Come sarebbe "The Vampire Diaries" se fosse prodotto da Netflix? Un'indagine su come cambiano le serie tv
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Di Laura Astarita
The Vampire Diaries - post promozionale
Siamo nel 2012: è pomeriggio, torniamo a casa dopo scuola, accendiamo la TV e vediamo la pubblicità di Italia Uno che annuncia "The Vampire Diaries, questa sera in prima serata..." con il bollino rosso. Il resto del pomeriggio verrà impiegato nel contrattare con mamma e papà la possibilità di vedere uno show non adatto ai minori, quella sera, ma alla fine ce la faremo: sono le 21:00 e finalmente possiamo continuare il telefilm dove ci eravamo fermati la scorsa settimana. Quale fidanzato vampiro sceglierà la bella e dolce Elena? Il buon Stefan, che lotta ogni giorno contro la sua natura di mostro per conservare l'umanità che è rimasta in lui, o l'oscuro e passionale Damon, suo fratello che ha fatto dell'essere vampiri uno stile di vita? Noi tifiamo sicuramente per uno dei due, infatti leggiamo e scriviamo fanfiction cercando di dare una forma concreta ai nostri folli, amorosi headcanon. Ormai è mezzanotte passata: l'episodio è finito, noi domattina dobbiamo tornare a scuola, perciò spegniamo la tv e andiamo a letto. Il giorno dopo a scuola scopriremo da qualche collega particolarmente nerd che in America sono già uscite tutte le stagioni e noi potremmo guardarle piratamente, se volessimo, su piratestream.com o altri siti stranieri che ci linkerà su MSN. L'unica pecca: dovremo vederla in Inglese coi sottotitoli in Russo, purtroppo... ma non è una tragedia! Non stiamo nella pelle e vogliamo vedere come va a finire, saremmo disposti a tutto per farlo! Torniamo a casa e, mentre scarichiamo sul computer gli episodi che ci vedremo questa sera prima di andare a letto, facciamo i compiti. Tutto va bene.
Siamo nel 2022: sono le 2 del pomeriggio, l'adolescente di oggi torna da scuola, si prepara il pranzo e va a mettersi davanti alla tv. Accende Netflix: ci sono centinaia di migliaia di titoli a sua disposizione, non fa in tempo a sceglierne uno che ha già finito di mangiare tutto quello che aveva nel piatto. Allora l'adolescente decide di compiere prima il dovere e poi il piacere: va a lavare i piatti, mette a posto la cucina. Sono ormai le 14:40... forse dovrebbe mettersi a studiare. Decide perciò di andare in camera sua e fa i compiti. In una pausa tra un paragrafo di storia e un esercizio di matematica, guarda lo smartphone e vede su una pagina o una storia di Instagram qualcuno che parla della nuova serie di Netflix: First Kill. L'adolescente s'incuriosisce e legge la trama dal catalogo di Netflix: forse è perché è interessatə alla rappresentazione della comunità LGBTQ+ nei fantasy, forse perché prova attrattività verso il tema dei vampiri, o forse perché anche ləi a scuola sta vivendo un piccolo teen drama e crede che si sentirà rappresentatə da una storia d'amore impossibile come quella tra un mostro e un cacciatore di mostri. Una cosa è certa: qualcosa di questo contenuto è estremamente attraente. Prima, però, sa che può finire i compiti: tanto First Kill non va da nessuna parte, può tranquillamente iniziarlo dopo aver finito di studiare, può perfino aspettare domani, nel caso faccia tardi. Non c'è fretta, non c'è urgenza.
L'arrivo della piattaforma on-demand più famosa e più utilizzata al mondo, Netflix, ha completamente cambiato il nostro modo di fruire delle serie tv, e perciò anche i contenuti si sono dovuti adeguare anche dal punto di vista della scrittura seriale.
