Il Cinema Ritrovato 2022: la redazione consiglia

Di Silvia Strambi


Si è concluso anche quest'anno il festival tutto dedicato alla settima arte Il Cinema Ritrovato, organizzato dalla Cineteca di Bologna e svoltosi dal 25 giugno al 3 luglio 2022.
Dopo i due anni di pandemia, che hanno visto una partecipazione più ridotta (qui trovate il resoconto della scorsa edizione), con la 36esima edizione si è tornati senza le mascherine e con un pubblico molto più numeroso che ha riempito le sale messe a disposizione.

Le sezioni che hanno composto il programma di quest'anno comprendono le classiche "Documenti e documentari", "Cinemalibero" (dedicata a filmografie raramente esplorate) e "Ritrovati e Restaurati", arricchitasi quest'anno di una sotto sezione, "Pratello Pop", di opere fuori dagli schemi (Gola profonda, Twin Peaks: Fuoco cammina con me, Videodrome...). La sezione "Cento anni prima" è stata dedicata all'anno 1922, che ha visto l'uscita di capolavori del cinema quali Nosferatu e Nanuk l'eschimese ma anche di opere minori di registi noti come Die Gezeichneten (Carl Theodor Dreyer). Altra sezione rivolta agli amanti del passato del cinema è quella contenente diversi corti dell'anno 1902, tra cui spicca il famoso Voyage dans la Lune.
Ben quattro sezioni sono state intitolate a dei registi, molto diversi tra di loro: Hugo Fregonese, originario dell'Argentina che operò sia nel suo paese d'origine sia in America e in Europa; Victorin-Hippolyte Jasset, autore prolificissimo (più di 100 film) tra 1905 e 1913; Peter Weiss, scrittore e drammaturgo tedesco occupatosi anche di corti e di un unico lungometraggio; Kenji Misumi, autore giapponese conosciuto in patria soprattutto per i suoi film di cappa e spada (Chanbara).
Due sezioni invece riguardano degli attori: Sophia Loren, diva per eccellenza del cinema italiano, e Peter Lorre, versatile attore tedesco attivo anche in America. 
Una sezione è stata riservata ai "piccoli" formati del grande schermo, ovvero il Super 8, il 9.5 mm (anche conosciuto come "Pathé Baby") e infine il 16 mm, una "riduzione" del più comune 35 mm. 
Infine, uno sguardo al cinema iugoslavo e uno sul genere della commedia musicale tedesca, nata e morta tra 1930 e 1932, prima dell'ascesa al potere di Hitler.

Oltre alle proiezioni, a cui vanno aggiunte quelle avvenute in Piazza (con ben due concerti dell'Orchestra del Teatro Comunale, condotta da Timothy Brock) e quelle in Piazzetta Pier Paolo Pasolini con una lampada a carbone, il Cinema Ritrovato ha anche offerto occasioni di approfondimento, con lezioni ed incontri con registi (più nello specifico Walter Hill e John Landis, grande protagonista di questa edizione) tutte rese disponibili sul canale YouTube della Cineteca.

Per chi non fosse stato capace di partecipare al Festival o per chi abbia partecipato e si sia perso qualcosa (inevitabile, vista la vastità del programma) qui trovate una piccola e parziale selezione di film che potete recuperare anche da remoto.

BUCK AND THE PREACHER (Non predicare... spara!), 1972, regia di Sidney Poitier

Scordatevi i cowboy buoni e i nativi americani cattivi: nel suo debutto registico l'attore afroamericano Sidney Poitier ribalta le aspettative del pubblico statunitense mettendo al centro di questo western le minoranze che spesso ne vengono cacciate e assumendo un punto di vista diverso sulle classiche storie di conquista del selvaggio West. 
Non predicare... spara!, ambientato dopo la fine della guerra di secessione americana, si concentra sulla popolazione nera che, a seguito dell'abolizione della schiavitù, cerca di spostarsi in luoghi in cui poter vivere liberamente. A guidare una carovana proveniente dalla Louisiana c'è Buck (Sidney Poitier), ex soldato nordista che deve vedersela con gli attacchi di sicari bianchi assoldati per riportare indietro i neri e costringerli a tornare sotto il giogo dei loro padroni. A Buck si uniscono degli improbabili compagni: sua moglie Ruth (Ruby Dee), un predicatore (Harry Belafonte) e un gruppo di nativi americani. 

