David Bowie al cinema: i mille volti dell' "uomo che cadde sulla Terra"

Di Silvia Strambi

David Bowie in Furyo (1983)

Nella sua carriera, David Bowie è stato "Ziggy Stardust", "Il Duca Bianco", e ha assunto tante altre identità, tanto da essere definito un "camaleonte". Ma nonostante oggi lo ricordiamo soprattutto per la musica e lo stile, è importante parlare anche del contributo dato al cinema. Infatti, durante la sua vita Bowie ha prestato il proprio viso a diversi personaggi, sul grande schermo e a teatro, dimostrando che le sue capacità performative non si limitavano ai propri concerti. 

In occasione di questa settimana dedicata al cantante, quindi, faremo una veloce carrellata di alcuni dei suoi ruoli più importanti e memorabili, sperando di rendere così omaggio ad un artista che ha sempre dimostrato di non aver paura di provare cose nuove.

THE IMAGE (regia di Michael Armstrong, 1969)


Questo cortometraggio, muto e in bianco e nero, è il primo progetto filmico in cui il cantante appare accreditato. Girato nel 1967 in soli tre giorni, quando aveva vent'anni, il corto uscì nel 1969, anno del rilascio del suo album Space Oddity. Ad oggi, è uno dei pochi cortometraggi ad essere stato rilasciato con un "X-rating", cioè un divieto per i minori di 18 anni. Questo a causa della presenza di contenuti violenti.

Il cantante interpreta un ragazzo senza nome, che tormenta un artista (Michael Byrne) il quale sta dipingendo un suo dipinto. Un po' Il ritratto di Dorian Gray, un po' racconto dell'orrore, il pregio maggiore del film è la sua vaghezza, la mancanza di spiegazioni che lascia spazio a diverse interpretazioni.
Bowie, pur non pronunciando parola, riesce ad essere ugualmente una presenza inquietante. Gran parte del suo alone misterioso viene dal concentrarsi della macchina da presa sui suoi occhi (la bicromia si indovina anche dai filmati in bianco e nero) e sulle movenze rigide, simili a quelle di un moderno mostro di Frankenstein.

L'interpretazione di Bowie in questo film presenta già due aspetti che caratterizzeranno la sua futura filmografia: il suo frequente unirsi a progetti sperimentali e l'importanza posta sulla sua particolare fisionomia. Buona parte dei progetti che seguiranno a cui il cantante prenderà parte, tutti realizzati dopo aver raggiunto la fama, saranno o dei debutti registici, o film sperimentali, o entrambe le cose. Sull'uso delle caratteristiche fisiche di Bowie nella creazione dei suoi personaggi, parlerò maggiormente in riferimento ai prossimi film.

L'UOMO CHE CADDE SULLA TERRA (The Man Who Fell to Earth, regia di Nicolas Roeg, 1976)

David Bowie nel film L'uomo che cadde sulla Terra (1976)

Dopo aver ottenuto il successo nei panni di Ziggy Stardust, una rock star aliena, era solo naturale che Bowie venisse scelto per l'adattamento del libro di Walter Tevis L'uomo che cadde sulla Terra. Questo rappresenta effettivamente il suo debutto al cinema (aveva partecipato nel '69 al film The Virgin Soldiers ma non accreditato). 
In questo film il cantante interpreta Thomas Jerome Newton, un alieno che si reca sulla Terra con scopi poco chiari. La sua permanenza sul nostro pianeta lo porta alla ricchezza, ma anche al progressivo decadimento psico-fisico.

Roeg ha sfruttato e potenziato le caratteristiche fisiche preesistenti del cantante (la figura longilinea, gli occhi di due colori diversi, il viso aguzzo) per rendere chiara l'alterità del personaggio sin dall'inizio. Oltre a ciò anche la sua mimica è stata studiata per farlo spiccare rispetto agli altri personaggi: il suo sguardo è spesso fisso, i movimenti limitati e rigidi. L'effetto è quello di un essere che, pur somigliando in tutto e per tutto ad un umano, viene sin da subito inquadrato come qualcosa di, appunto, alieno: un freak, come lo definisce la sua compagna Mary Lou (Candy Clark).

La parte sembrava creata apposta per Bowie, che stava ottenendo la fama anche grazie alla cura rivolta alla sua immagine come quella di un'entità estranea. D'altronde lo stesso artista dichiarò successivamente: «Ho semplicemente messo il vero me stesso in quel film, com'ero al tempo» [1].
Tristemente, parte della naturalità della sua interpretazione veniva dal fatto che in quel momento della sua vita Bowie era dipendente dalla cocaina. Una condizione che lo rendeva ancora più vicino al personaggio di Thomas, che nel film diventa lentamente dipendente dall'alcool.

