Di Silvia Strambi
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Foto di Simone Sadocco, Christian Votero Prina e Iris Trivisano |
Dall'8 al 10 luglio la BSMT (Bernstein School of Musical Theatre) ha messo in scena nel suo spazio all'aperto, il BOAT, il musical La piccola bottega degli orrori. Questo spettacolo, datato 1982, è un'opera con musiche di Alan Menken e testi e libretto di Howard Ashman. I due compositori hanno lavorato insieme ad alcune tra le colonne sonore più memorabili dei film Disney (La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin). La piccola bottega degli orrori è basato su un film del 1960 dallo stesso titolo, oggi principalmente conosciuto per la piccola parte di un giovane Jack Nicholson all'inizio della sua carriera. Dopo il successo del musical è stato tratto anche da questo un film, nel 1986, con protagonisti Rick Moranis ed Ellen Greene.
Il musical narra le vicende di Seymour Krelborn, che fa il commesso nel negozio di fiori del signor Mushnik. Con lui lavora Audrey, una giovane donna vittima di un fidanzato violento, Orin Scrivello, medico dentista. Seymour è innamorato -corrisposto- della collega, tanto che dà il suo nome ad una strana pianta che ha acquistato in circostanze altrettanto strane. Visto che i clienti scarseggiano, il signor Mushnik accoglie il suggerimento di Seymour e decide di esporre in vetrina la suddetta pianta, Audrey 2, per incuriosire i clienti e spingerli ad entrare. Inaspettatamente questa strategia funziona e tutto nella vita di Seymour inizia a girare per il verso giusto. Questo finché non scopre che il nutrimento prediletto da Audrey 2 è il sangue umano. E dovrà ricorrere a misure drastiche per procurarselo...
Alla regia della produzione della Bernstein troviamo Fabrizio Angelini, che si era già occupato di mettere in scena sempre per la scuola, l'anno scorso, City of Angels. Angelini si è anche occupato delle complesse coreografie, che hanno coinvolto un ensemble nutrito. La direzione musicale è stata invece affidata a Gianluca Sticotti, alumno della BSMT. Chi come me bazzica le produzioni della Bernstein lo ricorderà per il ruolo di Molina ne Il bacio della donna ragno, che ha ripreso due anni fa in occasione dell'anniversario della prima messa in scena italiana al Teatro Comunale di Bologna.
Lo spettacolo della BSMT, nonostante le dimensioni ridotte offerte dallo spazio della BOAT (dove sono andati in scena anche i musical Nine e Cookies), può essere definito colossale: si sono esibiti ogni sera ben 39 performer, tutti studenti della scuola, con diversi personaggi interpretati ogni sera da un allievo diverso. Nello specifico, io ho assistito alla replica del 9 luglio, dunque i riferimenti che farò nel corso della recensione riguardano gli attori che ho visto in scena.
La piccola bottega degli orrori ha apparentemente una dimensione meno "professionale" rispetto a Nine, che aveva nel cast performer già impegnati nel mondo dello spettacolo (con due sole eccezioni) e che è andato in scena anche al Teatro Comunale di Ferrara e a Reggio Emilia. Tuttavia, come al solito la Bernstein riesce ad iniettare anche nelle produzioni che potremmo definire meno impegnate un livello di perfezionismo fuori dal comune, se messo a confronto con altri spettacoli prodotti da scuole di teatro.
Il solo ingresso nello spazio della BOAT promette bene, grazie alle scenografie realizzate in collaborazione con l'Accademia delle Belle Arti di Bologna. Al centro del palco è presente il bancone del negozio di fiori, che durante lo spettacolo assume diverse funzioni. Viene spostato dall'ensemble ripetutamente, e usato anche come parte integrante per le coreografie.
Sul palco, oltre ai protagonisti della vicenda, si muove un ricco ensemble composto da figure come barboni e prostitute, che ben restituiscono il disagio della cittadina in cui è ambientata la storia, Skid Row. Per permettere loro di spostarsi agevolmente si è predisposta una scalinata da cui i personaggi entrano, o su cui si sistemano nel corso dei numeri musicali dando un grande senso di compattezza. Un ottimo espediente per risolvere il problema della grandezza del palco.
L'effetto è particolarmente spettacolare nel finale, in cui l'intero cast si avvicina progressivamente al pubblico proprio facendo uso degli scalini.