Il film getta luce su una parte di storia americana generalmente dimenticata, ennesima riprova del razzismo che ha caratterizzato il farsi del paese e che vi è ancora presente a livello sistematico. Al contempo, riprendendo e cambiando di segno le strutture di un western classico si opera implicitamente una critica delle storie raccontate in questo genere.

Nonostante la regia di Poitier non sia ancora rifinita e la colonna sonora possa risultare poco orecchiabile (è da segnalare comunque che si tratta del lavoro di famosi musicisti jazz, diversi dei quali neri), il film, al di là della propria importanza, risulta una visione interessante, soprattutto grazie alle interpretazioni degli attori, alla presenza di personaggi coloriti e di una storia coinvolgente.

Il film è attualmente disponibile per il noleggio su Google Play Film, Apple TV e YouTube.

KEN (The sword), 1964, regia di Kenji Misumi


Seconda parte della "trilogia della spada" del regista, Ken è anche l'unico dei tre film ad essere ambientato nell'epoca moderna. Al centro della narrazione c'è il dojo di Kendo di un'università, gestito dall'ascetico Jiro Kokubun (Raizo Ichikawa). Il ragazzo è interamente concentrato sullo sport, ed estende la propria ossessione e la propria disciplina ai suoi allievi, assoggettandoli ad allenamenti estenuanti.

Attraverso il protagonista, il film si concentra sull'ossessione per il raggiungimento della perfezione: l'amore di Kokubun per il Kendo è totalizzante e gli impedisce di vivere qualsiasi altra esperienza, oltre che di dare giusta dimensione all'esperienza dello sport all'interno della propria vita, come dimostra il finale. Questa sua mentalità viene vissuta diversamente dai compagni che lo circondano: da una parte si guadagna il rispetto quasi reverenziale (e venato dall'innamoramento?) di Mibu, dall'altra la rivalità di Kagawa, che, invidioso, cerca in tutti i modi di far cadere la sua facciata di perfezione.
Ken è il ritratto di una forma mentis tossica che vede nel lavoro estenuante un valore e che considera accettabile il sacrificio del proprio io e della propria vita sociale in nome di un ideale, una critica sull'applicazione di valori ormai desueti ad una cultura che da essi si è evoluta. Alla fine del film, Kokubun è la dimostrazione del fallimento di questi valori, e allo stesso tempo un martire, un'effige di un tempo passato il cui sacrificio non viene trattato con sprezzo.

Il film è disponibile su Internet Archive in lingua originale e con sottotitoli inglesi.

FOOLISH WIVES (Femmine folli), 1922, regia di Erich von Stroheim


Ambientato a Montecarlo, la patria delle scommesse e degli impostori, Femmine folli racconta la storia di uno scaltro e pomposo aristocratico in esilio, Wladislaw Sergius Karamzin, interpretato dal regista stesso. Karamzin, assieme alle due cugine, vive di sotterfugi e di inganni ai danni di donne ingenue.

Perfettamente in linea con la natura perfezionista del suo autore, considerato uno dei "registi maledetti" del cinema muto, Femmine folli è stato il primo film della storia hollywoodiana a superare il milione di dollari di budget, una cifra oggi irrisoria ma enorme per l'epoca. Per fortuna di Stroheim e come ennesima riprova della mancanza di preveggenza dei suoi produttori, le sue stravaganze emergono anche da questa versione tagliata (nelle intenzioni dell'autore il film doveva durare sei ore, oggi ne abbiamo una versione di due e venti). La sfarzosità dei set e dei costumi è inaudita per un film di cento anni fa, così come la complessità di alcune soluzioni registiche e di certe sequenze, in particolare quella finale dell'incendio della villa. Anche la storia non teme di osare, sebbene parte delle complessità della sceneggiatura siano andate purtroppo perdute assieme al materiale tagliato.