MIRIAM SI SVEGLIA A MEZZANOTTE (The Hunger, regia di Tony Scott. 1983)

Catherine Deneuve e David Bowie in Miriam si sveglia a mezzanotte (1983)

Se in The Image David Bowie era l'ambiguo torturatore di un artista e in L'uomo che cadde sulla Terra un alieno venuto dallo spazio, lo ritroviamo sette anni dopo nei panni di un vampiro. Una scelta di casting perfettamente in linea coi ruoli fino ad allora sostenuti; rispetto ai due film precedentemente citati, però, gli è permesso anche di mostrare fascino, allure sessuale ed eleganza, in linea con l'immagine del vampiro che i film stavano trasmettendo in quel periodo.

Miriam si sveglia a mezzanotte, tratto da un libro di Whitley Strieber, è il primo lungometraggio diretto da Tony Scott (fratello del più famoso Ridley Scott), che fino ad allora si era occupato di videoclip
Bowie affianca l'attrice Catherine Deneuve. I due interpretano una coppia di vampiri, Miriam e John, che vivono assieme da centinaia di anni. I due vedono il loro idillio spezzarsi quando John comincia ad invecchiare, come tutti i vecchi amanti della donna. A questo punto la vampira cerca aiuto presso una dottoressa, Sarah (Susan Sarandon), che rimane stregata dal fascino della donna. La scena più famosa del film vede le due consumare un rapporto sessuale con in sottofondo il "Duetto dei fiori" tratto dall'opera Lakmé.

La partecipazione del cantante nel film è ridotta, e per una buona porzione appare sfigurato da un trucco molto efficace che lo invecchia. Tuttavia il suo personaggio è fondamentale: il suo declino fisico porta interessanti riflessioni sulla morte e sull'incapacità di accettarla da parte nostra e da parte dei nostri cari. Il film anticipa quindi il più famoso Intervista col vampiro (1994), che avrebbe popolarizzato il dilemma dell'immortalità del vampiro. 

FURYO (Merry Christmas Mr Lawrence, regia di Nagisa Ōshima, 1983)
David Bowie e Ryūichi Sakamoto in Furyo (1983)

Il film è tratto da un libro, parzialmente autobiografico, del soldato Laurens Jan van der Post. 
Ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, racconta le esperienze di un soldato inglese, John Lawrence (Tom Conti), in un campo di prigionia giapponese. L'equilibrio già traballante tra carcerieri e prigionieri collassa definitivamente con l'arrivo del maggiore Jack Celliers, interpretato da David Bowie. Infatti, coi propri atti di ribellione l'uomo causa il caos nel campo, attirando l'attenzione del capitano giapponese, Yonoi (interpretato dal musicista Ryuichi Sakamoto, che compose la colonna sonora del film).

Pur trovandosi, per una volta, ad interpretare un personaggio non sovrannaturale, Bowie riesce comunque a spiccare come essere straordinario. Celliers irradia energia naturale, un carisma da capo oltre che una bellezza straordinaria che ammalia immediatamente il freddo nemico. Lo distingue dagli altri anche un elemento visivo, ovvero il fatto che sia l'unico personaggio principale biondo: in un mare di teste scure, la sua capigliatura chiara spicca subito all'occhio. 
Altro elemento fondamentale legato al suo personaggio è il canto, canto che però, ironicamente, non è sua competenza: nell'unica scena in cui sentiamo Celliers cantare, si dimostra completamente stonato (una risata garantita, conoscendo la bravura del cantante). 
Ultimo ma non ultimo aspetto fondamentale della sua interpretazione è la sua ambiguità sessuale: Celliers instaura un rapporto non chiaro col capitano Yonoi. Fino all'anno di uscita del film, il cantante non aveva ancora ritirato la propria dichiarazione di essere bisessuale (nel corso della sua carriera ha più volte fatto dichiarazioni diverse sul proprio orientamento sessuale, anche successivamente a questa). Si creava, per il pubblico, un collegamento naturale tra il Bowie parte della comunità LGBTQIA+ e il Bowie-Jack Celliers.

L'interpretazione del soldato in questo film è una delle più complesse nella sua filmografia. Lo stesso cantante la considerava «la più credibile» fino ad allora [2].

