della regina, dopo aver lenito la gotta, malattia che affliggeva la sovrana. Sarah gelosa del rapporto di Abigail con la regina Anna, visto anche la vicinanza intima e amorosa, scopre l’avvicinamento, poi, del nemico Harley alla cugina. Da questo momento, seguono numerose peripezie e giochi di potere tra Sarah e Abigail in un complesso intreccio politico e cortigiano.
Le protagoniste della pellicola sono tre donne alla ricerca di diversi obiettivi, le cui strade si intrecciano in modo pericoloso e affascinante, contro ogni retorica maschile. Se da una parte, gli uomini del potere vengono ridotti a pure marionette dall’astuzia delle donne, le donne non vengono sottratte alla misoginia degli omuncoli. L’aspetto innovativo della pellicola giace proprio in questo cortocircuito: la storia ha sempre rilevato il successo degli uomini nel perseguire il sogno del potere, qui invece si svela la loro ridicolezza di fronte a donne non da loro controllabili e subordinabili. Sarah e Abigail, in questo senso, concentrano e convergono su loro stesse, il potere così sicuro e inamovibile dei ministri, in verità non protagonisti ma pedine nel gioco patrio.
5. Nimic (2019)
In questo breve viaggio nella poetica di Lanthimos, è d’obbligo inserire Nimic, cortometraggio del 2019. Questi brevi e intensi 12 minuti riassumono l’intera pensiero del regista greco, in un’atmosfera ansiogena e depersonalizzante. Il protagonista, un violoncellista chiamato il “padre” incontra in metropolitana una donna (“il mimo”).
Nell’unica battuta ripetuta, “mi scusi, ha il tempo?”, si incardina il rovesciamento dei ruoli. La donna prende, infatti, il posto dell’uomo nella sua famiglia, imitando la sua routine, la quotidianità e il suo stesso mestiere. Una cosa simile accadrà all’uomo con un ragazzo, sempre in metropolitana, che gli domanderà “mi scusi, signore, ha il tempo?”. Questo rovesciamento di ruoli, di mimi che si sottraggono alla loro vita e ne abbracciano un’altra, è incorniciato da inquadrature ansiogene, primi piani tagliati senza vie di fuga, ambienti inquadrati da punti stranianti (angoli, soffitti). Persone, mimi che si muovono al passo di una musica non armonica, ripetitiva e stridente.
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