Herzog: verso l'estremo

Di Luca Martinelli

Werner Herzog compie oggi 80 anni. È un piccolo dovere celebrare l’opera di uno degli ultimi “mostri sacri” del passato attraverso un viaggio nella sua personalissima poetica.

Foto di Robin Holland

Centrale è in ogni suo film il raggiungimento e superamento di una soglia estrema. È però inevitabile, nel pensiero del regista tedesco, che quella soglia estrema, una volta varcata, conduca l’uomo verso il fallimento o l’autoannientamento. Herzog considera l’uomo come Dante considerò Ulisse: folle, dunque condannato verso l’inferno. Ma come per Ulisse il viaggio era condizione necessaria alla vita, l’uomo di Herzog non sa rinunciare al superamento della soglia sacra. Inutile è fare la distinzione tra documentari e cinema di finzione: il cineasta tedesco supera questa dicotomia per volerci portare là dove nessuno ha mai osato. Lo fa nel modo più fisico in cui possiamo pensarlo: sono innumerevoli gli aneddoti riguardanti le vicende produttive dei film di Herzog o la sua stessa vita personale. Lo fa attraverso l’arte, portandoci in tempi e luoghi a noi sconosciuti. 

Questa condizione prettamente umana Herzog la spiega bene nella scena finale del suo documentario forse più riuscito, Apocalisse nel deserto. In questo documentario viene descritta la ritirata dei soldati iracheni dopo l’invasione del Kuwait, e i conseguenti incendi dolosi scatenati dal petrolio (i soldati di Saddam volevano evitare qualsiasi guadagno occidentale legato all’oro nero). Un uomo lancia una fiaccola su un pozzo appena spento a fatica: è forse necessario all’uomo un male, un nemico da estirpare, una soglia da valicare, per l’autorealizzazione di sé? È forse impensabile una vita senza quella fiamma da spegnere?
Immagine dal film Apocalisse nel deserto

Un’altra lezione di Herzog è la continua dialettica tra naturalismo e antinaturalismo: la troviamo nella recitazione degli attori, quasi sempre non professionisti, come Bruno S., scoperto dalla “strada” da Herzog, il quale immediatamente dopo un incontro “mitico” recita in L’enigma di Kaspar Hauser e Stroszek. Nelle pellicole troviamo dei temi comuni: l’emarginazione, la follia, l’incomunicabilità tra uomo e uomo, la fuga come unico modo di resistere alle pressioni del mondo. È incredibile come Bruno S. interpreti i personaggi di Hauser e di Stroszek come se interpretasse sé stesso: la sua è una sorta di recita di sé stesso in terza persona. Ciò è individuabile anche dal fatto che ogni frase interpretata dall’attore è in terza persona singolare. Cosa che strania completamente gli spettatori, perché la recitazione risulta paradossalmente antinaturalistica. 
Come antinaturalistica, del resto, è la recitazione di Cuore di vetro: Herzog fa ipnotizzare tutti gli attori prima delle riprese. Il risultato è completamente allucinato, in perfetta sintonia con la psichedelia delle immagini che Herzog propone e con il tema finale del film (ancora l’impresa folle: in questo caso nel finale troviamo degli uomini pronti a mettere in dubbio la piattezza della Terra con dei mezzi di fortuna. Impresa di cui noi spettatori non sapremo l’esito).

Scena dal film Cuore di vetro

Ma la dialettica naturalismo-antinaturalismo raggiunge la sua vetta più alta in Aguirre, furore di Dio: la recitazione di Klaus Kinski -altro attore feticcio per Herzog- è incredibilmente sopra le righe, quasi a svettare su tutti gli altri personaggi del film. Talmente sopra le righe da sembrare innaturale, se non fosse presente la natura stessa come componente attoriale nel film, forza in grado di perturbare il destino degli uomini attraverso le sue infinite insidie. Aguirre, dopo le numerose imprese, è costretto alla follia, alla psicosi, alla parola priva di significato e dotata solo di significante: solo la natura può dominare la terra. Solo la natura può essere naturale, l’essere umano risulta fuori luogo

Scena da Aguirre, furore di Dio

Ma ecco invece un altro filone dei film di Herzog, dove il regista vuole mostrarci uomini che al contrario resistono nella loro perfetta sincronia con la natura: è il caso di un documentario quasi dimenticato, La soulfrière
Le vicende produttive del film sono quantomeno assurde: il regista tedesco e la sua troupe decidono di filmare l’eruzione della Grand Soulfriere (n.d.R: uno stratovulcano attivo) nonostante gli esperti abbiano dato per certa un’eruzione catastrofica e abbiano fatto evacuare tutta l’isola della Guadalupa. Herzog si arrampica insieme alla sua troupe vicino ad esso: mostra la sua attività in pieno fermento e le difficoltà dovute ai gas tossici. Nella discesa, si ferma a dialogare con l’unico contadino rimasto sull’isola: egli si affida a Dio e al destino, sapendo di andare incontro a morte certa se il vulcano dovesse esplodere. Provvidenzialmente, ciò non accade. Herzog inserisce a fine film una scritta in sovrimpressione: «(…) le riprese hanno assunto un aspetto patetico, e così è finito in un nullo di fatto e nel ridicolo più completo (…)». Chi è che ha oltrepassato la soglia? Colui che è andato come un nomade munito solo di una semplice piccola camera o colui che sfidando gli ordini degli uomini ha deciso di rimanere accettando ogni tipo di destino?


Da questo breve documentario possiamo dedurre che la filosofia che Herzog, applicata ai suoi personaggi di finzione, vale anche per sé stesso: è necessario oltrepassare una soglia sacra per essere uomini. Ed è necessario fallire per essere uomini
Una soglia che solitamente deve essere varcata attraverso un cammino: nel libro Sentieri nel ghiaccio Herzog descrive il suo cammino per incontrare un’ultima volta Lotte Eisner, sua amica ed importante critica cinematografica tedesca, in procinto di morire. Herzog rifiuta i mezzi di locomozione e decide di camminare verso Parigi (dove la Eisner risiedeva). La troverà fuori pericolo. Una cosa interessante è che Herzog sceglie di camminare in linea retta: la linea retta geometricamente esclude, se guardiamo un piano immaginario, la possibilità di ostacoli. È il tracciato più breve da un punto a un punto. È forse per questo che nella mente del folle -come non definire così un uomo che mangiò in diretta TV le proprie scarpe?- non vi fu spazio per il fallimento? La linea più semplice, quella tracciata dal bambino, è l’unica possibilità per sfidare il destino?

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