LABYRINTH-DOVE TUTTO È POSSIBILE (Labyrinth, regia di Jim Henson, 1986)

David Bowie in Labyrinth-Dove tutto è possibile (1986)

Questo è il film più famoso con protagonista David Bowie, oltre che quello attraverso il quale la nostra generazione l'ha conosciuto.
La storia ha per protagonista Sarah (Jennifer Connely), una giovane ragazza dotata di un'enorme fantasia che accidentalmente offre al re dei Goblin, Jareth (Bowie), il suo fratellino. Per salvarlo Sarah dovrà attraversare il labirinto costruito dal re, pieno di trabocchetti ma anche di creature pronte ad aiutarla.

Per la parte dell'antagonista furono considerate diverse star dell'epoca, tra cui Prince, Michael Jackson e Sting, prima di ricadere sul Duca Bianco. A distanza di anni, è difficile immaginare qualcun'altro nel ruolo. L'interpretazione di Bowie è iconica, ancora oggi ricordata al pari del film, diventato un cult. Tra i suoi outfit, le sue esibizioni canore con lancio di bambini incluso (sapete di cosa parlo), la sua abilità nel bilanciare palle di cristallo, Bowie riesce a catalizzare l'attenzione dello spettatore ogni volta che è sullo schermo. 


Ma l'elemento della sua performance che viene più ricordato, quando si parla del film, è solitamente il suo sex appael.
D'altronde, Labyrinth è, andando oltre la facciata del film per bambini con pupazzoni (ricordiamoci che il regista era il creatore dei Muppet), una storia di crescita, del passaggio di Sarah dall'adolescenza alla maturità. Questo implica anche un risveglio sessuale, rappresentato dal personaggio di Jareth (che, piccola curiosità, ha lo stesso aspetto del fidanzato della madre di Sarah). Non a caso è così carico di valenze erotiche: l'utilizzo di pantaloni molto aderenti, una scena in cui lui e Sarah ballano insieme, la proposta finale di renderla la sua regina... Jareth è il prototipo dell'uomo più grande per cui molte ragazze adolescenti sviluppano una cotta. La "sfida" finale, per Sarah, è quella di rinnegare il potere che lui ha su di lei, rigettando la fantasia malata di un uomo adulto che chiede di essere amato, ma che fino ad allora l'ha solo sviata e trattata male.

L'ULTIMA TENTAZIONE DI CRISTO (The last temptation of Christ, regia di Martin Scorsese, 1988)


Tre minuti e trenta secondi: tanto dura l'apparizione di David Bowie nel controverso L'ultima tentazione di Cristo

Il film era tratto dal romanzo scandalo di Nikos Kazantzakis, che immaginava la vita di un Gesù molto più umano, prono al dubbio e ai vizi, rispetto a quello descritto nei Vangeli. Per questo motivo, Scorsese fu costretto a girare il proprio film in soli 58 giorni, con 7 milioni di dollari a disposizione e con un cast molto diverso rispetto a quello inizialmente previsto. Nel ruolo di Ponzio Pilato, a sostituire (di nuovo) Sting, troviamo quindi Bowie. 

Nella sua breve apparizione il cantante riesce a dare una dimensione inedita al procuratore della Giudea: questo Pilato tratta Gesù (William Dafoe) con sufficienza, senza dimostrare stupore per i principi da lui esposti ma anzi parlandogli con una vena paternalistica. Nonostante ciò in lui non c'è alcun tipo di acredine, ma piuttosto una affettata praticità da burocrate. Una interpretazione che dimostra che, come diceva Stanislavskij, non esistono piccole parti, ma solo piccoli attori.

FUOCO CAMMINA CON ME (Fire walk with me, regia di David Lynch, 1992)

David Bowie in Twin Peaks: The missing pieces (2014)

In questo film si incontrano due miti della cultura pop

La serie televisiva Twin Peaks, ideata dal regista visionario David Lynch e da Mark Frost, era terminata l'anno precedente, con un cliffhanger che aveva lasciato i fan col desiderio di scoprire di più. Piuttosto che dare risposte, il film Fuoco cammina con me fornì nuovi quesiti.

Di certo una delle scene più enigmatiche è quella che vede protagonista il personaggio, mai apparso nella serie, dell'agente Phillip Jeffries, interpretato da Bowie. Questi entra nella sede dell'FBI di Philadelphia, e comincia a fare affermazioni apparentemente sconnesse, come che 'non ha intenzione di parlare di Judy' (un personaggio che non esiste nella serie).
Alle parole di Jeffries si alternano spezzoni tratti da un'altrettanto enigmatica scena ambientata in un convenience store, con alcuni dei personaggi della serie. Il tutto si chiude con la sua sparizione nel nulla. Anzi, a detta della sorveglianza, Philip 'non è mai entrato'.