La struttura: serialità di ieri vs serialità di oggi
Oggigiorno le serie tv ora non vengono più pensate per essere trasmesse in tv: non necessitano più della struttura tradizionale che, d'ora in poi, chiamerò la Struttura "Ghost Whisperer". Ghost Whisperer è infatti la serie che, per eccellenza, si adegua alla trasmissione in televisione, per diversi motivi. Prima di tutto, il numero di episodi: sono tantissimi, in modo da poter essere trasmessi a coppie di due ogni sera all'ora di cena. Secondariamente: l'autonomia di ciascun episodio. All'inizio di ogni singolo episodio, prima dell'inizio della sigla, vi è infatti un recap della protagonista: "Mi chiamo Melinda Gordon, sono sposata, abito in una piccola città, ho un piccolo negozio di antiquariato. Sono una persona come voi, a parte il fatto che fin da bambina ho scoperto di poter parlare con i morti..." eccetera. Quindi, anche se la serie trasmessa in tv è già arrivata alla seconda stagione, chi guarderà la serie non avrà la necessità di riguardarsi il telefilm fin dall'inizio perché verrà già messo al corrente della trama del telefilm nei primi 40 secondi di opening. Poi: ogni episodio ha una storia autonoma, ogni episodio ha il suo "fantasma da far passare oltre", così da inserire nell'episodio una piccola nuova storia autonoma col suo massimo picco narrativo (dove puntualmente si può mandare la pubblicità senza rischiare che l'utente cambi canale). Al tempo stesso però, l'autore semina anche degli elementi di continuità per delineare una trama che possa incuriosire lo spettatore a continuare la visione. Tuttavia, il rapporto deve essere 75% storia originale e 25% elementi di continuità: la percentuale della storia sulla continuità, inoltre, aumenta con l'avvicinarsi del finale di stagione per dare l'impressione allo spettatore che il cerchio narrativo si stia chiudendo, per poi illuderlo e spezzarlo con un cliffhanger la cui tensione permetterà allo spettatore di riprendere la visione della serie anche perfino dopo un lungo hiatus. Alcune serie tv come Sherlock della BBCsono sopravvissute, ad esempio, a ben 3 anni di hiatus grazie, in particolare, ai cliffhanger della seconda e terza stagione.
Tutto questo, con Netflix, non è necessario: il numero degli episodi diminuisce drasticamente, la linea di narrazione si semplifica rinunciando alla serialità tipica delle serie poliziesche e privilegiando la continuità per mostrare la crescita di un protagonista o la maturazione di una situazione. Questo stile di narrazione era già stata iniziata da piattaforme come Sky molto prima, certo, ma il livello di decrescita della tensione narrativa all'interno del singolo episodio è tale, nelle ultime serie Netflix, da banalizzare il contenuto dell'intera serie: alla fine, molte delle nuove serie funzionerebbero benissimo come film, anche se un po' più lunghi. La suddivisione in episodi, tuttavia, dà la possibilità al prodotto di espandersi in più stagioni e agevola la fruizione del contenuto in sé, dando la possibilità allo spettatore di dividere in "tappe" la visione.
La tematica e la trama
Nelle serie tv di Netflix la tematica, spesso, è oggetto di maggiore attenzione da parte degli autori rispetto rispetto alla trama in sé. Prendendo di nuovo il paragone tra The Vampire Diaries e First Kill: il soggetto delle due serie è molto simile. In entrambi i casi si prevede una storia d'amore adolescenziale tra un'umana e un vampiro, ovviamente contrastata, e ambientata in un liceo e in un mondo che ammette l'esistenza del soprannaturale tutto da scoprire. Solo che, mentre nel primo caso è evidente che l'ambientazione gotica della fittizia cittadina di Mystic Fallsè curata nel minimo dettaglio ed ha effettivamente un ruolo all'interno della trama (la storia delle famiglie fondatrici, la presenza di una cripta piena di vampiri essiccati, la casa stregata abitata dalle streghe che sono state giustiziate nell'Ottocento... sono tutti elementi che ritornano e che evolvono nel corso delle 8 stagioni), in First Kill questa è palesemente un pretesto per una storia d'amore tra due teenager omosessuali.
Questo perché per gli autori, probabilmente, era molto più importante che gli adolescenti nel pubblico si sentissero rappresentati da una storia d'amore alla Romeo e Giulietta che non lascia alcun margine di interpretazione: una coppia lesbica, interraziale e soprattutto Vampiro/Cacciatrice di Vampiri. Ovviamente, il loro rapporto è ostacolato dalla famiglia: la serie tv intende incoraggiare gli adolescenti che si sentono in una relazione impossibile, ostacolata dai valori familiari. Il risultato, però, è che la serie tv ha rappresentato un fiasco: Netflix ha deciso di cancellare la prima stagione e non produrre una seconda. Per molti è stata una polemica, ritenendo il gesto di Netflix un trattamento omofobo. Tuttavia, si può spezzare una lancia a favore del gigante dello streaming riconoscendo che oggettivamente uno show basato su una tematica, senza un soggetto interessante e potenzialmente atto ad uno sviluppo interessante, non funziona, indipendentemente dagli ideali giusti e sacrosanti di cui si porta ambasciatore.