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Foto di Giulia Marangoni |
Altrettanto ben fatto è il pupazzo che "interpreta" Audrey 2: la pianta assume dimensioni sempre maggiori durante il corso dello spettacolo, ed è azionata dall'interno dall'attore che le dà la voce (Damiano Spitaleri). Particolarmente ben riuscite le scene in cui Audrey 2 si nutre, grazie a uno scivolo che trascina sotto il palco gli attori.
Eccellente anche il lighting design, curato da Emanuele Agliati e Oscar Frosio. Le luci riescono a dare il tono alle scene in maniera ottimale, passando dai momenti più allegri a quelli di orrore puro.
La colonna sonora del musical è ricca, composta da generi diversi che rimandano però tutti agli anni in cui è ambientato, ovvero gli anni 60. Un'ulteriore prova di quanto fosse azzeccata l'accoppiata Menken-Ashman che, non fosse stato per la morte di quest'ultimo, probabilmente ci avrebbe regalato altri grandi capolavori.
La varietà della musica necessita di prove attoriali molto versatili, non solo a livello canoro ma anche a livello fisico. In Closed for Renovation i personaggi ballano un energetico numero di tip tap, mentre in Mushnik and Son la manipolazione del signor Mushnik (Guido Turchi, che dà vita ad una delle scene più divertenti dello spettacolo) è accompagnata da un tango. L'abilità degli allievi nel ricreare queste coreografie e nell'adattarsi ai diversi generi musicali che devono interpretare è un'ennesima prova dell'eccellenza della scuola Bernstein.
Da un punto di vista puramente attoriale, gli studenti che ho visto in scena hanno interpretato perfettamente i personaggi. Seymour (Gabriele Colombo) è un personaggio impacciato e imbranato, che comunica attraverso una voce sottile e incerta. Allo stesso tempo l'attore non manca di capire le intenzioni malevole del personaggio e i danni che sta facendo per nutrire la propria avidità.
Shani Baldacci interpreta una Audrey con una udibile zeppola, una voce potente ma una fragilità interiore evidente, che non può non muovere a compassione. Importanti per costruire il suo personaggio anche i costumi, di cui si è occupato Antonio Tomacci. Pur essendo in apparenza l'incarnazione della "poco di buono", Audrey è invece un personaggio con un forte senso morale e che si porta dietro la stigmatizzazione di un mondo che concepisce la donna solo come oggetto sessuale. Le voci di Colombo e Baldacci armonizzano perfettamente in uno dei numeri più famosi del musical, Suddenly Seymour.
Probabilmente il personaggio che più di tutti rappresenta l'assurdità caotica (e decisamente camp) di questo musical è Orin, il fidanzato dentista di Audrey (Alessandro Russo). Un sadico che capitalizza sul dolore altrui, nella canzone Dentist! l'interpretazione esagerata e gioiosa dell'attore è accompagnata da un ensemble di infermiere in lingerie e da un forte sotto testo erotico che rendono ancora più evidente il piacere che il dottore prova nel suo lavoro. Tuttavia, questa sua esagerata goduria viene bilanciata perfettamente dall'aria minacciosa che assume nei confronti di Seymour e in particolar modo di Audrey. Le scene coi due personaggi sono poche ma costruiscono perfettamente la tensione e il rapporto di potere che esiste tra loro.
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Foto di Giulia Marangoni |
Damiano Spilateri (e Prince Orji prima di lui) hanno un duro compito sulle loro spalle: dare vita a una pianta facendo uso soltanto della voce. Non posso parlare del secondo attore, non avendolo visto in scena, ma posso dire che Spilateri riesce a rendere Audrey 2 un personaggio capriccioso e divertente, eppure incredibilmente pericoloso ed inquietante a causa della sua capacità di manipolare il protagonista (e non solo). La sua risata profonda non mancherà di provocarmi qualche incubo, nelle giornate a venire.
Tutti gli attori secondari, che sostengono gli eventi con un atteggiamento perfettamente consono all'assurdità della vicenda, meriterebbero una menzione. Mi limiterò a citarne uno come rappresentante di tutti i personaggi di sostegno, un attore che pur essendo apparso in due sole scene si è guadagnato gli applausi sonori del pubblico: Mirko Buscaglia nel ruolo di Patrick Martin. Il personaggio appare verso il finale, dopo una scena incredibilmente drammatica. Ma col suo manierismo e la sua voce da robot, assolutamente randomica e allo stesso tempo assolutamente perfetta per l'occasione, Buscaglia è riuscito a far ridere il pubblico. La sua apparizione, per quanto breve, è indimenticabile per il controllo del proprio corpo e della propria voce. La decisione di caratterizzare il capo di una multinazionale come un robot senza sentimenti è nata come critica al capitalismo e alla mancanza di emozioni dei suoi rappresentanti? O si tratta di una scelta nata esclusivamente per valorizzare l'attore? Ai posteri l'ardua sentenza. A me piacerebbe credere alla seconda opzione, ma immagino che la prima sia più plausibile.
