Di Luca Martinelli
Avevo già scritto per il Pride Month del 2021 di Diamanda Galas. Ne ho scritto, e ne continuo a scrivere, perché la Galas è un punto di riferimento importantissimo nell’ambito della mia personale esperienza di fruitore di qualsiasi tipo di arte. Questo per due importanti motivi: il primo risiede nella capacità della Galas di cercare sempre il punto estremo dell’arte: il suo volere strappare, attraverso la voce, il cielo di carta del mondo, della sua rappresentazione e della sua rappresentazione artistica con un atto che è al tempo stesso compassionevole (nel più puro senso cristiano del patire insieme) e violento, inaudito, attraverso una mescolanza di voci e urla che sembrano provenire da altri mondi (un misto tra una ricerca scientifica sulla voce alla Demetrio Stratos e lo spirito dionisiaco nietzschiano). Il secondo motivo risiede nel fatto che tutto l’arte della Galas è materia storica: ogni opera si contestualizza all’interno del divenire della storia. Ed è proprio tra questi due poli che nasce Broken Gargoyles.
Broken Gargoyles nasce come installazione sonora nel Santuario del Lebbroso di Hannover: la sua concezione, quindi, fuoriesce da quello di disco come comunemente inteso, quanto più come colonna sonora di un’esperienza altra. Nel Santuario del Lebbroso venivano, dal 1250 fino al 1915, curati i malati di peste e/o lebbra, per poi divenire, tra il 1915 e il 1918, un luogo dove venivano curati i mutilati di guerra, tra cui coloro che subirono importanti mutilazioni al viso: questi soldati vennero definiti Broken Gargoyles.
Come detto prima, la Galas è artista che si immerge nelle pieghe e nelle piaghe della storia: è persino stucchevole ricordare che veniamo da due anni e mezzo di una pandemia non ancora finita e che siamo spettatori del primo conflitto armato del quale possiamo vedere tutto tramite i social network senza alcun tipo di filtro che non sia il filtro dell’algoritmo [1]. Di tutti gli argomenti che si potevano trattare da questi due traumi storici sceglie la tersa morte [2] di "benedettiana" memoria. Se infatti togliamo ogni genere di sovrastruttura [3] di fronte a questi due eventi mostruosi e catastrofici che hanno avuto un impatto clamoroso sulle nostre esistenze, ci accorgiamo di quanto, in fin dei conti, la nostra esistenza rimane totalmente determinata dal suo termine, e che non si può prescindere mentre si è in vita da un costante rapporto con ciò che sarà la nostra fine. Ed è questa la mia profana - ed ovviamente non assoluta - definizione di trauma storico: un elemento di improvvisa rottura nella storia che costringe a fare i conti con la nostra mortalità e con la nostra precarietà. Quello di cui Freud si accorge nell’Al di là del principio di piacere, ovvero che i sogni ripetuti dei soldati non soddisfino una pulsione di piacere ma tendano ad un ritorno verso l’inorganico, è forse una delle prime definizioni di trauma storico.
Foto di Stijn Swinnen su Unsplash |
La Galas è consapevole di ciò: nell’opera legge, sotto un tappeto di sole tastiere elettroniche ed effetti sonori, le poesie di un poeta tedesco (Georg Heym) legate alla morte ed alle modificazioni traumatica dei corpi dovute alla febbre gialla di soldati tedeschi. La lettura della Galas è tutto meno che una lettura standardizzata: è una studiatissima discesa verso l’orrore di Kurtz. Nella prima parte della lettura (Mutilatus) viene messa al centro la condizione corporale del caduto, attraverso passaggi che alternano urla cacofoniche ad un angosciante silenzio. Un’operazione chirurgica senza anestesia, una vera esperienza nel dolore. Si direbbe una musica fatta di carne, vista la violenza sonora quasi da musica industrial (l’esperienza di Lingua Ignota in questo è stata probabilmente determinante) e viste le urla, mixate in modo divino. La secondo parte (Abiecto) si regge anche questa sulla contrapposizione netta tra le urla della Galas - ricordando che con urla quando si parla dell’artista di San Diego parliamo sempre dell’esito di una ricerca sonora e di etnomusicologia che dura ormai da 45 anni – ed istanti di silenzio. Urla che in questo caso riproducono quasi il suono di animali mandati al macello: si ripropone la figura della carne macellata e dell’agnello [4] nella chiave più blasfema ed al tempo stesso cristologica possibile, ricordando certe scene di guerra descritte oltre che da Hyem, da Wilfred Owen e soprattutto dai Canti Anonimi di Clemente Rebora, esperienze poetiche contemporanee ed immediatamente successive alla Prima Guerra Mondiale. La figura dell’agnello macellato ci rimanda a due concetti base: il soldato-malato visto come figura cristologica e quindi essere innocente e positivo, il cui unico destino sarà la morte (ma a differenza del Cristo, per il soldato-malato della Galas non c’è resurrezione). In secondo luogo, ci viene ricordato di come nella pestilenza e soprattutto nella guerra non perisca solo l’uomo, ma tutta la natura. Ogni antropocentrismo viene quindi definitivamente annientato all’interno dei Broken Gargoyle.
Broken Gargoyles, immagini di plastiche facciali ad opera di Sir Harold Gillies, 1920 Fonte: morningstar.co.uk |
Fatto più per essere percepito che per essere ascoltato, Broken Gargoyle si pone come fine di una ricerca artistica durata dieci anni per la Galas (numerosi frammenti dell’album erano già stati inseriti all’interno di spettacoli dal vivo). Dopo un’opera del genere, rimane solo la possibilità del mutismo rispetto ad un’opera che in mezz’ora viaggia in direzioni tanto estreme.
Lo pianto stesso lì pianger non lascia,
e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo,
si volge in entro a far crescer l’ambascia; [5]
[1]
La Guerra in Ucraina naturalmente non è il primo conflitto mediatizzato. Già
durante la prima Guerra del Golfo potevamo ricevere aggiornamenti costanti
grazie alla capillarità del media televisivo.
[2]
Tersa morte è l’ultimo libro di Mario Benedetti. Parla della necessità
della testimonianza della morte, ma anche dell’impossibilità di tale
testimonianza.
[3] Cosa praticamente impossibile, sia ben chiaro
[4]
Dalla stessa Plague Mass (1991) della Galas
[5] Dante, Inferno, Canto XXXIII, v.94-96
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