First Kill - Netflix
La più grande differenza tra First Kill e The Vampire Diaries, infatti, non è l'orientamento sessuale della coppia protagonista, ma la qualità dell'impronta che la love story ha sulla trama in generale. La storia d'amore tra i protagonisti fa parte di una cornice più ampia e più complessa: le serie Netflix, infatti, sono prevalentemente protagonista-centriche, cioè mettono in primo piano le vicende di un individuo per poi ritagliare un pezzetto di miserabile minutaggio destinato ai personaggi secondari. Show come The Vampire Diaries, Glee, Game of Thrones, sono invece show plurifocali, che danno respiro allo sviluppo di più personaggi in pari proporzione a quello del protagonista.
A riprova della scarsa rilevanza che il triangolo amoroso Stefan-Elena-Damon ha sul plot di The Vampire Diaries, vi faccio notare che, a partire dalla settima stagione, la protagonista, Elena (Nina Dobrev), lascia la serie, per poi tornare soltanto nel finale dell'ultima stagione. Ad ora, l'unico show di Netflix sopravvissuto alla dipartita di uno dei protagonisti è Bridgerton, e solo perché, appunto, è una serie tv che mantiene una pluralità focale tesa a svilupparsi nel corso delle stagioni successive. E come Bridgerton, The Vampire Diaries usa questo nuovo spazio "guadagnato" dalla fuoriuscita di Elena Gilbert per occuparsi di ricucire i rapporti lasciati in sospeso: quello tra i fratelli Salvatore diventa il nucleo principale della trama, trasformando lo show in una sorta di Supernatural coi canini lunghi, ma anche sviluppando la storyline di personaggi come Bonnie ed Enzo, del triangolo relazionale Stefan-Caroline-Alaric e preparando il terreno per dire addio allo spettatore e l'ultima supersfida finale. In sostanza, la storia continua a funzionare ugualmente, soddisfando le aspettative e dando lo spazio ad altri personaggi e altri nuclei che nel frattempo sono rimasti in sospeso. Non solo: vengono anche creati uno spin off e un sequel, cosa che, per il suo scarso potenziale narrativo, per ora nessuna serie di successo Netflix ha avuto la necessità di garantire ai suoi fan.
Il politically correct
Gli show di Netflix, abbiamo visto, sono potenti veicolatori di messaggi: specialmente le serie americane, ultimamente, si stanno sbracciando per mostrare inclusività e transfemminismo nei loro prodotti. Molti sono gli show "mediocri" che tuttavia diventano passabili solo perché si rendono "vetrina" di un Occidente utopico, inesistente, dove razzismo e omofobia non esistono. Bridgerton e l'adattamento del romanzo di Jane Austen Persuasione, ad esempio, piegano tutte le verità storiche per mostrare un'Inghilterra vittoriana utopica dove gli inglesi neri o mediorientali venivano considerati al pari di quelli caucasici. Non ho mai... è un banalissimo teen drama, che tuttavia fa dell'identità indio-americana della protagonista la sua più grande forza.
In show come The Vampire Diaries, prodotti all'inizio del 2010, si può vedere come si inizino i primi, timidi passi verso un'ottica più inclusiva, senza tuttavia riuscirci. Lo show infatti è stato accusato di razzismo su YouTube per il trattamento riservato all'unico personaggio nero della serie: Bonnie (Kat Graham).
Bonnie è una strega, e in quanto tale è al servizio di tutte le creature soprannaturali: vampiri, lupi mannari... tutti, naturalmente, bianchi. Nonostante Bonnie sia una persona estremamente generosa e faccia tutto quello che le viene chiesto, a costo di morire per la troppa magia utilizzata, il fatto che lo faccia per amore dei suoi amici e del suo ragazzo bianco è stato interpretato dalla comunità black come una ricostruzione della dinamica ottocentesca del servo fedele che, sinceramente affezionato al signore che gli permetteva di lavorare, giustificava il maltrattamento subito dicendo: "io amo il mio padrone", come Mami di Via col vento. E a questo proposito, ad aggiungere benzina al fuoco, è stata un'intera puntata dedicata al film Gone with the wind.
All'epoca, nel 2013, quando uscì l'episodio, tuttavia, le polemiche non furono così aspre: quelle appena elencate sono tutte critiche retroattive, dovute all'effetto "Netflix" degli ultimi anni. All'epoca, nessuno, nemmeno la comunità black, fece troppo caso alla discriminazione: anzi, Bonnie venne vista come un'icona di estremo potere, perché obiettivamente considerata come il personaggio che era in grado di risolvere tutti i problemi grazie alla sua potentissima magia.