Ultime ma non ultime, non posso non citare Ronnette (Miriam Russo), Crystal (Matilda Perin) e Chiffon (Carlotta Conti). Le tre hanno un ruolo prominente nell'ensemble: commentano le vicende, interagendo spesso coi personaggi principali e fungendo da coro greco per la sfortunata vicenda. Sono inoltre loro a dar voce a gran parte delle armonie di Ashman e Menken.
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Foto di Giulia Marangoni |
Nella versione originale del musical i tre personaggi sono tradizionalmente interpretati da donne nere, e le loro canzoni rimandano ai girl groups (formazioni di ragazze che cantano in armonia). Pur esistendo sin dagli anni 30, ottennero particolarmente successo proprio durante gli anni 60. I loro stessi nomi sono un riferimento a una certa tipologia di musica e di esecuzione (ricordiamo che uno dei girl groups più famosi di fine anni 50 si chiamava 'Ronnettes'). Inoltre, vista l'etnia dei tre personaggi, non è sorprendente notare che all'interno del musical siano presenti anche brani che rimandano al gospel. Questi riferimenti culturali, così come altri presenti nel musical, si vengono a perdere nella trasposizione italiana. D'altronde i girl groups furono (e sono) un fenomeno radicato nella cultura americana, che nel nostro paese non ha avuto forti rappresentanti; allo stesso modo il gospel è un genere ricollegabile alla comunità afroamericana, che in Italia non ha radici tanto forti quanto in America.
Altro elemento che si viene a perdere inevitabilmente è la motivazione del linguaggio sboccato di Audrey 2. Tradizionalmente la voce della pianta è quella di un uomo afroamericano. In America, nella rappresentazione mediatica, i personaggi afroamericani si portano dietro una serie di espressioni idiomatiche e di intonazioni vocali molto precise e che in italiano è quasi impossibile rendere. Si pensi all'adattamento italiano de L'aereo più pazzo del mondo, in cui i personaggi neri sono stati doppiati con un forte accento napoletano per mantenere la gag originale, che vedeva gli altri passeggeri incapaci di capirli. Anche in questo caso, poi, questa scelta di casting ha un suo corrispettivo nella musica: Audrey 2 spesso canta brani che ricordano la musica R&B, cantata principalmente nelle comunità afroamericane.
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Foto di Giulia Marangoni |
E questa è forse l'unica nota dolente di questa produzione: il libretto, con traduzione di Gerolamo Alchieri (che comunque è stato usato in altre produzioni nostrane) non riesce a trasportare i riferimenti alla cultura americana e soprattutto afroamericana nella tradizione italiana. È anche vero che difficilmente sarà possibile compiere un lavoro di questo tipo, quando nella musica stessa sono presenti riferimenti a una background ben preciso.
Resta comunque il problema che, nel passaggio dall'idioma originale alla 'bella lingua', alcune delle battute più iconiche siano andate perse. Ad esempio il leggendario 'No shit, Sherlock!' diventa 'Non hai detto una cazzata, Sherlock', che manca decisamente del mordente della versione inglese. Sono rimaste invece espressioni come 'Shop-da-doo' che non hanno corrispettivo in italiano e che possono provocare confusione.
Posso dire che considero la visione della Piccola Bottega degli orrori messa in scena dalla Bernstein un'esperienza estremamente positiva. Tuttavia mi ha anche spinta a farmi alcune domande che esulano da questa produzione in sé per sé: quanto si perde nel passaggio da una lingua all'altra? È possibile "trapiantare" un pezzo di cultura all'interno di un'altra cultura completamente diversa? È possibile farlo partendo dal nostro punto di vista limitato, non interno alla cultura di riferimento?
Purtroppo concentrarsi su questo argomento basterebbe a riempire un articolo a parte, e non credo di essere abbastanza acculturata per affrontarlo in questa sede. Quindi per ora mi limito a fare i complimenti alla Bernstein per l'eccellenza che hanno dimostrato nuovamente con questo spettacolo, e a lasciare i miei lettori con un ultimo avviso: non date mai da mangiare alle piante.
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