La recitazione di Stroheim, che si sarebbe specializzato in ruoli di aristocratici e\o imbroglioni, è un altro elemento di forte innovazione all'interno del film. Circondato da attori che si attengono più o meno strettamente agli stilemi della recitazione del cinema muto, il protagonista recita invece in maniera straordinariamente naturale per l'epoca, forse aiutato dalla natura d'impostore del protagonista: le sue espressioni devono necessariamente essere sottili per poter abbindolare le proprie vittime.

Il film è attualmente disponibile in streaming su MUBI nella sua versione restaurata o o su YouTube.

BLACK TUESDAY (Pioggia di piombo), 1954, regia di Hugo Fregonese


Il criminale Vincent Canelli (Edward G. Robinson), prossimo all'esecuzione sulla sedia elettrica assieme al suo complice Peter Manning (Peter Graves), viene fatto evadere. Quello che segue è un disperato tentativo di recuperare la propria refurtiva e di scappare dal paese, usando come merce di scambio degli ostaggi.

Nonostante il titolo italiano faccia immaginare azione a tutto spiano, la forza del film sta sorprendentemente nelle scene più intime, nei momenti di dialoghi tra i personaggi, specialmente tra ostaggi e carcerati. Pur condannando chiaramente questi ultimi e la loro malvagità, oltre a segnalare la loro diversità rispetto al gruppo di ostaggi che rappresentano la società americana, Fregonese non si tira indietro dal cercare di far comprendere al pubblico le loro motivazioni e il loro desiderio di vita. Non aiuta certo i poveri, innocenti ostaggi il fatto che i criminali e i loro complici siano certamente i personaggi più interessanti della storia, i più vividi pur nella loro brutalità. Su tutti spicca certamente Robinson, che ha spesso interpretato, nel corso della sua carriera, il ruolo del rude gangster

Oltre a ciò, come affermato da Imogen Sara Smith nel presentare il film al Cinema Ritrovato, pur non essendo mai affermato esplicitamente, in Black Tuesday sembra esserci una condanna alla pena di morte. Il dibattito attorno ad essa e al fatto che sia più o meno giusto uccidere un criminale viene ripreso più volte nel corso della pellicola. Spesso i più favorevoli a questa pratica sono proprio gli ostaggi, fatto che ribadisce nuovamente come i confini tra bene e male siano labili e quanto dietro l'apparenza rispettabile dell'America si celi l'ipocrisia.

Il film è attualmente disponibile su Internet Archive, in lingua originale.


DAS LIED IST AUS (La canzone è finita, 1930), regia di Géza von Bolváry


La bella attrice emergente Tilla Morland (Liane Haide) decide, dopo aver rotto coi suoi tre mecenati, di assumere un segretario privato che si occupi di tutti i propri affari. Conosce così il poliedrico Ulrich Weidenau (Willi Forst), un ex ufficiale di guardia che l'ha precedentemente umiliata in pubblico. La relazione tra i due diventa subito ambigua...

Nonostante la sua breve vita, il genere della commedia musicale tedesca era comunque dotato di propri stilemi riconoscibili, presi in prestito dal corrispettivo americano. La particolarità di Das lied ist aus, oltre alla comicità ancora oggi esilarante e alle canzoni orecchiabili (una di queste, Adieu Mein Kleiner Gardenoffizier, è stata eseguita più volte da diverse artisti), è il fatto che alla fine ribalti le aspettative del pubblico di ieri e di oggi. Anticipando Vacanze Romane, anche qui i protagonisti sono costretti all'addio per ragioni più grandi di loro (qui per motivi più prosaici del dovere verso il proprio stato, ovvero la mancanza di denaro), portando ad un finale amaro e, per certi versi, rivoluzionario per una commedia nel complesso così leggera. 