Un altro aspetto su cui probabilmente il pubblico Netflix non avrebbe tergiversato sarebbe stato l'asservimento di Elena. Piccolo spoiler sulla serie: quando Elena diventa un vampiro, trasformata dal sangue di Damon, improvvisamente capisce di essere più innamorata di Damon che di Stefan. I due vanno a letto insieme, per poi scoprire solo dopo che in realtà Elena era asservita a Damon: cioè, era costretta, inconsciamente, ad obbedire agli ordini del vampiro il cui sangue l'aveva trasformata.
Se questa scena fosse stata girata nel 2022, la reazione collettiva sarebbe stata, più o meno, come quando di recente è stata sollevata la polemica per la scena in Bridgerton dove Daphne costringe suo marito, Simon, a eiacularle dentro, rischiando di metterla incinta: "Damon l'ha stuprata!! Elena non era consenziente!" Infatti, lo stesso Damon avverte un potente scrupolo dopo averlo scoperto, e teme proprio che Elena non ricambi il suo amore e si sia, invece, concessa contro la sua volontà. Eppure, questo nel 2014, quando uscì l'episodio, non fece minimamente scalpore: anzi, la maggior parte del pubblico si schierò dalla parte di Damon e Elena, piuttosto che da quella del povero Stefan. In seguito, infatti, quando si spezza il legame di asservimento, Damon comprende che effettivamente Elena lo ha amato davvero anche prima della trasformazione in vampira: ecco perché era rimasta asservita, perché provava già un forte sentimento nei confronti del fratello del suo fidanzato.
Quello che si può notare, è che la diffusa politica transfemminista abbia portato molto a rivalutare alcune dinamiche narrative o anche solo la rappresentazione di tali dinamiche, anche in senso negativo.
Non è ammesso in nessun modo che un personaggio che stupra o compie violenza possa redimersi o rendersi conto di aver sbagliato. Perciò i prodotti Netflix vengono confezionati, per rendere felici tutti, in carte arcobaleno, con la conseguenza che tra i protagonisti spesso ci sia la tensione sessuale di due gibbi reali.
Le vecchie serie come The Vampire Diaries sono belle proprio per l'alone nostalgico che le circonda: un mondo vecchio fatto di vecchie convenzioni che, tutto sommato, hanno sempre funzionato, e che ora la sperimentazione registica sta cercando di forzare e di cambiare per adattarle alle esigenze del grande pubblico. Ci si chiede come potrà mai cambiare il cinema, senza che una serie tv ci debba apparire come una lezione di educazione sessuale.
Lo sviluppo del personaggio
Tornando al personaggio di Damon, ciò che accade alla storyline di questo personaggio è davvero interessante. Damon Salvatore è l'effettivo protagonista della serie, eppure nel primo episodio neanche appare: il focus iniziale s'incentra su Elena e Stefan, e si crede che la loro storyline sia quella principale dello show.
Damon infatti, nella prima stagione, è letteralmente un antagonista. O meglio, l'antagonista della vicenda: colui che vuole ostacolare la storia d'amore tra Elena e Stefan, colui che vuole riportare in vita la temibile Catherine, il vampiro malvagio che beve il sangue umano, in opposizione naturalmente a Stefan, "l'eroe", il vampiro "buono" che beve il sangue degli animali.
A partire dalla seconda stagione, in un processo narrativo che culminerà nella terza stagione, però, Damon cambia: da antagonista diventa un alleato, e infine è il protagonista.
Nelle stagioni finali, quando il personaggio di Elena si addormenta e il focus cessa di essere il suo triangolo amoroso con i fratelli Salvatore, il pubblico si rende conto che il protagonista è Damon.
La sua filosofia non cambia: non diventa "buono", semplicemente vengono comprese meglio le sue motivazioni. Al contrario Stefan perde il controllo: bere sangue di animale smette di soddisfarlo e torna presto a essere uno Squartatore e a seminare vittime, passando da eroe ad antieroe e perdendo così l'amore della bella Elena.
Nel corso delle stagioni, i personaggi di The Vampire Diaries crescono insieme al suo pubblico: è una crescita lenta e quasi impercettibile, e questo avviene grazie ai numerosi episodi in onda e alle molteplici stagioni.
Le serie Netflix, oggi, non permetterebbero mai una crescita simile a un personaggio, semplicemente perché sono pochissime le serie che superano la quarta stagione. Perciò, i prodotti Netflix diventano prevedibili: ci mostrano subito chi sono i buoni che fanno cose buone, e chi sono i cattivi che fanno cose cattive. Questi possono agire, ma mai mutare totalmente il loro essere. Ne va della chiarezza del prodotto.