Una scena onirica in pieno stile Lynch, ma solo apparentemente inutile. Infatti una battuta di Jeffries (che non riveleremo per evitare spoiler) apre una nuova chiave d'interpretazione per la serie. Diventa allora chiaro quanto fosse fondamentale che questa scena non passasse inosservata. Forse è questo il motivo per cui si è scelto di assumere per il ruolo un personaggio riconoscibile come Bowie. La sua partecipazione, per quanto breve, ha contribuito a rendere il momento memorabile.

Bowie avrebbe dovuto riprendere il ruolo nel 2017, quando Twin Peaks è stata rinnovata per la terza, lungamente attesa, stagione. Purtroppo le sue condizioni di salute, poi sfociate nella morte, ci hanno impedito di vederlo di nuovo nei panni dell'agente dell'FBI. 
Tuttavia l'importanza che il personaggio avrebbe avuto è testimoniata dal fatto che diventa fondamentale scoprire chi (o cosa) sia la "Judy" che il personaggio cita.

Quanto a Jeffries, appare nelle ultime puntate della serie, interpretato da... una caffettiera. Tutto nella norma, nel mondo di David Lynch.


BASQUIAT (regia di Julian Schnabel, 1996)
Jeffrey Wright e David Bowie in Basquiat (1996)

Questo film racconta la storia di Jean-Michel Basquiat (interpretato da Jeffrey Wright), nato come artista di strada col nome di SAMO, poi salito alla ribalta e divenuto addirittura amico di Andy Warhol. Basquiat morì tragicamente a 27 anni, dopo una breve vita segnata dall'abuso di sostanze e da disturbi causati anche dalla sua fama.
Schnabel, che fino a questo film si era dedicato unicamente all'arte, decise di dirigerlo perché, avendo conosciuto sia Warhol sia Basquiat (nonostante a detta del regista Jim Jarmusch Basquiat non apprezzasse particolarmente Schnabel [3]), temeva che si potesse mal rappresentare il padre della Pop Art e il rapporto col giovane artista. 

In questo film David Bowie interpreta Warhol. Il cantante era sempre stato fan del pittore (tanto da aver scritto un brano chiamato appunto Andy Warhol), e l'aveva perfino incontrato una volta alla sua Factory. Per realizzare il film, il museo The Warhol accettò di prestare all'artista una delle parrucche e delle giacche di pelle appartenenti al pittore. L'allora archivista del museo, John W. Smith, riportò questo scambio avvenuto con Bowie: 

John W. Smith: «Non ha idea di cosa voglia dire questo per me»
David Bowie: (mettendosi con cura la parrucca in testa) «LEI non ha idea di cosa voglia dire questo per ME» [4]

La riverenza usata nell'interpretare la parte è evidente: nonostante la presenza ridotta (Warhol è sullo schermo per circa 15 minuti), Bowie riesce a caricare il personaggio di forti atteggiamenti e inflessioni vocali, dandogli un'identità che si distacca totalmente da tutto ciò che aveva fatto fino ad allora. 
Ma di certo la testimonianza più veritiera della bontà della sua interpretazione sono le parole delle persone che conoscevano Warhol. A detta di Paul Morrissey, che era stato suo stretto collaboratore, l'interpretazione del cantante era la migliore fino ad allora messa su pellicola. Bob Colacello, che aveva curato il suo magazine Interview, commentò: «Quando ho visto per la prima volta Bowie sul set, era come se Andy venisse resuscitato» [5]

IL MIO WEST (regia di Giovanni Veronesi, 1998)


Ci sono Leonardo Pieraccioni, Harvey Keitel, Alessia Marcuzi e David Bowie in un film. Sembra l'inizio di una barzelletta, e invece si tratta de Il mio West, considerato (quasi) unanimamente uno dei peggiori film italiani degli anni 90, oltre che uno dei più grandi misteri del nostro cinema (come ha fatto Veronesi a mettere insieme un cast così prestigioso, nel bene e nel male?). 

Pieraccioni, con immancabile accento toscano, interpreta Doc, dottore di una cittadina tranquilla del Far West, sposato con una nativa americana da cui ha avuto un figlio. La quiete viene sconvolta quando torna suo padre, un ex pistolero (Keitel) che si porta dietro un rivale, Jack Sikora (Bowie), intenzionato ad ucciderlo.