Altro elemento che lo rende un film interessante è, inoltre, la sua natura metanarrativa che fa scherzosamente il verso alla vicenda dei protagonisti, illudendoci fino alla fine della riuscita della loro storia. Amaramente, alla fine dovremo constatare che, in fondo "l'amore" non "è come un film sonoro".

Il film al momento è disponibile su Internet Archive, in lingua originale e con sottotitoli inglesi.

AŽ PŘIJDE KOCOUR (C'era una volta un gatto), 1963, regia di Vojtěch Jasný

Questa favola allegorica girata nella città cecoslovacca di Telč ha fornito al Cinema Ritrovato una delle sue immagini più iconiche e curiose: quella di un gatto con gli occhialini 3D. Questo è membro di un circo che arriva nell'apparentemente tranquilla cittadina per sconvolgerne gli equilibri: chi si trova sotto il suo sguardo indagatore, infatti, cambia colore a seconda dei propri vizi o delle proprie virtù.

Pur funzionando perfettamente anche come film per famiglie e semplice favola, in realtà il film è anche una critica alla situazione del paese in quel periodo storico: la Cecoslovacchia era infatti ancora sotto il regime comunista. Ma la storia raccontata potrebbe essere universale e applicabile a qualsiasi situazione di tentata omologazione portata avanti da una comunità, dimostrando anche una certa acutezza dietro la propria facciata di storiella strampalata. Il preside della scuola rappresenta la volontà delle istituzioni di livellare le conoscenze generali, a partire dall'infanzia, mentre i bambini (e la giovinezza più in generale), se ben istruiti, con la loro innocenza e inventiva sono una speranza per un futuro migliore.

All'elemento allegorico si accompagna poi la dimensione visiva, che offre diverse immagini suggestive, approfittando della natura fantastica della storia e del coinvolgimento del gruppo circense. È inoltre ammirabile che il regista, alla sua prima esperienza col colore, abbia deciso di affidargli un ruolo tanto importante e che abbia saputo sfruttarlo per portare avanti la storia, e non solo come mero elemento attrattivo.

Il film è attualmente disponibile su YouTube, in lingua originale con sottotitoli inglesi.

DER VERLORENE (L'uomo perduto), 1951, regia di Peter Lorre


L'unico film scritto e diretto da Peter Lorre è un cinico ritratto della Germania post Seconda Guerra Mondiale, paese d'origine dell'attore che per diversi anni non vi aveva più lavorato. In L'uomo perduto Lorre stesso interpreta un dottore che attraverso i propri esperimenti ha collaborato coi Nazisti e che, a seguito del conflitto, opera sotto copertura in un campo profughi.

Il Dottor Rothe, il protagonista, è un ruolo perfetto per Lorre, che con la sua classica maestria dà corpo e voce ad un personaggio tormentato, schivo e schiavo delle proprie sigarette (difficile che Rothe resti un minuto di fila senza fumarne una), apparentemente innocuo ma capace di nascondere dietro alla propria impacciatagine il temperamento di un assassino. Difficile che, creando questo personaggio, Lorre non volesse richiamare il primo ruolo che gli diede fama, ovvero quello del serial killer in M-Il mostro di Düsseldorf (1931), anche questo girato nella sua patria.

Nonostante alcuni difetti nella narrazione che a tratti rendono difficile seguire il filo del racconto, il film resta un punto interessante della cinematografia tedesca perché prende consapevolezza, poco dopo la fine della guerra, delle responsabilità del paese. Lo fa dando vita ad una storia cupa, in cui nulla e nessuno si salva e in cui alla distruzione delle città provocata dalla guerra si accompagna la distruzione dell'individuo.

Il film è attualmente disponibile su YouTube, in lingua originale con sottotitoli inglesi.

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