Un tentativo di evoluzione da cattivo a buono simile a quella di Damon, Netflix l'ha sperimentato con una delle sue primissime produzioni: Lucifer. Lucifer è uno show che ha segnato il passaggio dalle serie ordinarie trasmesse in tv a quelle standardizzate per Netflix, ed è permesso perciò a chi guarda di vedere con i propri occhi la trasformazione di questi prodotti e le loro differenze.
Le prime stagioni di Lucifer, infatti, sono meravigliose: racconto seriale antologico, in stile "polizesco", con una piccola percentuale di continuità. Ogni episodio rappresenta un passo in avanti per la crescita personale del protagonista. Nelle ultime stagioni, tuttavia, si inizia sempre di più a cercare il politically correct, la morale della storia e la famiglia felice in un finale quasi da sit-com.
E la morale della storia è che Lucifer, il Diavolo in persona, è diventato "buono" grazie alla psicoterapia. Per questo, spoiler ultimo episodio, tornato ancora una volta all'inferno, Lucifer, anziché torturare le anime, sceglie di fare loro da psicologo per mandarle in Paradiso. (Che a uno viene da chiedersi, perché??).
Che cosa è successo? Perché non ha funzionato?
Semplicemente perché il Diavolo, se si fosse comportato da Diavolo, non avrebbe suscitato coinvolgimento nell'audience. Il suo maturamento, il suo diventare "buono", non è naturale, non è lineare e soprattutto non è coerente. Lo è fino ad un certo punto, finché gli scrittori ad un certo punto si sono resi conto che dovevano chiudere baracca e burattini, e hanno iniziato ad affrettare il processo per arrivare ad una conclusione happy ending che soddisfacesse il pubblico.
Damon Salvatore invece ha avuto tutto il tempo di trasformarsi, e il mutamento finale, la ritrovata umanità sia spirituale che fisica, sono la prova del suo cambiamento in otto, lunghe, corpose stagioni, dopo aver superato lutti, torture, pericoli e qualche piccola resurrezione. Niente buonismi: l'ambiguità di Damon resta fino alla fine, e fino all'ultimo episodio il pubblico sa che Damon resta una bomba ad orologeria: potrebbe tradire la fiducia dei suoi amici in qualsiasi momento e mandare tutto a rotoli.
Damon è un alcolista, è instabile e vive soffocato nel senso di colpa. Tuttavia, alla fine si salva grazie all'amore per Elena, per la quale sceglie di tornare umano e di vivere una vita normale con lei.
Se fosse successo nel 2022, Damon sarebbe invece andato in terapia: una soluzione moderna e "corretta", salutare ed educativa. "Se anche voi avete problemi di gestione della rabbia", sembra volerci dire Netflix, "provate a sentire uno bravo! Funziona!". Ancora una volta: tutto scade nel buonismo, nell'educativo, nello show che deve insegnarti qualcosa, altrimenti non ha senso di esistere.
Il sistema di scrittura delle serie non ruota più attorno alle evoluzioni caratteriali dei personaggi perché Netflix non dà tempo allo spettatore di affezionarsi: deve proporre sempre altre serie, altre trame, altre situazioni, non abbiamo più il tempo per dire "questa è la mia serie preferita, diventerò una grande fan" che subito ne inizia un'altra. le mini-serie sono il prodotto perfetto, preconfezionato e facile da vendere per garantire il maggior numero di spettatori nel minor tempo possibile. Tuttavia, sono serie edonistiche: buone per riempire il momento, ma che non sono in grado di trattenere una vera e propria fanbase come riuscivano, invece, le vecchie serie (Grey's anatomy, Doctor Who, etc).
Le vecchie serie tv sono gioielli impareggiabili dal punto di vista delle sceneggiature e di quello che è il valore affettivo delle serie che ci hanno cresciuti. Netflix indubbiamente è un servizio utile per contrastare la pirateria ed è comodo per scegliere cosa guardare e quando guardarlo.
Tuttavia, non sarebbe male se Netflix smettesse di produrre, per un po', prodotti originali a catena per concentrarsi invece sul radunare più titoli come Lost, Breaking Bad, Supernatural e altre serie tv che hanno fatto la storia, per far sì che le nuove generazioni godano di questi pezzi di storia e abbiano modo di confrontarli con le produzioni che, invece, dovrebbero rappresentare l'oggi.
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