A cura di Laura Astarita.
Intervengono A, B, C, D.
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Illustrazione di Erik Drooker |
CENSURA POLITICA E POLITICALLY CORRECT
LA BUFERA SU BIANCANEVE E LA CANCEL CULTURE
Per quanto la reazione possa essere esagerata, c'è da dire che definire la notizia una bufala sarebbe inesatto. In USA, molto più che in Europa, visto anche l'aumentare delle politiche di discriminazione del governo Trump, da molto tempo gli intellettuali si trovano stretti in una morsa. Questa pressa da un lato sulla necessità dell'arte di "educare" all'inclusività e dall'altro sulla censura politica imposta da un governo Repubblicano. Nel 2020, prima delle elezioni presidenziali vinte da Joe Biden, 153 intellettuali firmano, sulla rivista Harper, una lettera aperta sulla "giustizia e il dibattito aperto", nota anche col nome di Harper's List. In questa lettera, i firmatari chiedono espressamente la libertà di esprimersi, in nome dell'arte e della ricerca, sui temi "politicamente scorretti". Dal testo della lettera aperta:
«Il libero scambio di informazioni e di idee, linfa vitale di una società liberale, si restringe quotidianamente. Se da un lato ci aspettiamo questo sulla destra radicale, dall'altro la censura si sta diffondendo più ampiamente nella nostra cultura: l'intolleranza di opinioni opposte, una moda per lo svergognamento pubblico, per l'ostracismo e la tendenza a sciogliere questioni politiche complesse in una cieca certezza morale. […] Gli editori vengono licenziati per aver assegnato pezzi controversi; i libri sono ritirati per presunta inautenticità; ai giornalisti è vietato scrivere su determinati argomenti; i professori sono indagati per aver citato certe opere letterarie a lezione; un ricercatore viene licenziato per aver fatto circolare uno studio accademico revisionato da un collega; e i capi delle organizzazioni vengono espulsi per quelli che a volte sono solo errori goffi. Qualunque siano le argomentazioni intorno a ogni particolare incidente, il risultato è stato quello di restringere costantemente i confini di ciò che si può dire senza subire la minaccia di rappresaglie. Stiamo già pagando il prezzo di una maggiore avversione al rischio tra scrittori, artisti e giornalisti che temono per il loro sostentamento se si allontanano dal consenso, o addirittura non hanno sufficiente zelo di accordo».
Lo scandalo è stato infatti una conseguenza dell'allarmismo latente verso la censura (sia dalla parte della politica dell'odio, sia dalla parte della politica della tolleranza). Questo ha portato i ragazzi della redazione Tapioca a ragionare sui limiti che si dovrebbero imporre al fenomeno, e le posizioni sono discordanti su alcuni punti, ma a parere del moderatore non contraddittorie.
TRASCRIZIONE DEL DIBATTITO
A. Cosa ne pensate della storia di Biancaneve?
B. Penso che, per quanto la questione Biancaneve sia praticamente fake, la piega che sta prendendo la censura negli ultimi tempi è piuttosto allarmante. Ho letto che si sta man mano pensando di porre dei "veti" su certi film in quanto considerabili portatori di razzismo. La cancel culture esiste, soprattutto nei paesi
anglosassoni, e si sta diffondendo. Per questo non mi sorprende che abbiano creduto plausibile una censura di Biancaneve. Del resto, non hanno forse censurato gli Aristogatti per razzismo? Quel film l'ho visto centinaia di volte, e, personalmente, non ci trovo assolutamente nulla di razzista.
B. Anche secondo me un'opera artistica, a prescindere da tutto, non dovrebbe mai essere censurata. Piuttosto, dovrebbe essere studiata, in tutte le sue implicazioni sociologiche e politiche. Tuttavia, l'idea di mettere un avviso è forse peggiore della cancellazione stessa: avvisando preventivamente lo spettatore, si rischia infatti di influenzarlo nel suo giudizio in seguito alla visione del film.
C. Personalmente, non capisco quale sia il problema.
B. Il problema è che la creatività non deve mai essere vincolata da una morale. Per quello esistono le chiese. Non è un caso che Nick Cave, anche se è un artista non necessariamente legato al mondo del giornalismo, si sia espresso in merito alla cancel culture definendola «la più infelice delle religioni». Preferisco che la scena rimanga e che non ci sia nessun avviso, al massimo discussioni dopo la visione. Sennò dovremmo mettere un trigger warning sul 95 % dei film, praticamente.
C. Secondo me invece non è sbagliato. Anzi, per me è doveroso mettere le mani avanti e dire: non prendete i riferimenti razzisti come oro colato, erano tempi diversi. Ha senso, considerando che non sappiamo come potrebbe reagire il pubblico. Non tutti hanno familiarità con il concetto di relativismo storico.
C. Basta con questi finali edulcorati, torniamo al bel vecchio finale
con la strega che balla con le scarpette arroventate fino a morire!
Scherzi a parte. Semplicemente avvisare che un film è un film, di
non prenderlo come insegnamento di vita. Non tutta l'arte deve necessariamente insegnare.
Con un avviso all'inizio che spieghi il punto di vista di chi produce il film, si possono evitare i casi di censura postuma alla distribuzione.