Bowie, doppiato da un appropriatissimo Tonino Accolla (voce storica di Homer Simpson), riesce anche nella mediocrità a dar vita al personaggio più memorabile del film. Questo soprattutto perché si rende protagonista di situazioni che, per quanto a volte sfocino nel ridicolo, risultano comunque quelle più originali: si porta dietro scagnozzi pittoreschi, tra cui una che gli faccia foto, si apposta davanti alla casa del proprio avversario per intimidirlo cantando (stonato) Glory Glory Hallelujah, spacca la propria chitarra in testa ad un nemico... insomma, una rockstar ante litteram

Jack a volte risulta sin 'troppo cattivo', come dice uno dei protagonisti, fino a diventare quasi caricaturale, e a conti fatti con tutta la propria presunta cattiveria fa anche una fine abbastanza inadeguata. Tuttavia, è meglio essere ricordati in un film dimenticabile o non essere ricordato affatto?

THE PRESTIGE (regia di Christopher Nolan, 2006)

David Bowie in The Prestige (2006)

Tratto da un libro di Christopher Pier, The Prestige racconta lo scontro senza esclusione di colpi tra due illusionisti di fine 800, Alfred Borden (Christian Bale) e Robert Angier (Hugh Jackman). I rivali cercano di sorpassarsi vicendevolmente, arrivando ogni volta a metodi sempre più estremi per avere il miglior trucco. 
In questo frangente entra in scena il nostro Bowie: il cantante torna ad interpretare un personaggio storico realmente esistito, l'inventore Nikola Tesla. La sua è una parte limitata ma fondamentale, visto che è sua l'invenzione che permette ad Angier di compiere il trucco del trasporto umano. 

Tesla si fa aspettare per una buona porzione del film, evocato soltanto attraverso le proprie mirabolanti invenzioni. La sua entrata in scena è perfettamente in linea con l'aura mistica che si è guadagnato: una tranquilla passeggiata attraverso le correnti elettriche prodotte dalla sua stessa macchina. Ma questa è un'interpretazione inedita per Bowie: in un curriculum costellato da personaggi eccentrici ed esplosivi, la riservatezza e la saggezza composta dell'inventore sono nuovi. L'esplosività di questo personaggio (o dovrei dire l'elettricità?), d'altronde, risiede nella sua mente acuta: il suo sguardo concentrato nasconde scintille di genio. 
In un film in cui sono fondamentali gli alter ego e i travestimenti, sembra quasi naturale che ad interpretare un personaggio ci sia un David Bowie quasi irriconoscibile, come se questa fosse l'ennesima maschera di un artista che ha fatto del proprio trasformismo un tratto fondamentale.

Chiudiamo la nostra retrospettiva ricordando che in diverse occasioni il cantante interpretò se stesso al cinema. È il caso di Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, in cui mette in scena una propria esibizione di Station to Station, replicando un concerto svoltosi all'impianto sportivo Deutschlandhalle.


Altro intervento molto più ironico è quello nella commedia Zoolander (2001), in cui giudica con grande serietà la sciocca sfida tra modelli di Ben Stiller e Owen Wilson. In Bandslam (2009) è il mito del giovane protagonista, che alla fine assume lui e la sua band.

David Bowie è riuscito a mantenere la propria originalità anche sul grande schermo, spiccando per i ruoli interpretati e per il carisma che riusciva a far trasparire. Ha trasportato le proprie capacità performative dal palco alla macchina da presa, e ha dato vita a personaggi spesso complessi, sempre memorabili. 



Note:
(1) CAMPBELL, V. (Aprile 1992), "Bowie at the Bijou", Movieline, vol. 3 no. 7, p. 30
(2) LODER, K., Straight Time, in «Rolling Stone» (online), 12 maggio 1983, consultato l'11 gennaio 2022
(3) JAGERNAUTH, K., Jim Jarmusch Explains Why He Refuses To Watch Julian Schanbel’s ‘Basquiat’, in «Indie Wire» (online), 7 maggio 2014, consultato il 7 gennaio 2022 
(4) WRBICAN, M., A Modest Memoir of a Cultural Giant, David Bowie, in The Andy Warhol Musem, 14 gennaio 2016, consultato il 7 gennaio 2022
(5) JEWEL, D., The Art of Being Andy, in «People» vol.46 no.9, p 18. 26 agosto 1996 

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