C. Non è distopico, semplicemente nel 2021 sappiamo che determinate tematiche presenti in un film d'epoca possono turbare certe fasce di pubblico. Un film razzista, ad esempio, potrebbe pur sempre urtare la sensibilità di un afroamericano che lo guarda, anche se la schiavitù e l'apartheid sono stati aboliti. Quindi, meglio avvisare prima della visione di Via col vento che il principale personaggio di colore è una schiava accondiscendente. Meglio questo che eliminare tutte le scene nelle quali è presente Hattie McDaniel (N.d.R: attrice che interpreta Mami nel film Via col vento).
B. Il problema sta nel fatto che è semplicemente qualcosa di deliberatamente ipocrita. Ci siamo battuti affinché la censura cinematografica non ci fosse: giusto. Ora non deve esserci. Altrimenti dovremmo letteralmente mettere avvisi su ogni film perché potenzialmente offensivi.
C. Non definirei ipocrita il tentare di informare il pubblico sulla società in cui è stato prodotto il film. Piuttosto definisco ipocrita l'atteggiamento di alcune case di produzione come Disney e Warner, che "nascondono" sotto il tappeto i film politicamente scorretti realizzati 90 anni fa, mentre poi nel 2021 continuano a perpetrare gli errori del passato. Ad esempio, sappiamo che il live action di Mulan è stato girato in una regione con dei campi di concentramento in Cina, e che nei titoli di coda del film hanno ringraziato anche l'amministrazione locale. L'attrice protagonista di quel film ha supportato i poliziotti che pestavano le persone ad Hong Kong.
B. A prescindere dall'incoerenza delle azioni della Disney, che mette avvisi "politicamente corretti" e poi crea film finanziando i genocidi, il mio discorso sull'ipocrisia è principalmente estetico. La creatività non dovrebbe mai essere condizionata da un giudizio morale, che sia contemporaneo oppure successivo. Sicuramente va analizzata sotto paradigmi anche sociologici. Ma il condizionamento è sempre sbagliato, perché mette a repentaglio il valore artistico del film.
C. Non c'è dubbio. Tuttavia, credo che D. prima intendesse dire che le fiabe sono sempre state lette e rilette in base al periodo storico in cui vengono proposte. Ad esempio, le fiabe un tempo erano molto più cruente e sono state un filo edulcorate, appunto, per i bambini più sensibili di oggi. Non credo perciò che censureranno mai Biancaneve. Al tempo stesso, non vedo nulla di sbagliato nel fatto che, un giorno, una madre possa raccontare a sua figlia una storia con un finale diverso perché ritiene quello tradizionale poco affine alla mentalità di questo secolo. Quante versioni di Cenerentola esistono, ad esempio, nel cinema? E quante di questi sono rivisitazioni della versione disneyana? Secondo me, censurare il film di Biancaneve è una soluzione che neanche è stata considerata, né dalla Disney né da SFgate: è solo un dibattito sulla consensualità di un bacio, e di quanto il modello di "vero amore" con cui siamo cresciuti ci abbia influenzato. È un dibattito, nulla più. Nessuno censurerà un film d'animazione per questo.
Anche e soprattutto perché un film o un qualsiasi racconto deve essere contraddittorio, o avere una qualche forma di contraddittorietà interne per funzionare, altrimenti è solo solletico per i sensi.
A. Sono d'accordo sul fatto che il politically correct stia sfuggendo di mano. Altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di scrivere una lettera aperta. Sostenere critiche insulse per ogni singola cosa sta diventando insostenibile. Si sta attuando una vera e propria discriminazione verso chi discrimina (ai fini artistici), e questo è a parer mio contraddittorio, oltre che estenuante. Questi intellettuali che sentono il dovere di reclamare la propria libertà di espressione, sono poi forse diversi da coloro che subiscono censura?
C. In questo momento storico la mentalità è questa, e l'arte si adatta alla morale come si è adattata ad ogni epoca. Contrastare l'ondata è inutile. Che sia giusto o che sia sbagliato lo scopriremo solo andando avanti. Questo non vuol dire che bisogna censurare un'opera d'arte, perché ogni opera d'arte è frutto della propria epoca e la sensibilità delle persone cambia a seconda del periodo storico in cui vivono. I film sono fonti di documentazione storica. Tuttavia, mi sembra una buona soluzione combattere la censura con l'informazione, e l'inadeguatezza politica con la proposta di nuove versioni più adeguate ai tempi rispetto a quella originale.
Il timore che il politicamente corretto possa limitare la libertà d'espressione è effettivamente ciò che ha spinto gli intellettuali a firmare l'Harper's List. Tuttavia, mi chiedo: è giusto concedere libertà d'espressione incondizionata? La libertà, come concetto, in ogni altro ambito della nostra vita civile, viene, normalmente, limitata dalle leggi. Martin Luther King, che ha lottato per i diritti civili, scriveva: «La mia libertà finisce dove comincia la vostra». Perché dunque dovremmo concedere la libertà ad un film di insultare un'etnia o di esprimere idee politiche scorrette, se queste idee offendono la possibilità di uno spettatore di essere libero? Se la tua idea, la tua arte, limita la libertà del prossimo, dovresti davvero essere libero di esprimerla?
«Non mi piace ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo».
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